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Introduzione

Un ringraziamento sentito per l’invito. Strutturerò la mia comunicazione in tre parti:

  1. Dal 2000 ad oggi: rilanciare con forza la dimensione sociale del Giubileo
  2. Don Milani e la funzione emancipatrice del lavoro: spunti di riflessione-azione per i sindacalisti e le sindacaliste.
  3. Spunti conclusivi: la connessione tra Don Milani e il pellegrinaggio del Giubileo è la Speranza.
  1. Dal 2000 ad oggi: rilanciare con forza la dimensione sociale del Giubileo

Riprendendo la lezione interrotta del 2000, l’anno del Grande Giubileo, è importante, come fa ogni giorno Papa Francesco, ricordare a tutti i cristiani la dimensione sociale del Vangelo, evidenziando che il Giubileo non è semplicemente un guadagnarsi l’indulgenza plenaria, ma si alimenta di una dimensione sociale che non può essere dimenticata o sottovalutata.

Come sapete, il Giubileo si fa, infatti, risalire nella tradizione ebraica, continuata nella tradizione biblica cristiana, non come qualcosa sviluppatasi nel Levitico, ma con la nascita del popolo ebraico stesso (1200 a.C.).

Si tratta di un popolo che si afferma come comunità alternativa all’Impero (viene liberato dall’Impero faraonico). Il Giubileo si lega quindi ad un’economia di uguaglianza dove i beni di questo mondo, creato da Dio per tutti, devono effettivamente essere messi a disposizione.

Come mi ricordò Padre Alex Zanotelli, in un’intervista risalente ormai a circa quindici anni fa, Il Giubileo nasce come correttivo della tendenza delle società umane a strutturarsi nella disuguaglianza. Primo correttivo è stato il sabato (‘uomini non schiavi’) tempo per lasciarsi trascinare sia nella trascendenza che nella comunità.

Il sabato è quindi il primo Giubileo, ma Israele tradirà il sogno di Dio e andrà verso la monarchia dove pochi ricchi avranno quasi tutto. Il Giubileo nasce quindi dalla riforma deuteronomica ove, periodicamente, alla comunità era richiesto di fermarsi e di ricominciare da capo: venivano restituite terra e libertà, rimessi i debiti, si tentava di ricominciare da capo proprio perché Dio richiedeva un’economia di uguaglianza. 

La tradizione fu ripresa da Gesù in quella Galilea della povera gente schiacciata sotto il tallone dell’imperialismo romano. Gesù rilanciava l’idea di uguaglianza con il messaggio di ritrovarsi insieme alla mensa spezzando il pane. Per questo è importante rimarcare la dimensione biblica del Giubileo. 

In questo Giubileo del 2025, come per i precedenti, è importante ritornare a liberare la Parola di Dio. Il rischio è che la Bibbia continui ad essere un libro quasi sigillato, legato con catene, un Libro di cui la gente non riesce a scoprire le ricchezze. Liberare la Parola, come faceva Don Milani con i suoi ragazzi e non solo, significa un più attento studio, ascolto biblico, ed insieme il dare la parola alle piccole comunità, proprio come la Barbiana che abbiamo studiato e conosciuto, comunità che si ritraducono nell’oggi, nel sogno di Dio per il suo popolo: un’economia di uguaglianza.

Vi è poi un secondo aspetto, che riprenderò anche nella parte su Don Lorenzo Milani: viviamo oggi, sempre di più, in una società bombardata da parole. Mai così tante parole buttate addosso, non ci danno nulla, ci rendono sempre più schiavi della lotta per il potere, dello schiacciare l’altro oltre che dei meccanismi degli algortmi. 

Dobbiamo liberarci quindi delle tante bugie che ci vengono dette, liberare la Parola attraverso le esperienze dal basso: luoghi e comunità, anche del lavoro, in cui c’è stato impegno, attenzione per il territorio, esperienze di vita piena, per condividerle con chi non le conosce: una lotta comune per un mondo nuovo.

E’ molto significativo nella “Spes non confundit” il numero di citazioni di San Paolo, pensiamo alle plurime citazioni dalla Lettera ai Romani e a quelle della seconda Lettera ai Corinti. 

In questo anno è molto importante riprendere una riflessione su San Paolo, anche Paolo dovrà essere, in certo senso, ‘liberato’. Paolo è prigioniero di alcune lettere e letture non sue, è stato utilizzato per giustificare la schiavitù, la misoginia e per avvalorare forzatamente le cause più conservatrici. 

Lo stesso Don Milani, pensiamo ad Esperienze Pastorali, non lo cita benevolmente. Invece Paolo è autentico stimolo nel nostro impegno di oggi: aveva capito l’impero e proprio per questo aveva creato comunità di discernimento e solidarietà con i ‘crocifissi’ della storia per vivere in maniera alternativa sotto l’Impero romano. L’esperienza paolina può quindi aiutare noi che viviamo sotto l’impero del denaro e del materialismo.

Come ho già accennato dobbiamo rilanciare una dimensione sociale della fede biblica. Certamente uno degli aspetti fondamentali è la critica ad un sistema economico finanziario che affigge sempre più croci sui poveri del mondo. 

Pensiamo al problema della fame e agli enormi investimenti nei biocarburanti o alla necessaria critica alle forme di militarismo in questo tempo di diffusione della terza guerra mondiale a pezzi. 

Il riarmo senza limiti ha sostituito il concetto di disarmo, ormai desueto; oltre all’economia e ai conflitti bellici sul campo, anche l’immaginario delle persone è ormai, ogni giorno di più, un immaginario di guerra.

Questo sistema economico finanziario militarizzato pesa enormemente sull’ecosistema (pensiamo al problema dei rifiuti e dell’acqua) in una crisi che oggi è sempre drammatica. Un secondo aspetto è il problema del razzismo e della xenofobia crescenti e l’incapacità di accogliere i migranti in mezzo a noi. E’ quindi necessaria una risposta civile ed ecclesiale cui si affianca la lotta per la salvaguardia dei beni comuni, gli elementi fondamentali: aria, acqua, terra, fuoco. 

Aria ed acqua ci ricordano l’urgenza di un impegno fondamentale per la salute e la sostenibilità ambientale, riappropriarsi della terra significa riscoprire il controllo democratico e partecipativo del territorio, il fuoco ci dimostra, infine, come sia urgente ritornare alle energie rinnovabili. 

Il pellegrinaggio di questo Giubileo del 2025 ci deve far ritornare, anche come sindacalisti, alle comunità locali e del lavoro, alle realtà di base ecclesiali, confidando nel coinvolgimento responsabile delle persone e nella consapevolezza collettiva di quanto sia necessario ridimensionare e rendere più sobrio il nostro stile di vita. 

Ci ricorda Papa Francesco che non esiste una sola alternativa, una sola economia:

“L’economia che uccide non coincide con un’economia che fa vivere; l’economia delle enormi ricchezze per pochi non si armonizza dal proprio interno con i troppi poveri che non hanno di come vivere; il gigantesco business delle armi non avrà mai nulla in comune con l’economia della pace; l’economia che inquina e distrugge il pianeta non trova nessuna sintesi con quella che lo rispetta e lo custodisce².”

  1. Don Milani e la funzione emancipatrice del lavoro: spunti di riflessione-azione per i sindacalisti e le sindacaliste

Sul lavoro e le brucianti questioni che porta con sé, si possono leggere con profitto ancora oggi due lettere di don Lorenzo Milani. Le due Lettere sul lavoro, al tempo della loro comparsa (1949 e 1958), provocarono accesi dibattiti nell’ambito politico e anche nella Chiesa, non preparata a denunce tanto forti dalla penna di un prete.

La prima lettera, a Franco, in forma di articolo, apparve su “Adesso” foglio fondato da un altro prete straordinario, don Primo Mazzolari. 

Racconta un episodio accaduto a Calenzano. Don Lorenzo intercede presso un industriale perché il disoccupato Franco trovi un lavoro. La battuta dell’imprenditore «non sarà certo un comunista» è occasione da parte del prete fiorentino per stigmatizzare i pregiudizi nei confronti dei poveri. Una pagina che, pur ambientata in altra epoca storica, aiuta a capire le logiche sottese alla cultura dello scarto.

Un passo della lettera è particolarmente famoso: «Franco, perdonaci tutti: comunisti, industriali, preti»

Per parlare di Don Milani e il lavoro non si può prescindere da un’altra importantissima lettera, che venne pubblicata diversi anni dopo che era stata scritta, al termine del primo libro del sacerdote, Esperienze Pastorali, perché fu rifiutata, scartata, da tutti i giornali/periodici cui era stata proposta.

Mi riferisco alla lettera a Don Piero. Una lettera che è esplosiva ancora oggi e che certamente ci fa comprendere molti degli aspetti relativi all’approccio di Don Milani verso il lavoro, in un contesto come quello della piana tra Firenze e Prato che tutt’ora vede ampie pratiche di sfruttamento, lavoro nero, caporalato, falle nella salute e sicurezza, difficoltà nella sindacalizzazione.

Don Milani sceglie una storia “nuda e cruda” tra le tante che potrebbe raccontare.

Egli vi mise mano “la sera stessa del licenziamento di Mauro”, un bambino di 12 anni, suo parrocchiano. La Lettera a don Piero tratta di lavoro minorile che impedisce ai ragazzi di poter studiare, di licenziamento che “paralizza chi lavora” e di assunzione che “paralizza i disoccupati” a causa del potere eccessivo e insindacabile del datore di lavoro che promette, toglie e dà a sua discrezione. L’una e l’altra cosa “possono fare di un uomo un cencio”.

Facciamo risuonare le parole stesse di Don Lorenzo:


(…) L’ordine si sa non è un concetto univoco. Se lo violano i poveri è attentato allo Stato. Se lo violano i ricchi è la Congiuntura Economica, è un complesso di cose complicate che noi campagnoli non si possono intendere.

Io penso invece all’art. 40 della Costituzione: il Diritto di sciopero.
Possibile che il Baffi, uno stupido piccolo privato possa beffare così una legge che un popolo s’è data? Che un popolo ha pagato così cara: sangue, fame, guerra civile, elezioni tanto sofferte da ogni parte.

E poi non è una legge qualsiasi. È quella che il Cristo attendeva da noi da secoli, perché è l’unica che ridia al povero un volto quasi d’uomo.

Non gli riconoscerà ancora il potere sopra le cose. Ma almeno sul suo lavoro: di darlo o non darlo quando gli pare.

Si usa dire che nelle fabbriche grandi le infrazioni alle leggi sociali non ci siano. Non è vero.
Dal Baffi si lavora con contratto a termine. Ognuno firma per due mesi e rinnova alla scadenza per altri due e così via.

Non si può. Ma al Baffi non glie ne importa.

Si dice poi che nelle fabbriche grandi, son tutti assicurati. Ma non è vero neanche questo. Dal Baffi so di moltissimi che non lo sono. E Mauro mio e Danilo li ha assicurati una settimana innanzi al licenziamento, come un ultimo spregio.

È evidente, anche solo da questo fatto che il Baffi è un pazzo. E un pazzo non fa regola. Ma non è questo che voglio dire.

II tragico non è che ci sia un pazzo. Il tragico è che un pazzo possa impunemente fare e disfare nella vita degli umili. Che la società sia organizzata in modo da proteggerlo.”

Ma il lascito di Don Milani sui temi del lavoro e della rappresentanza è testimoniato anche dall’azione dei suoi ragazzi diventati sindacalisti.

Nel luglio del 1969, due allievi di Don Lorenzo Milani, Maresco Ballini e Michele Gesualdi, contribuirono ad animare un congresso nazionale molto combattuto nella Cisl. Fu un’assise, dagli esiti imprevisti, vissuta a valle delle temperie delle proteste studentesche e a pochi mesi dall’autunno caldo operaio, tanto che i lavori furono aperti dall’allora segretario generale Bruno Storti con una celebre e inattesa relazione intitolata: “Potere contro potere”.

Quel congresso, dirompente per la confederazione cislina e per l’intero movimento sindacale italiano, si concentrò sui temi dell’autonomia, dell’incompatibilità tra incarichi sindacali e politici, e dell’unità tra le confederazioni. Quest’ultima, vista con grande sospetto sia dalla Democrazia Cristiana che dal Partito Comunista, destinata a rimanere tema irrisolto fino ad oggi.

Ballini e Gesualdi “figli” delle due esperienze educative di Don Milani a Calenzano e Barbiana, erano divenuti, dopo essere passati dal Centro Studi Cisl di Fiesole, giovani sindacalisti tra i lavoratori tessili. Entrambi testimoniavano in prima persona quello che, solo due anni prima, il priore e i suoi ragazzi avevano scritto in Lettera a una professoressa: “Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. In questo secolo come si vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola?”

Al centro dell’intervento congressuale di Gesualdi vi fu la questione dell’emancipazione attraverso un’educazione popolare, non gerarchica e classista, di quello di Ballini la necessità, per il sindacato, di: “mettersi a fianco dei lavoratori diseredati che devono essere preferiti a quelli privilegiati”.

Quasi cinquant’anni dopo, nel corso del 2017, due momenti molto significativi, legati a papa Francesco, si sono intrecciati nel giro di pochi giorni. Il 28 giugno, infatti, il pontefice incontrava i delegati del congresso confederale della Cisl in Vaticano; esattamente una settimana prima compiva, dopo aver sostato a Bozzolo sulla tomba di don Primo Mazzolari, il suo pellegrinaggio a Barbiana, nel luogo di esilio in cui la Chiesa aveva esiliato don Lorenzo Milani. In mezzo a questi due momenti, il 26 giugno, ricorreva il cinquantesimo della scomparsa del priore.

A Barbiana, Papa Francesco, dopo aver salutato gli ex allievi, aveva esordito così:

“La scuola, per don Lorenzo, non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere quella missione, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al cielo. E quando la decisione del Vescovo lo condusse da Calenzano a qui, tra i ragazzi di Barbiana, capì subito che se il Signore aveva permesso quel distacco era per dargli dei nuovi figli da far crescere e da amare.

Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole.

Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso, e di dare espressione alle istanze profonde del proprio cuore, come pure alle attese di giustizia di tanti fratelli e sorelle che aspettano giustizia. Di quella piena umanizzazione che rivendichiamo per ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia, fa parte anche il possesso della parola come strumento di libertà e di fraternità³.”

Si è scritto tantissimo su don Milani e su Barbiana, tanto che appare tutt’altro che semplice, a oltre cento anni della nascita del priore, aggiungere parole nuove, non scontate.

Eppure il rapporto tra don Lorenzo e la sua scuola nei confronti del sindacato e, più in generale, dei temi del lavoro, non è tra i più studiati; rimane ancora molto da comprendere, da condividere, da far riverberare, da dirci insieme e, soprattutto, da «reinventare» nel tempo di oggi e in quello di domani.

Don Milani e il suo rapporto con il lavoro e il sindacato sono i temi conduttori di“Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana” un volume collettivo, giunto alla terza edizione e pubblicato da Edizioni Lavoro⁴.

La nuova edizione di questo testo è stata pubblicata proprio in occasione del centenario della nascita di Don Lorenzo Milani.

Se la prima edizione si era concentrata prevalentemente sui temi dell’emancipazione mediante il sapere attraverso Lettera a una professoressa (trattando anche dell’influenza di Don Lorenzo e dei suoi allievi sulla stagione delle 150 ore per il diritto allo studio negli anni Settanta)la seconda si è soffermata sull’approfondimento de L’obbedienza non è più una virtù, sempre avendo come punto di riferimento il mondo del lavoro e la sua rappresentanza.

La terza edizione, pubblicata, come detto, a cento anni dalla nascita di Don Milani, vuole provare a porre e porci alcune domande proprio sulla scia di Don Lorenzo e dei suoi allievi diventati sindacalisti in un secolo, il Novecento, ormai completamente archiviato.

Come si cura, include, organizza, rappresenta il “lavoro fragile” in tempi di antico e nuovo sfruttamento? In che modo si riconnettono oggi le solitudini del lavoro nelle campagne del caporalato come nel mondo turbocapitalistico delle piattaforme digitali?

Tornando al contesto storico sottostante a questi temi e a questi interrogativi, è importante soffermarsi sulla ricchezza e sulla peculiarità del fortissimo legame che c’è nel percorso sociale ed educativo di Don Milani con il lavoro e la sua rappresentanza.

Sono tanti, ad esempio, i contratti di lavoro presenti nella canonica in cui i ragazzi facevano scuola.

Tornando al rapporto con la Cisl e con il Centro Studi di Fiesole, Agostino Burberi, attuale presidente della Fondazione dedicata al priore di Barbiana, riporta nel libro l’immagine di Don Milani in lambretta che incontra il leader cislino Luigi Macario al Centro Studi di Firenze per perorare la causa di Maresco Ballini, che era destinato ad essere inviato nell’alto milanese e che Don Milani avrebbe voluto trattenere in Toscana, vicino alla madre del suo allievo, rimasta vedova.

Agostino, Paolo Landi, entrambi i fratelli Gesualdi ci raccontano del “filo” teso con il sindacato dei tessili, anche se non va dimenticato che, ad esempio, Michele Gesualdi incontra il sindacato in Germania. Paolo Landi, come tanti altri allievi e come tanti giovani italiani di oggi, va a lavorare a Londra. Francuccio Gesualdi si reca ad imparare l’arabo in Algeria.

Una dimensione cosmopolita, anche attraverso il lavoro, che è, appunto, di insegnamento anche per il tempo presente.

Scriveva Don Milani, da San Donato al regista francese Maurice Cloche nel 1952: “Il disoccupato e l’operaio di oggi dovranno uscire dal cinema con la certezza che Gesù ha vissuto in un mondo triste come il loro, che ha come loro sentito che l’ingiustizia sociale è una bestemmia, come loro ha lottato per un mondo migliore”.

Se ci avviciniamo alla Lettera ai giudici, a L’obbedienza non è più una virtù, penso sia significativa la pubblicazione, nel libro, del documento dei lavoratori del nuovo Pignone e di altre aziende fiorentine a sostegno dei sacerdoti fiorentini che si erano pronunciati per l’obiezione di coscienza.

Franco Bentivogli, leader storico della Fim Cisl negli anni Settanta e, successivamente, segretario confederale della Cisl ha affermato, alcuni anni fa: «Don Milani sollecitava la promozione di un umanesimo planetario e i doveri della solidarietà e dell’accoglienza, assumendo il bene comune come obiettivo politico e sindacale concreto in un mondo di fratelli e senza confini».

Nello stesso intervento Bentivogli ha ricordato una frase di don Milani, molto significativa, tratta da Esperienze pastorali«Non vedremo sbocciare dei santi finché non ci saremo costruiti dei giovani che vibrino di dolore e di fede pensando all’ingiustizia sociale. A qualcosa in altre parole che sia al centro del momento storico che attraversiamo, al di fuori dell’ingiustizia dell’io, al di sopra delle stupidaggini che vanno di moda»

Papa Francesco, in occasione del congresso della Cisl del 2017, si è soffermato sul rischio delle burocrazie organizzative e ha indicato le due sfide che interrogano oggi il sindacato: la profezia e l’innovazione.

Ha detto il Papa: «La prima sfida è la profezia, e riguarda la natura stessa del sindacato, la sua vocazione più vera. Il sindacato è espressione del profilo profetico della società. Il sindacato nasce e rinasce tutte le volte che, come i profeti biblici, dà voce a chi non ce l’ha, denuncia il povero “venduto per un paio di sandali” (cfr. Amos 2,6), smaschera i potenti che calpestano i diritti dei lavoratori più fragili, difende la causa dello straniero, degli ultimi, degli “scarti”».

Risuonano tutte le parole di don Milani sul lavoro e sulla rappresentanza del lavoro.

Non so se, come sosteneva padre Balducci, don Milani a Barbiana «si sia calato a picco» o, invece, sia «salito dal pozzo», imparando a guardare con più profondità il cielo e le nuvole.

È a partire dal legame con gli ultimi che si rilancia una seconda sfida per l’esistere del sindacato e, infatti, Papa Francesco, nel suo intervento, non si è fermato, proseguendo così:

 «Seconda sfida: l’innovazione. I profeti sono delle sentinelle, che vigilano nel loro posto di vedetta. Anche il sindacato deve vigilare sulle mura della città del lavoro, come sentinella che guarda e protegge chi è dentro la città del lavoro, ma che guarda e protegge anche chi è fuori delle mura. Il sindacato non svolge la sua funzione essenziale di innovazione sociale se vigila soltanto su coloro che sono dentro, se protegge solo i diritti di chi lavora già o è in pensione. Questo va fatto, ma è metà del vostro lavoro. La vostra vocazione è anche proteggere chi i diritti non li ha ancora, gli esclusi dal lavoro che sono esclusi anche dai diritti e dalla democrazia⁵».

Scriveva Giancarlo Zizola nel 1987 e le sue parole sono assolutamente attualissime: “Sono passati venti anni dalla morte di Don Milani e la parola ai poveri continua ad essere un messaggio estremamente valido, purchè sia reinterpretato alla luce della nuova condizione dei saperi tecnologici, oggi. Noi viviamo in un processo di crescente omologazione. Il problema, quindi, non è quello di dare la parola. Essa è data, ma è una parola che fa poveri. Questa è la differenza fondamentale. E’ una parola che non libera più poveri, ma li rende schiavi”.

Scriveva, invece, Padre Balducci sempre nel 1987 (Ci aspetta domani): “Se noi ricostruiamo la realtà storica di Milani, anche nella sua lontananza, tenendo conto della diversità della situazione e poi la interroghiamo, scopriamo che Don Milani è uno di quei maestri che non ci richiamano al ricordo del passato, ma che ci hanno dato appuntamento nel futuro”.

Soltanto una società e, io aggiungo, un sindacato fondati sulla partecipazione cosciente e responsabile, possono contrastare la globalizzazione neoliberista e rifondare la politica e la rappresentanza, ricollegare etica, politica e diritto, ridare pienezza ad una democrazia spesso ormai solo formale.

Forse, ancora di più, senza rinunciare ad un profilo di senso, dobbiamo ripartire dalla società dei frammenti, come ci insegna Ivo Lizzola. Ripartire dal cooperare e da una comunità inclusiva, da luoghi apparentemente deboli e periferici come le aree interne (le Barbiana di oggi) nella megalopoli interconessa e supersonica globale.

In tutto questo Don Milani e i suoi allievi ci hanno lasciato un percorso peculiare che incontra il valore del sindacato come strumento comune della giustizia, come luogo educativo, trasformativo, esperienziale di una società più giusta. A partire dagli ultimi, anche nel lavoro.

A partire da quella dimensione planetaria che ha a cuore l’umanità e la terra.   Il lavoro come cura, il sindacato come tessuto di uguaglianza.

A quasi sessant’anni da quell’importante e decisivo congresso della Cisl del 1969 citato all’inizio di questo articolo e guardando al presente e al futuro in occasione dei cento anni della nascita di don Lorenzo Milani, ci è parso interessante e utile raccontare, nella nuova edizione di Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana, due storie di intreccio tra periferie del lavoro, impegno e rappresentanza sindacale.

Due storie di lavoratrici e lavoratori al confine di quella che papa Francesco individua, perfettamente in linea con il solco tracciato dal priore di Barbiana rispetto al mondo del lavoro, come una missione sindacale che va vissuta intensamente tra: «profezia e innovazione».

Due contributi che ci accompagnano in due mondi che appaiono lontanissimi, ma che sono accomunati dall’essere a valle e a monte di una stessa filiera, quella dei prodotti agricoli e alimentari che incontrano la modernità turbolenta, a tratti spietata e distratta, dell’economia dell’algoritmo e delle piattaforme digitali.

Rider e braccianti: una sfida inedita e una antica per un sindacato che non può che prendersi cura a trecentosessanta gradi della persona, di un’umanità spesso diseredata, ma non per questo non diversificata e multiforme, anche nelle aspirazioni, oltre che nei bisogni. 

Tra le strade trafficate e metropolitane di Roma capitale, come tra i campi della pianura della Capitanata, incontriamo un sindacato «in strada» e di «strada» che, non senza difficoltà, prova a essere prossimo e a identificarsi con chi vive ai margini di un’economia troppo spesso fondata sullo sfruttamento e sullo «scarto».

Un sindacato che prova a rappresentare, anche nel secolo successivo a quello in cui ha vissuto don Lorenzo Milani, con tutti i suoi limiti e le sue mancanze, una via opportuna per «praticare l’amore» e «cercare un fine, dare un senso alla Vita».

Una via stretta e appassionante per tutti i sindacalisti e le sindacaliste cristianamente ispirate che laicamente e senza settarismi possono dialogare e ri-mettersi in cammino nell’Anno Santo che prova a far risuonare la Speranza al posto della Guerra e dello sfruttamento globale turbocapitalista.

  1. Spunti conclusivi: la connessione tra Don Milani e il pellegrinaggio del Giubileo è la Speranza

Il Giubileo è pellegrinaggio. Un pellegrinaggio che, senza blasfemie, come percorso interiore potremmo paragonare ad una salita a Barbiana.

Mi ha scritto una giovane dirigente sindacale, Giorgia Bumma, segretaria dell’Ust Cisl di Pisa:

“Il sentiero che porta a Barbiana ha per me un significato particolare: quando inizi il percorso, il pellegrinaggio, il luogo ti regala diverse emozioni e ti lascia il tempo per riflettere su cosa siamo in quel momento, su cosa ci aspettiamo. Salire, faticare, sentirsi soli è un pò come rivivere il nostro lavoro di sindacalisti sempre in prima linea, pieni di cose da fare, a volte soli nelle nostre azioni di difesa e tutela e nei nostri ideali. Questa solitudine dopo un poco svanisce e riesci a sentire il grande rumore che proviene da te stesso, un rumore forte, quello dei tuoi pensieri proiettati verso il futuro, verso la speranza di stare facendo qualcosa che possa essere sostegno, creazione e rafforzamento di una comunità che cresce e vive. 

In questo mondo dove tutti parlano, dove tutti urlano e dove il tempo sembra una misura fisica che si comporta in maniera diversa da come lo percepivamo anni fa, o forse esso è rimasto lo stesso e noi no, il rumore dei noi stessi ci spaventa al punto che lo sotterriamo tra cumuli di false priorità. Ma la nostra missione di sindacalisti, se così si può chiamare, dovrebbe ricalcare in un certo senso la missione di Don Milani. Essere costruttori di un tessuto sociale che deve essere arricchito da esperienze dirette sul territorio e non visto dai nostri vetri, che è quello che ci ha ricordato anche il Papa.  Generare progetti sul territorio, fare sistema con le associazioni presenti, fa parte di un sostegno a quelle fasce deboli in cui rientrano gli ultimi anche nel lavoro”.

Il pellegrinaggio è anche ascolto. La lettera della mia amica sindacalista continua così:

“La scuola di Barbiana ci “parla” di ascolto, lo grida fortemente, un ascolto degli altri, un’attenzione e accoglienza degli altri che ci sfugge e ci spaventa anche se è il nostro più grande valore come sindacalisti. Accoglienza dell’altro è un tema molto caro ai pellegrini del Giubileo. Un Giubileo, in cui, appunto, deve essere liberata la parola. La parola vera, che deriva sempre da un ascolto profondo. Possiamo poi interrogarci se siano più valori o principi poiché i valori spesso ci portano su strade sbagliate mentre i principi guidano la nostra vita. Sui principi di uguaglianza e libertà dobbiamo lavorare per riportare un’economia di dono e ovviamente di equità. Il concetto di dono implica un non aspettarsi ricompensa, ma agire mettendo alla prova se stessi. Madre Teresa diceva non importa quanto si dà, ma quanto amore si mette nel donare. Mi piacerebbe che venissero messe a confronto nei testi, persone come lei o Santa Chiara. Figure che credevano fortemente nell’unità di azione. 

Vedo attuale l’impegno come esempio di insegnamento di vita in un mondo materiale, un esempio di accoglienza, ascolto, sorriso e pace, altro tema caro al Giubileo.  La pace che Don Milani affronta come argomento con i suoi ragazzi cercando di viverla in una maniera riflessiva e che poi riprende in un’altra chiave ne “L’obbedienza non è più una virtù”. 

Quella pace, Don Milani stesso, è quel filo teso tra i nostri principi e il nostro domani: lui che aveva scelto di vivere in mezzo alle persone, ai suoi ragazzi, (la scelta che dovrebbe essere anche nostra), lui che ha creduto fortemente nella formazione e nel pensiero critico, spingendo i suoi alunni e alunne oltre il pensiero di massa.” 

Concludo.

Don Milani è stato certamente un uomo ed un sacerdote del futuro e attraverso le parole di un grande teologo, recentemente scomparso, Jurgen Moltmann vorrei connettere la sua vita, la sua opera al tema di fondo di questo Giubileo.

Scriveva Moltmann in “Teologia della Speranza⁶”: 

“Se davvero la speranza sostenta, sostiene e fa avanzare la fede, se trascina il credente nella vita di amore, la speranza è anche la forza che mette in azione e sospinge il pensiero della fede, la sua conoscenza e la sua riflessione sulla natura umana, sulla storia e sulla società. (…) 

La speranza cristiana non può attenersi testardamente al passato e alla realtà data alleandosi con l’utopia dello status quo. 

Ma è invece chiamata e autorizzata a operare una trasformazione creativa della realtà, perché essa ha speranza per l’intera realtà. Infine la speranza della fede diventa essa stessa una fonte inesauribile cui attinge la immaginazione creativa e inventiva dell’amore. (…) 

La speranza cristiana ha sempre operato in senso rivoluzionario nella storia del pensiero delle società che ne sono state toccate (…)

Termino con un grande poeta, Paul Verlaine:

“Se la speranza brilla

come un filo di paglia

nella stalla

perché temi l’ape ebbra

del suo volo folle?

Da qualche buco filtra sempre 

la polvere del sole”.

¹ Intervento pronunciato il 18 gennaio 2025 in occasione dell’incontro di riflessione spirituale ed etica per sindacalisti
svoltosi a Villa Lascaris – Pianezza (To) e organizzato dalla Pastorale del Lavoro del Piemonte e della Valle d’Aosta.

² Messaggio del Santo Padre ai partecipanti del IV incontro annuale di The Economy of Francesco [Assisi,
6-8 ottobre 2023]

³ Il discorso integrale può essere letto a questo indirizzo:
https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/june/documents/papa-francesco_20170620_don-lorenz
o-milani.html

⁴ F. Lauria (a cura di), Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana. Don Milani e il mondo del lavoro, Edizioni Lavoro, Roma,
2023.

⁵ L’intervento completo è reperibile qui:
https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/june/documents/papa-francesco_20170628_delegati-cis
l.html

⁶ J. Moltmann, Teologia della Speranza, Queriniana, Brescia, 2008