Il gruppo dirigente della Federazione dei pensionati della Cisl siciliana e quello della Associazione Nonni 2.0[1] si sono confrontati ad Agrigento sull’alleanza fra le generazioni per individuare temi e problemi comuni.
L’occasione è stata offerta dalla premiazione di nove studenti, vincitori del concorso scolastico nazionale 2024-2025 “Io e i miei nonni: esperienze e riflessioni” dopo aver inviato un componimento in forma di tema, racconto, poesia, lettera, dialogo o preghiera sul medesimo tema.
L’alleanza tra generazioni è sfida quanto mai urgente e pressante, ma al tempo stesso risulta di scarso interesse in un contesto sociale in cui l’egoismo, se non il nichilismo, sembra essere l’obiettivo più concreto e raggiungibile da tutti, giovani e meno giovani.
La condizione dell’anziano risulta in questo quadro particolarmente penalizzata e messa all’angolo, al di là della retorica dominante. Infatti gli anziani sono schiacciati, da una parte, dalla sempre più diffusa convinzione che, senza scomodare le impietose indagini dell’Istat, costituiscono un peso economico sempre più oneroso per la previdenza e l’assistenza, dall’altra, loro stessi vivono una condizione che il Cardinale Angelo Scola, nel suo recente libro: Nell’attesa di un nuovo inizio[2] definisce astenia nei rapporti. Scrive più precisamente, facendo appello anche alla sua condizione personale: «… risultano così oppressi da una fatica direttamente proporzionale alla perdita delle forze fisiche che ci isola. Si diventa così costretti a una in-azione entro la quale lo stesso desiderio di vivere, che pur resiste tenace, rischia di consumarsi».
Per utilizzare terminologie belliche, prepotentemente tornate di moda in questo periodo, si potrebbe dire che occorre innanzitutto “ridare vigore alle truppe” per una guerra che non riguarda solo gli anziani e che proprio per questo richiede quell’alleanza tra generazioni a cui si è già fatto riferimento.
Il primo punto di lavoro, tanto scomodo quanto ineludibile, riguarda il senso della sofferenza e della morte.
Da Adamo ed Eva a noi oggi nessuno può ignorarlo, ma gli anziani più di tutti lo vivono e ci convivono. Al di là delle risposte che nel corso dei millenni ogni uomo ha cercato di darsi (in fondo anche la non risposta è una risposta), la nuova frontiera che oggi tende ad affermarsi è quella della esorcizzazione del male e della morte. Sempre più prevale tra gli adulti una esasperata (e inutile) tutela dei più piccoli, che sempre meno sono chiamati a partecipare a funerali e a visite ai cimiteri, nella convinzione di rendere in tal modo loro la vita più facile e il momento dell’incontro con la morte come dimensione dell’esistenza più lontano. Il Cardinale Scola offre la sua risposta, quella della saggezza cristiana, ma aggiunge una indicazione molto pregnante: afferma infatti che il cristianesimo offre «una prospettiva che dà senso anche a quegli anziani tentati dal “farla finita”, una richiesta di “morte degna” che sta infuocando sempre più il dibattito nella nostra società. Ma la vera richiesta non riguarda forse la possibilità di una “vita degna” fino all’ultimo istante, fatta di quel che caratterizza l’uomo, la capacità di amare e di essere amati? In Cristo Gesù siamo resi capaci della paradossale ma umanissima esperienza vissuta da san Paolo: “Come afflitti, ma sempre lieti”».
Tra i componimenti premiati nel concorso questo tema è espresso ripetutamente dai nipoti. Francesca Filocamo (alunna di una scuola media di Palermo) in una poesia esprime il suo dolore pacificato spiegando che l’assenza dei nonni scomparsi non rende “vuoti” i suoi occhi, che sono invece “pieni di vita e di ricordi” in quanto riflettono un amore ricevuto e donato che resiste nel tempo. Ecco un piccolo, ma incidente, esempio di alleanza generazionale.
Altro tema ineludibile è quello della solitudine dell’anziano.
Alla tavola rotonda svolta durante il convegno ha preso parte anche mons. Alessandro Damiano, Arcivescovo Metropolita di Agrigento, il quale, raccontando della sua esperienza di incontro con gli anziani, ha evidenziato come tutti, sia che siano assistiti in famiglia sia che risiedano in una struttura apposita, vivono con fatica la solitudine. «Ma tutte queste esperienze di vita – ha commentato – hanno una cosa in comune: il velo della tristezza. Perché l’anziano, il nonno, messo fuori dalla propria casa e in un ambiente diverso, dove deve condividere la giornata anche con persone che non ha scelto, deve accettare questo sacrificio. Fare compagnia ai nostri anziani è un impegno che non possiamo disattendere». Il tema della solitudine e della compagnia agli anziani apre un altro terreno di impegno comune che può coinvolgere la Fnp e gli associati di Nonni 2.0 imboccando vie nuove e diverse da quelle delle tradizionali “visite domiciliari” utili a far trascorrere il tempo, ma poco utili a mobilitare gli anziani a trasmettere quel patrimonio di storie, esperienze e vita di cui sono custodi.
Ecco l’incipit della lettera che Arianna Donada, della Scuola Media “Don Bosco” di Tolmezzo (UD) ha scritto al nonno che non c’è più: «Caro nonno, avrei sempre voluto conoscerti, fin da quando ho memoria. Non mi hanno mai parlato molto di te; l’unica cosa che so è che, quando mamma ti ha fatto vedere l’anello di fidanzamento che le aveva regalato papà, tu eri a letto, eri già ammalato e non parlavi, ma nonna mi ha sempre detto che in quel momento i tuoi occhi sono comunque riusciti a comunicare grandi cose. Nonnut è una donna forte, vero? Ha ottantanove anni ed è ancora perfettamente lucida. A volte mi chiama Eleonora, ma non importa, perché io so che in realtà si sta riferendo a me. Altre volte si lamenta che dorme poco, poi però la senti russare fin dal piano di sopra. Io penso che in parte lo faccia per attirare l’attenzione. Dice di essere sempre sola ma il più delle volte è al telefono con qualche amica. Forse quello che le manca davvero sei tu. Quando parla del passato, le vengono gli occhi lucidi e il magone; soprattutto se l’argomento sei tu». Come si può notare vi è un passato che i giovani sanno vivere nel presente, senza indulgere a sentimentalismi o astrattezze.
In una società dal vorticoso procedere, occupato da tablet e telefonini, sembra non ci sia più spazio per ricevere dagli avi quel patrimonio di esperienza e di senso del vivere, che non può essere sostituito dalla mera conoscenza di date ed eventi. Preoccupati solo di conservare ricordi, si pensi alle tante fotografie che scattiamo quotidianamente e che poi dimentichiamo, abbiamo perso la dimensione della memoria che gli anziani sanno invece gelosamente custodire. La memoria, anche se fatta da spezzoni di ricordi, sta dentro il tessuto di una continuità ed è ciò che offre uno sguardo positivo sul passato ed una prospettiva positiva anche sul futuro.
Questo percorso porta ad un altro punto nodale mirabilmente descritto tanti anni fa dal teologo Romano Guardini, in un libro ancora attualissimo, intitolato: Le età della vita.
Nell’ultimo capitolo (“Diventare vecchi”), l’autore si chiede se la vecchiaia sia solo la conclusione della vita dopo la quale non viene più nulla, oppure abbia un senso proprio, e se non abbia persino un senso buono e profondo. È una domanda che tutti dobbiamo porci. Gli esperti che affrontano queste problematiche spesso ne evidenziano solo gli aspetti negativi: si parla di anziani solo in quanto persone da assistere. Non è così: l’anziano ha ancora molto da dire, ha ancora un contributo importante da dare. La statistica ci dice che quando una persona va in pensione ha ancora il 20% della vita da vivere. E allora questo pezzo di vita va considerato come un peso da sopportare oppure come una risorsa da mettere a disposizione innanzitutto di sé stessi e poi di tutta la comunità in cui si vive e dell’intera società?
Romano Guardini scrive: «…, anche la vecchiaia è vita. Non significa solo il lento esaurirsi di una fonte, dalla quale non sgorga più nulla; o lo svigorirsi di una forma che una volta era forte e in tensione; ma è essa stessa vita, con una propria modalità e un proprio valore».[3] Dobbiamo acquisire questo giudizio come pensiero interiore da mettere a disposizione di tutta la società. L’anzianità è un tratto dell’intera vita, non è la discesa che porta alla fine della vita. Possiamo dire in modo non presuntuoso che siamo una risorsa proprio perché è ancora una vita. Una vita che ha un significato, che ha una utilità. Ma tutti devono però affermare che comunque l’anziano, soprattutto se ancora autosufficiente, è una vita, una vita forse diversa, ma sempre una (fase della) vita. Guardini descrive anche l’utilità della vita a partire dall’infanzia. Una utilità collegata da un filo rosso che rende positiva la vita intera. E l’anzianità non è altro che un pezzo di questa vita. Non è l’attesa rassegnata di una fine, ma è la responsabilità di dare alla società il proprio apporto. Poi, come tutte le cose della vita, la vecchiaia può essere vissuta bene o male.
Ci sono almeno due condizioni per poter vivere bene la vecchiaia.
La prima è che essa sia accettata, non sopportata. Non bisogna far finta di essere ancora giovani. Non poter correre come una volta vuol dire capire qual è il compito oggi, non illudersi che con qualche farmaco si possa tornare ad essere come prima. Bisogna saper dare il contributo tipico di questa età, cioè portare nel mondo la saggezza che caratterizza gli anziani non incattiviti, di cui il mondo ha assolutamente bisogno. Oggi viviamo in un clima in cui si va avanti per slogan. La saggezza dell’anziano deriva dal fatto che la vita intera vissuta gli ha fatto capire come affrontare le difficoltà. Quindi l’anziano non è più tutto teso a rispondere in modo istintivo o parziale alle provocazioni della vita. La saggezza sta nel capire che la vita intera porta con sé gioie e dolori, ma ha una positività, un ultimo destino buono.
La seconda è che anche la comunità deve accettare l’anzianità, mettendo in moto tutta la solidarietà possibile verso la persona anziana, ma è la società che deve accogliere la presenza dell’anziano come risorsa positiva.
Il professore Giancarlo Blangiardo, già presidente dell’Istat, docente emerito di demografia all’Università di Milano-Bicocca, ha di recente scritto: «Ci sono persone che, anche da pensionate, possono continuare a rimanere attive. Più o meno, ci sono mezzo milione di persone pensionate, fra i 50 e i 74 anni, che però sono ancora occupate, più della metà dei quali lavorano perché fanno quello che gli piace. C’è una potenzialità che non dobbiamo perdere: non dobbiamo lasciare andare via i giovani, ma neanche privarci di persone obbligandole ad andare a giocare a bocce mentre potrebbero continuare a fare un mestiere».
Il “mestiere” prevalente tra gli anziani è certamente quello dei nonni. Basta guardarsi in giro per riconoscere che gli anziani sono una risorsa ineliminabile del welfare a tutti livelli, dal locale al nazionale. Gli anziani aiutano e sostengono tutta la società innanzitutto con i servizi che rendono alle famiglie da cui provengono, prendendosi cura dei nipoti, accompagnandoli a scuola o alle attività pomeridiane, facendo fare i compiti, offrendo anche possibilità ludiche che i genitori che lavorano non possono assicurare. Se si dovesse monetizzare la quantità di tempo che i nonni dedicano ai nipoti giungeremmo a numeri da capogiro. Ma non dobbiamo dimenticare che i nonni aiutano nipoti e figli anche economicamente, sostenendo spese (viaggi, istruzione, sport, regali essenziali in natura, ecc.) che la singola famiglia non è in grado di garantire. Speriamo che la politica se ne accorga sempre di più, magari detassando parte di queste spese sostenute dai nonni invece che dai genitori.
Vi è poi un aspetto poco visibile ma molto urgente che attiene all’emergenza educativa. Un anziano che vive bene la propria anzianità aiuta la famiglia. Oggi sembra che nessuno abbia il coraggio di educare. Infatti, per educare ci vuole il coraggio dell’impopolarità. E questo vale soprattutto per i genitori quando devono correggere i figli. Per questo non è facile educare. Comporta una presenza di autocoscienza in ciascuno e talora comporta anche una presa di posizione che consta impegno e fatica. I nonni sono facilitati dalla natura che li rende affettuosi verso i nipoti; questo affetto è una risorsa per l’educazione. Guardini in un altro passo del suo libro scrive: «Chi diventa vecchio nel modo giusto acquisisce la capacità di comprendere la totalità della vita».[4] E questo vale per qualunque educatore quando si rivolge a bambini, giovani, adulti o anziani. Richiamare alla importanza del particolare senza connetterlo con la totalità della realtà è inefficace. L’anziano, il nonno, è più in grado di avere in testa la totalità della vita e quindi può dare un contributo che i genitori spesso non possono dare, non per ignoranza o noncuranza, ma perché nell’itinerario della vita non hanno raggiunto ancora quel livello di maturità.
Da ultimo, un grande anziano da poco scomparso, papa Francesco, ci ha lasciato la sua testimonianza di indomito testimone. La sua catechesi del mercoledì è racchiusa in un bel libro: La lunga vita. Lezioni sulla vecchiaia. Soprattutto con gli ultimi anni della sua esistenza ci ha insegnato come gli anziani possano essere protagonisti del futuro, quello proprio e di tutta la società.
[1] https://www.nonniduepuntozero.eu/
[2] Scola A. (2025), Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia, Libreria Editrice Vaticana, Roma.
[3] Guardini R. (2022), Le età della vita. Il loro significato etico e pedagogico, Morcelliana, Brescia, pag. 121.
[4] Op. cit., pag. 124.