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Quest’anno Andrea Camilleri avrebbe compiuto cento anni. È nato a Porto Empedocle il 6 settembre 1925, nella parte sud occidentale della Sicilia, dove è collocata l’immaginaria Vigata in cui sono ambientati i suoi racconti. Hanno reso la zona una meta turistica così famosa che nel 2003 il Comune ha deciso di adottare Vigata come secondo nome della località. Nel 2009 la decisione della denominazione è stata revocata, compensata però dal collocare in via Roma una statua che rappresenta Salvo Montalbano. Chi la vede rimane interdetto: ha una folta capigliatura e i baffi! È ben diverso dall’attore che lo ha impersonato e che per noi è diventata la sua immagine indelebile. La statua fa riferimento all’immagine originale, quella descritta nei romanzi.

Una celebrazione che il commissario immaginario si è meritata. La serie tv ha saputo combinare l’ambientazione affascinante e lo stile unico dei racconti. Con quindici stagioni e numerose repliche ha ottenuto un enorme successo sia sulla Rai che a livello internazionale. Trasmessa in oltre 60 Paesi, ottenendo ottimi ascolti in diverse nazioni, tra cui Gran Bretagna, Francia e Argentina.

Per celebrare i cento anni di Andrea Camilleri non voglio fare l’ennesima recensione dei suoi libri. Siamo una rivista del sindacato e vi propongo una riflessione sul lavoro che Camilleri ha attribuito al Commissario. Il suo modo di lavorare in che misura corrisponde al ruolo concreto di un Commissario della Polizia di Stato? Come gestisce le relazioni con i suoi colleghi il personaggio Salvo Montalbano?

Per rispondere alla prima domanda mi sono rivolto a sindacalisti Siulp, il sindacato di polizia nato per primo e che è di gran lunga il più rappresentativo. L’Ufficio relazioni sindacali del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Viminale il 9 giugno 2025 ha comunicato i dati aggiornati al 31 dicembre 2023 (non ancora disponibili i dati del 2024) sulla “consistenza associativa delle Organizzazioni sindacali del personale non dirigente della Polizia di Stato”. Più del 90% del personale è iscritto a una delle numerose organizzazioni sindacali. Al primo posto il Siulp, con 26.200 iscritti, seguito da Sap con 18.245 adesioni e  Siap a 13.251. Seguono Coisp Mosap a 12.949, poi la Federazione Fsp-Es-Ls–Consap- M.P.-Cosap-Uil Polizia a 12.438 ed infine Silp Cgil a 8.203. Fra Siulp e Cisl ci sono stati buoni rapporti fin dalla sua costituzione e abbiamo anche collaborato come Centro Studi nella loro attività di formazione.

«I racconti di Camilleri sono una simpatica parodia della vita di un Commissariato, ma molto lontana dalla concreta realtà e spesso i colleghi non l’apprezzano proprio per questa distanza» ha detto un dirigente SIULP, «Si opera in un sistema molto più complesso di quanto appaia e i rapporti sono più stringenti sia come collaborazione fra colleghi che come relazioni gerarchiche».

Il Commissario non è a capo di un intero Commissariato, che è una struttura che per lo più riproduce lo schema organizzativo di una Questura con a capo un Vice Questore aggiunto. La qualifica di Commissario è la prima assegnata ad un funzionario di Polizia di Stato, equivalente al Tenente dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, che coordina e gestisce un ufficio o un reparto operativo. In quanto tale si può occupare anche di indagini. Le indagini sono svolte in stretta collaborazione con l’autorità giudiziaria, ovvero il magistrato che le dirige e ricoprirà il ruolo di Pubblico ministero nel successivo processo penale, se l’indagine porta ad acquisire prove tali da accusare l’indagato di un reato. È il magistrato che autorizza l’attività della Polizia, come arresti o perquisizioni. L’iniziativa della polizia è quindi limitata, ad esempio, al caso di “flagranza”, quando qualcuno viene colto nell’atto di commettere il reato, oppure inseguito, subito dopo il reato.

Nelle Questure e nei Commissariati chi svolge attività investigative sono le squadre di polizia giudiziaria, composte da ispettori e agenti, come ad esempio la squadra mobile. Sottolineo il termine “squadra”. Qui entriamo nel tema della seconda domanda, lo stile di relazione di Salvo Montalbano con i suoi colleghi del Commissariato. Camilleri mette in risalto il protagonista, che si staglia al di sopra di tutti. Ne delinea un carattere fuori dagli stereotipi. Burbero e allo stesso tempo attento alla dimensione umana, apprezza la buona cucina tradizionale. Per questi aspetti ricorda un famoso commissario di un secolo fa, Maigret, ma il nostro si distingue per l’essere provvisto di una buona dose d’ironia e la natura solitaria, mosso da una propria spinta etica, che rischia spesso di metterlo in conflitto con istituzioni e gerarchia.

Montalbano si affida al suo istinto e alla sua capacità di connettere eventi apparentemente scollegati per risolvere i casi. È lui che li risolve ricostruendo la sequenza e la connessione dei fatti e le loro motivazioni. I contributi dei colleghi consistono in dati e informazioni affidabili e, spesso, nel fornire inconsapevolmente indizi o spunti, attraverso dialoghi, osservazioni casuali. È Montalbano che ne coglie il valore e li rende elementi che lo portano alla soluzione dei casi. Un’arguzia che Montalbano esercita con pacatezza, senza vanterie che lo renderebbero antipatico.

Il concreto buon funzionamento di una squadra è piuttosto diverso. È necessario garantire procedure, strumenti e sedi per mettere in comune le informazioni necessarie ad operare in modo coordinato e consapevole. In caso contrario cresce il rischio di difficoltà di comprensione e interazione, di conflitti e scarsa efficacia.

Non ci sono problemi del genere al Commissariato di Vigata. La leadership del commissario Montalbano, la sua capacità di far sì che i suoi principali collaboratori “vogliano fare” quello che chiede è evidente. Quelli che ci vengono presentati costantemente, il vice Mimì Augello, l’ispettore Giuseppe Fazio, l’agente Agatino Catarella hanno un solido senso d’appartenenza, tutti molto motivati verso il lavoro e legati dalla stima verso il Commissario. Vale anche per il medico legale Pasquano, che condisce con improperi e sarcasmo osservazioni acute e precise.

Non ci sono profonde incomprensioni, invidie e gelosie. Una situazione invidiabile per molte strutture organizzative.

Coerente con la letteratura sociologica è la capacità di Salvo Montalbano di delegare in modo coerente e proporzionato alle caratteristiche dei principali collaboratori. Sa di chi si può fidare e per cosa. 

Una delega efficace richiede che siano espliciti, chiari e condivisi quattro elementi: 1) quali sono i risultati attesi; 2) i limiti entro cui operare; 3) le risorse che vengono messe a disposizione; 4) come saranno valutati i risultati e con quali scadenze. La delega può essere di due tipi: operativa, con la richiesta di eseguire un compito preciso e limitato. Con Agatino Catarella si tratta di consegnargli un computer per l’analisi e reperimento di informazioni informatiche. L’altra tipologia è di responsabilità, assegnando un obiettivo e lasciando libertà sul metodo. Lo vediamo con Mimì Augello, al quale Montalbano si rivolge per svolgere parti delle indagini, ottenere informazioni, in particolare grazie alla sua rete di relazioni. Intermedio ai due l’ispettore Fazio, che raccoglie in modo esatto informazioni con il ricorso fonti determinate.

Secondo gli addetti ai lavori le vicende del Commissario Salvo Montalbano mostrano aspetti improbabili nella realtà per la mancanza di riferimenti a procedure e i margini di autonomia che arrivano all’irriverenza verso la gerarchia, che sarebbe certamente sanzionata. Probabilmente sono questi gli elementi che hanno incontrato la simpatia di milioni di lettori e spettatori.