Skip to main content

«A l’arme! A l’arme! I priori fanno carne! Armatevi cattiva gente!» gridava un orologiaio per le vie di Firenze all’alba del 20 luglio 1378. È uno del popolo, un piccolo artigiano, decide che non sta con i priori, questi traditori amici dei ricchi. Avverte che i priori “fanno carne”, cioè un massacro, per reprimere la ribellione della povera gente, i Ciompi, che da un mese chiedono migliori condizioni di lavoro, di retribuzione e un ruolo nel governo della città. Durante la notte era ad aggiustare l’orologio della torre del palazzo che dal 1302 è la sede dei priori (oggi Palazzo Vecchio). Per caso sentì ciò che si decideva in una riunione segreta.

Chi sono i Ciompi? Hanno trovato questo nome per riconoscersi, sono i lavoratori che a domicilio o nei laboratori svolgono le varie fasi per la produzione dei tessuti di lana che hanno reso Firenze una delle città più ricche dell’occidente cristiano. È il lavoro la chiave del successo di questa città dove materie prime e semilavorati si trasformano in panni pregiati. L’acquisto della materia prima, soprattutto di lana e seta, e la vendita del prodotto finito si basa una rete di rapporti commerciali in tutto il mondo conosciuto e veicolati da una moneta, il fiorino. Dal 1253 la zecca di Firenze conia il fiorino. Restò sempre di 3,54 grammi di oro a 24 carati e primeggiò in Europa e buona parte del mondo conosciuto come moneta internazionale per almeno tre secoli. Il potere economico ha portato il potere politico. Dal 1293 gli Ordinamenti di giustizia hanno escluso dalle cariche politiche i nobili. Solo chi appartiene ad una delle Arti può divenire Gonfaloniere di Giustizia, una via di mezzo tra un sindaco e un capo di governo, e uno degli otto priori che stavano in carica due mesi (non erano preoccupati dalla stabilità ma dall’accumulo di potere). Erano scelti fra coloro che erano “imborsati”: il loro nome era messo in borse per partecipare all’estrazione per assumere un incarico pubblico. Governano la città per conto del Popolo, costituito da coloro che lavorano e hanno una attività propria: industriali della lana, mercanti, giudici, banchieri ma anche muratori, calzolai, macellai, fabbri, osti. Però c’è lavoro e lavoro. È quello degli imprenditori iscritti alle Arti maggiori che prevale nella carica di priore. Sono sette le Arti maggiori, le più importanti sono l’Arte della Lana e quella dei Giudici e Notai. Lo era anche l’Arte dei Medici e Speziali. Vi apparteneva Dante Alighieri e così fu uno dei priori nel bimestre dal 15 giugno al 15 agosto 1300. I priori sono otto, sei delle Arti maggiori e due alle minori. Sono loro il Popolo, che governa unito dall’opposizione ai magnati, i nobili che non lavorano. Rimangono fuori i dipendenti, sottoposti a regole decise unilateralmente dall’Arte ed esclusi dagli uffici del governo.

La loro ribellione, il “tumulto dei Ciompi” sarà una violenta fiammata che tra giugno e settembre del 1378 porterà benefici sia nelle regole del lavoro che nell’assetto istituzionale del comune di Firenze. Cambiamenti però di brevissima durata, seguiti da una dura repressione e rispristino dello status quo.

Barbero lo racconta, con la sua famosa capacità, in modo chiaro, dettagliato e molto coinvolgente. Centinaia di migliaia sono le visualizzazioni delle sue conferenze: senza effetti speciali, solo lui che parla davanti a un leggio. Eppure come riesce a rendere appassionante il racconto! Questo testo lo conferma. Certo, c’è una non comune capacità narrativa, del tutto straordinaria in un accademico. Infatti Alessandro Barbero è l’accademico che nel 1996 ha vinto il premio Strega con il suo romanzo d’esordio Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo. Non meno importante è l’accurato lavoro di documentazione. Lo abbiamo visto nel poderoso apparato di note del suo Dante. Qui ce lo dimostra nel racconto della rivolta dei contadini del Canavese del 1386. Rivendica l’impegno al ricorso a fonti originali, non solo i cronisti del tempo. La documentazione contabile, in quel caso degli amministratori dei conti Savoia, offre un consistente contributo alla ricostruzione degli avvenimenti. «Noi abbiamo tutti i rotoli dei conti del balivo (…) stanno in Archivio di Stato e uno, se non ha paura di impolverarsi le mani e se ha un tavolo grande, lo srotola e ci trova tutto quello che gli serve».

Sono quattro le rivolte di soggetti subalterni illustrate da Alessandro Barbero: la rivolta contadina detta Jacquerie che scoppia in Francia nell’estate del 1358; il tumulto dei Ciompi a Firenze dell’estate 1378; The Peasants’ Revolt del maggio 1381, in Inghilterra, che non fu solo una rivolta contadina bensì una sanguinosa insurrezione di massa contro l’imposizione di una nuova tassa da parte del governo del re, la poll tax, la più iniqua e odiata in quanto l’importo era uguale per ogni persona; infine la rivolta dei Tuchini del Canavese, senza dubbio la più efficace e duratura delle quattro: va dal febbraio del 1386 fino alla fine del 1390.

Le daremo una particolare attenzione. Ma innanzi tutto una domanda: come mai in Europa ben quattro ribellioni così importanti di contadini e classi subalterne nell’arco di meno trenta anni nella seconda metà del XIV secolo?

La spiegazione sta nel maggior benessere di quel periodo. Barbero afferma che «Tutti i dati di cui disponiamo dimostrano che dopo la prima grande epidemia di peste [del 1348-49] la drammatica riduzione numerica della popolazione garantì un significativo innalzamento del tenore di vita dei salariati. Il potere d’acquisto dei contadini poveri, dei braccianti agricoli, degli operai si accrebbe sistematicamente per decenni, permettendo a un’ampia fascia di popolazione di nutrirsi meglio, vestirsi meglio, concepire speranze di progresso e ascesa sociale e di partecipare più liberamente alla vita comunitaria». Non è paradossale che il miglioramento sostenga la richiesta di ulteriori passi avanti. L’estremo bisogno, la disperazione, rendono disponibili ai peggiori ricatti. Invece in quei decenni si accesero speranze di miglioramento che vinsero la rassegnazione. In tre casi le rivendicazioni economiche furono connesse ad una richiesta di potere politico e alla sanguinosa eliminazione fisica di quelli che erano considerati i soggetti avversari: nobiltà, magistratura, alto clero (monaci e preti di campagna in vari casi si unirono alla rivolta e qualcuno divenne addirittura un leader di riferimento). Inghilterra e Francia erano regni: bersaglio dei rivoltosi furono i gestori diretti del potere locale, mentre il re venne considerato al di sopra delle parti.

Il quarto caso, la rivolta dei Tuchini del Canavese, ha lasciato una traccia profonda. Per quanto in modo alterato, ben distante dalla realtà storica, è il riferimento della battaglia delle arance che ha reso famoso il carnevale di Ivrea. La cosa notevole è che nel Canavese prevale la dimensione negoziale. I massacri con migliaia di vittime degli altri tre casi qui sono del tutto assenti. Scrive Barbero «ci sono stati solo due morti (…) Giovanni di Montalenghe dei signori di San Martino e sua moglie (…). Come danni alle persone, molto meno di quello che provocava una qualunque delle guerricciole private [fra i nobili locali] (…) Quello che veramente è successo è che i signori sono stati buttati fuori dai castelli (…) le comunità hanno occupato i castelli, hanno preso in mano il governo e la difesa del territorio (…) hanno steso dei patti scritti, hanno firmato degli impegni, davanti a un notaio, (…) una dimostrazione notevole di maturità politica e capacità d’azione collettiva». Anche la repressione del 1391 è moderata: si registrano otto impiccagioni. Poi «si chiudono i conti e una sentenza Amedeo VII perdona tutti i colpevoli per i crimini commessi durante la rivolta, salvo il pagamento di cospicue multe».

I fattori che sostengono questo peculiare svolgimento dei fatti richiamano analogie con un contesto sindacale. Barbero spiega che il Canavese era una zona densamente popolata, con una intensa rete di relazioni fra le comunità dei vari villaggi e fa sì che in quel caso «vivere nel quadro della signoria medievale era una scuola politica per tutti (…) obbediscono alle stesse consuetudini, che magari sono diverse rispetto al paese vicino (…) Allora ci si organizza e si chiede al signore di riconoscere la comunità, dialogare con i rappresentanti eletti. (…) Le comunità hanno imparato da un pezzo che con i signori ci si può anche mettere d’accordo (…) ottenere una carta di franchigie: è un documento ufficiale controfirmato da un notaio (…) ottenere statuti, cioè un regolamento della vita collettiva (…) qualsiasi concessione che interessi la comunità può essere negoziata e ottenuta». Per contrattare occorre un potere contrattuale, occorre che entrambe le parti ritengano praticabile e più vantaggioso un accordo che uno scontro volto ad eliminare le posizioni dell’avversario.

Come abbiamo detto non tutti i nobili locali si comportavano allo stesso modo. Fra loro c’erano conflitti, anche violenti, “guerricciole private” con distruzione di case e raccolti, uccisioni e ferimenti della popolazione. Le famiglie Valperga e San Martino si distinguevano in senso negativo, come «una pars esset christiana et alia sarazena», scrive un cronista del tempo. Dobbiamo tralasciare i dettagli, ci limitiamo a riportare che dopo essersi rivolte a una autorità superiore, il conte Amedeo VII di Savoia, e non aver avuto soddisfazione alcune comunità si ribellano e cacciano i signori. Ma non tutte le comunità si sono mosse nello stesso momento. Alcune hanno visto la possibilità di negoziare e il conte Savoia ha consigliato ai signori locali di cedere. È bastata la minaccia di unirsi alla rivolta. Quelli che per primi cacciarono i signori locali dai loro castelli fecero un favore agli altri, il cui potere contrattuale crebbe. Chi si ribellò godé di quattro anni di governo autonomo prima che i conti decidessero di intervenire militarmente. Ma poi si trovano in condizioni peggiori e solo in modo lento e graduale ottennero i benefici che altri, proprio grazie a loro, godevano già.

Quindi il negoziato nelle campagne ha una lunga storia. L’Italia è stata per secoli un paese prevalentemente agricolo, dove era ancora impiegata più di metà della popolazione attiva negli anni Cinquanta del secolo scorso. L’organizzazione sindacale e la contrattazione collettiva è figlia della rivoluzione industriale, nasce, si estende e consolida con il diffondersi delle fabbriche. In tutti gli altri paesi europei il sindacato è stato un fenomeno urbano e industriale. Questo settore ha giocato un ruolo chiave nella storia sindacale italiana. Nel 1885 nascono le prime leghe nel mantovano. Nel 1902 la metà dei 480.000 organizzati in leghe di mestiere appartengono alla Federazione della terra. Accanto alla rivendicazione di una più equa distribuzione della proprietà fondiaria c’è una intensa attività che costruisce una rete di contratti collettivi nel settore bracciantile e in larghe zone della mezzadria. Come ha scritto Barbero riguardo alle comunità del Canavese «Negoziare vuol dire porsi degli obiettivi concreti: cercare di ottenere, per esempio, degli impegni scritti, per cui il signore riduce le sue pretese».

E non esiste il limite invalicabile di quella riduzione anche quando il signore è scomparso dietro anonimi azionisti.
Alessandro Barbero, All’arme! All’arme! I priori fanno carne! G.Laterza & Figli, Bari-Roma, 2023.