Sapere, intelligenza, partecipazione, senso, libertà sono le parole chiave che hanno caratterizzato, sin dagli anni Novanta, la riflessione femminile nel rapporto con una società che mutava rapidamente e muoveva i primi passi verso i nuovi scenari sulle grandi transizioni sostenibili che iniziavano ad affacciarsi.
L’architrave teorico e “politico” stava nel decifrare alcune istanze che avrebbero rappresentato l’agenda culturale femminile all’interno dei diversi contesti socio politici di allora, in particolare su alcuni temi: il valore della libertà di scelta riguardo il tempo ed il luogo di lavoro, la voglia di partecipazione alla esperienza collettiva e politica non solo in una prospettiva di riconoscimento ma di trasformazione verso tutto ciò che affondava le radici nei bisogni umani fondamentali, senso, relazioni, conciliazione, realizzazione, emancipazione della personalità umana.
Nel lavoro le donne proponevano di portare i propri riferimenti di valori e specificità, trovando un lavoro significativo per sè, riconoscibile socialmente e pronto ad incidere nel modello più generale che si andava invece affermando, così da introdurvi i caratteri della sostenibilità, dell’equilibrio con la vita quotidiana, con le tutele necessarie ad un lavoro stabile e ben retribuito.
Il tema della conciliazione tra lavoro e vita si andò via via identificando come indiscutibile fattore di libertà e umanizzazione del lavoro, per la possibilità delle persone di decidere dove e quando lavorare. La riduzione dell’orario, la scelta dei turni, l’accesso al part time e, da ultimo, la possibilità di lavorare da remoto, furono segnali importanti di un processo che avvicinò il lavoro alla vita quotidiana, alle preferenze e alle condizioni personali di chi lavorava.
Pensiamo a quanto abbia significato questa consapevolezza per le migliaia di lavoratrici nelle fabbriche, negli uffici, nelle diverse professioni, nelle aziende pubbliche o dello Stato, interessate a farsi domande sulla qualità del proprio lavoro, sulla sua stabilità, sulla crescita formativa, sociale, politica, ma anche sulla scelta di maternità. Una maternità che, intesa come discorso sulla cura, responsabilità, accudimento, educazione, dono, apertura, fu una delle cifre più politiche di quel tempo, attorno a cui si disegnarono percorsi di nuove proposte in ogni luogo sociale, nel sindacato, nelle imprese, nelle città.
Era un affresco esaltante del risveglio femminile, come ci indicava Tina Anselmi, tra storia e modernità.
Un approccio femminile che non si ritrovava nei dogmi, nelle formule vuote dei miti e delle fedi, ma in una strada aperta verso il dubbio, le domande, il pragmatismo.
Erano gli anni in cui si leggeva Teresa d’Avila, le cui scritture anticiparono l’illuminismo, Hannah Arendt, Simone de Beauvoir. Anni in cui le scuole di formazione delle Filosofe di Diotima si incrociavano con i percorsi formativi di noi donne del sindacato e della CISL, incidendo sulla nostra cultura della differenza, sul nuovo valore della maternità responsabile, sulle relazioni e l’alterità, sull’autorità femminile e sull’empowerment dei ruoli assegnati alle donne.
Anni in cui si studiò quell’intreccio complicato e rimosso che c’è tra il lavoro per il mercato e il lavoro domestico e di cura, rendendo visibile la contraddizione prodotta dalla ripartizione ineguale tra uomini e donne che il manifesto “Immagina che il lavoro” (Libreria delle donne di Milano 2009) aveva nominato come: “tutto il lavoro necessario per vivere”. Una sorta di disvelamento sui difficili equilibri di coppia, rispetto i quali Arlie R. Hochschild, evidenziava il paradosso dei “mondi rovesciati”, dei genitori sempre a corto di tempo per i quali la famiglia diventava un lavoro e il lavoro assumeva il senso e l’atmosfera della famiglia.
Erano gli anni in cui, quell’Europa, nata dal manifesto di Ventotene, iniziò ad affrontare e a deliberare sui temi sociali e sindacali.
La materia lavoristica sui mercati del lavoro o sui temi della sicurezza, il principio della giustizia sociale, le nuove diseguaglianze, la denatalità e le fragilità sociali, il welfare ed il benessere divennero prospettive tangibili, reali. Dalle direttive sul part time, sui congedi parentali, sulla flexsecurity ed orari di lavoro, alle azioni positive nel contrasto alle discriminazioni di genere, al benessere organizzativo, al contrasto al mobbing e alle molestie, all’imprenditoria femminile. Tutte materie frutto di un dialogo sociale tra il sindacato europeo e la comunità europea che, insieme, attraverso raccomandazioni e direttive, orientarono il loro recepimento nelle leggi nazionali e poi nella contrattazione collettiva nazionale.
Allora noi donne venivamo da una storia di periferia ed eravamo meno preparate al governo della politica. Per questo furono importanti le azioni positive sulle quote di equilibrio dei generi dentro le organizzazioni, ed altrettanto significative furono quelle infrastrutture partecipative che permisero alle donne di misurarsi con le scelte e le responsabilità delle commissioni aziendali, degli organismi di parità, dei coordinamenti femminili e della contrattazione collettiva.
Testimonianze e tensioni ideali che segnarono questa storia femminile nella Cisl e nella società, al centro della cui narrazione rimangono ancora oggi molte domande aperte, che non trovano di certo risposte stabili, dal momento che il cambiamento modifica la gerarchia delle domande stesse.
Approcci convenzionali come quelli di Fondazione Europea di Dublino (Eurofound) o di ISFOL, ma anche i copiosi studi della Fondazione Corazzin o della Fondazione Nord Est, ci hanno offerto la tesi, in questi anni, che il concetto di qualità del lavoro e della libertà di scegliere nel lavoro, meriti una discussione più contestualizzata ai tempi che viviamo e una comprensione più ragionata delle nuove dimensioni che ne sono coinvolte, soprattutto di quelle considerate oggi delle dimensioni chiave, cioè legate alla sostenibilità.
In questo gioco tra mutamento e persistenza (Manghi 2003) possiamo collocare due esperienze significative in corso di realizzazione.
La prima riguarda il progetto In Sinergia, finanziato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed assegnato ad Adiconsum in partenariato con undici importanti realtà del terzo settore, tra cui ANTEAS, Movimento Consumatori, NeXt Nuova Economia per Tutti, Tutelattiva.
In Sinergia è un progetto dedicato ai cittadini di tutte le età, con proposte info-formative specifiche per le fasce più fragili della popolazione ed in particolare per le donne consumatrici. Attraverso un approccio inclusivo, promuove una sostenibilità per tutti costruendo legami tra persone, terzo settore e aziende sostenibili per realizzare oggi la sostenibilità integrale che guiderà il nostro futuro.
Oggi il progetto mette a disposizione desk informativi, una rete di operatori di comunità, i Ge.Co di ANTEAS, e una helpline telefonica/Live Chat per offrire supporto e guida a tutti coloro che vogliono intraprendere un percorso di consumo più responsabile.
Con il progetto si mette inoltre in evidenza che, oltre alle disparità economiche che rappresentano, in gran parte, la principale barriera all’accesso di beni e servizi sostenibili, si aggiungono altri ostacoli di carattere informativo, culturale, tecnologico che rinviano a barriere e stereotipi nella assunzione di comportamenti inclusivi e sostenibili.
Del resto il problema principale è proprio questo: la convinzione che la sostenibilità sia qualcosa per pochi, quando è il concetto di sostenibilità stesso a dirci che essa crea valore per tutti.
Una seconda esperienza interessante è stata promossa da AsVess, espressione veneta di Asvis, in partenariato con CISL Veneto, Confartigianato Imprese, Confcommercio, Confesercenti e Cna, nel dare un concreto ed efficace contributo alla crescita di consapevolezze e di impegno contrattuale sui temi legati allo sviluppo sostenibile veneto.
Insieme è stata avviata una riflessione ed un confronto sulle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro e sulla necessità di ricercare risposte adeguate dal punto di vista economico, sociale ed organizzativo.
Il progetto si è dato una scala di priorità e di scelte sui temi che impattano maggiormente sugli obiettivi di sostenibilità del lavoro, delle imprese e del territorio avendo come riferimento gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, con particolare attenzione alla lotta alla povertà (Goal 1), al lavoro dignitoso (Goal 8), alla parità di genere (Goal 5), all’industria e all’innovazione (Goal 9), alle disuguaglianze (Goal 10), alle comunità sostenibili (Goal 11), ai modelli di produzione e consumo sostenibili (Goal 12).
Ciò ha permesso di realizzare un percorso di formazione individuato per tematiche e passaggi progressivi, prospettive di senso, proposte politiche, esperienze e buone pratiche contrattuali che possono mobilitare le conoscenze e le competenze degli attori coinvolti sui temi citati.
I quattro pilastri del percorso formativo, infatti, sono stati:
• Pilastro 1. Rigenerazione delle policy regionali sulla demografia
• Pilastro 2. Rigenerazione dei comportamenti e delle iniziative in materia di lavoro povero sostenibile e digitale. L’intelligenza artificiale e le modalità per garantire l’accesso alle informazioni proteggendo le libertà fondamentali.
• Pilastro 3. Misure di economia circolare al 2030 per affrontare gli impatti climatici e ambientali
• Pilastro 4. Rigenerazione della parità di genere per raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment (maggiore forza, autostima e consapevolezza) di tutte le donne
Il percorso è alla sua conclusione e spero ne usciranno delle Linee guida utili alla contrattazione collettiva, per metterla al passo della sostenibilità.
Sulla parità di genere, il confronto ha messo in evidenza lo stretto legame tra le intuizioni, non solo teoriche, del mondo femminile fondate sull’umanizzazione del lavoro e la necessità di darvi forza e riconoscimento. In particolare su alcuni aspetti: le differenze salariali di genere, specialmente analizzando e controllando disparità nella erogazione del salario differito (incentivi, premi di risultato) , la conciliazione tra la cura e il lavoro, individuando un panel di strumenti e prestazioni del welfare aziendale in funzione della conciliazione, un welfare non solo in chiave di beni e servizi, ma anche in termini di maggior tempo per la cura, azioni formative specifiche e obbligatorie per il rafforzamento delle competenze e dei ruoli femminili, politiche di diversity e inclusione nei luoghi di lavoro..
Penso che se il dialogo e la contrattazione tra le parti avranno successo, molte delle trasformazioni che si presenteranno potranno finire bene, in generale anche per le donne.
Più flessibilità e meno fatica, più tecnologia e maggiori libertà, meno inquinamento e più vivibilità delle comunità locali. Le donne sono certamente avvantaggiate dalla loro lunga esperienza di transizioni, intrecci di tempi, luoghi e ritmi (Ponzellini, 2023) tuttavia permangono radicate e forti le loro domande sulle questioni della vita normale, dei bisogni di cura, di relazioni umane e città ospitali, di lavori dignitosi e retribuiti equamente.
Nella prospettiva del bene comune e sostenibile per tutti.
Riferimenti Bibliografici
Filippa M. Tina Anselmi Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca, 2019
Gruppo Electrolux Zanussi Commissione Ipazia alle pari opportunità, 1997
Hochschild A. R., The time bind, Metropolitan Books Ltd, 1997,
Lamon E., Tra diseguaglianze di genere e bisogno di competenze, Fondazione Nord Est, 2024 https://www.linkedin.com/pulse/verso-il-2030-tra-diseguaglianze-di-genere-e-bisogno-tcjef/
Libreria delle donne di Milano, “Immagina che il lavoro” Sottosopra, Milano, 2009
Manghi B. Lavori inutili, Rubettino, Cosenza, 2003
Ponzellini A. M. Lavoro, Tecnologia e Libertà, Guerini e Associati, Milano, 2023Woolf V. A Room of One’s Own, Alma Books Ltd, 1929