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  1. Dalla transizione ecologica alla transizione giusta

La lotta ai cambiamenti climatici, la riduzione delle emissioni e la parallela transizione verso economie sostenibili, moderne ed efficienti rappresentano alcune delle sfide più cruciali al centro delle politiche d’azione di numerosi attori globali. Il tema della transizione ecologica si colloca, infatti, al cuore delle più recenti strategie internazionali, europee e nazionali, trovando un primo riferimento essenziale nell’Accordo di Parigi . Adottato nel dicembre 2015, l’Accordo di Parigi segna una pietra miliare nella cooperazione internazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici stabilendo, per la prima volta, l’obiettivo vincolante di mantenere l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, e impegna i Paesi aderenti a elaborare strategie nazionali per la progressiva riduzione delle emissioni di gas serra.

In ambito europeo, tale impegno è stato ulteriormente rafforzato dal Green Deal Europeo , il piano presentato dalla Commissione Europea nel dicembre 2019 che prefigura la transizione verso un’economia climaticamente neutrale entro il 2050. Questo ambizioso progetto rappresenta il quadro strategico entro cui sono state programmate e avviate, negli ultimi anni, numerose azioni e politiche comunitarie. Tra queste, spiccano la European Climate Law , che sancisce giuridicamente l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 per gli Stati Membri, e il pacchetto di misure Fit for 55 , adottato nel 2021, che mira a ridurre le emissioni nette di gas serra del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

Alla luce di tali obiettivi, risulta evidente che la transizione ecologica richieda ingenti investimenti volti alla promozione e allo sviluppo di nuovi modelli produttivi, economici ma anche sociali, implicando non solo una profonda ristrutturazione delle imprese e dei settori economici, ma anche una trasformazione del lavoro e dell’occupazione, coinvolgendo inoltre i territori e le comunità locali. In altre parole, è sempre più evidente che la transizione debba svilupparsi attraverso processi virtuosi in grado di conciliare gli interessi sociali, individuando strumenti adeguati a garantire un lavoro dignitoso, giustizia sociale e la protezione dei cittadini, dei lavoratori e, in particolare, dei gruppi vulnerabili durante i processi di cambiamento.

  1. La sostenibilità sociale e il mondo del lavoro

Dunque, a rendere ancor più sfidante e complessa la strada verso la transizione verde è l’imperativo della giustizia economica e, ancor più, sociale. Non a caso, la formula “giusta transizione” è spesso citata come un mantra dai policy maker di tutto il mondo, seguendo il dettato programmatico e centrale del “leave no one behind”, ovvero non lasciare indietro nessuno nei processi di trasformazione. Molto genericamente, il concetto allude alla prevenzione e al contrasto delle possibili conseguenze negative della transizione ecologica per alcune categorie di persone: lavoratori e soggetti e comunità vulnerabili in primis. È proprio guardando al mondo del lavoro che, fra l’altro, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha evidenziato che «lavoro dignitoso, eliminazione della povertà e sostenibilità ambientale» rappresentano «le sfide più complesse del nuovo secolo» .

Ed è proprio in questo ambito, dunque, che il sindacato e le relazioni industriali sono chiamati a fare la loro parte, insieme alle istituzioni pubbliche e agli altri portatori di interesse.

  1. La contrattazione collettiva e la transizione giusta

All’interno del paradigma di sviluppo sostenibile e di transizione giusta, emerge quindi il ruolo cruciale delle parti sociali e del loro strumento d’azione previlegiato, ovvero la contrattazione collettiva. In tal senso, è possibile fare riferimento alle Linee guida per una transizione equa dell’OIL promosse nel 2015 che affermano che, al fine di realizzare e garantire che la transizione sia inclusiva e generatrice di opportunità di lavoro, è necessario anticipare gli impatti sull’occupazione, garantire una protezione sociale adeguata e sostenibile per la perdita di posti di lavoro e la dislocazione, ma soprattutto, incentivare e sostenere lo sviluppo delle competenze e il dialogo sociale, compreso l’esercizio effettivo del diritto di organizzazione e di contrattazione collettiva .

Nel dibattito accademico e politico-sindacale, tuttavia, nonostante la crescente attenzione verso il tema, il nodo delle opportunità e delle sfide che la transizione giusta pone alla regolamentazione e al funzionamento del mercato del lavoro rimane ancora in gran parte inesplorato. È quindi opportuno analizzare come le parti sociali attraverso la contrattazione collettiva di settore abbiano risposto alle nuove istanze della trasformazione di settori e attività economico-produttive, esaminando sia le disposizioni contrattuali esplicitamente orientate alla sostenibilità sia quelli potenzialmente utili a promuovere una visione più ampia di sostenibilità (ambientale, economica e sociale).  

  1. Dalla formazione e i sistemi di bilateralità, allo smart-working, l’eguaglianza di genere e la promozione della solidarietà intergenerazionale.

L’analisi di seguito presentata vuole quindi cercare di rispondere alla domanda del se e come le parti sociali abbiano interiorizzato e concretizzato il dettato della transizione giusta. La ricerca è stata condotta su tre settori specifici: metalmeccanico, energetico-petrolifero e creditizio. La scelta di focalizzarsi sui primi due settori dipende dalla loro centralità nella transizione, essendo considerati “hard-to-abate” per la complessità delle trasformazioni richieste in termini di sistemi produttivi e competenze. Il settore creditizio, invece, è incluso per la sua importanza nel sostenere la trasformazione degli altri settori (ad esempio, riorientando i capitali verso investimenti sostenibili) e per il suo focus su temi innovativi come equilibrio vita-lavoro, benessere sociale e riorganizzazione, questioni fondamentali per una transizione giusta.

Fra gli strumenti “tradizionalmente” considerati dalle parti sociali per promuovere la transizione ecologica (e poi anche giusta) emergono in particolare i percorsi di formazione e i sistemi di bilateralità. Con riferimento alla formazione, essa è unanimemente riconosciuta dalle parti sociali nei diversi settori analizzati come un elemento trasversale imprescindibile, ovvero una leva strategica per affrontare le sfide poste dalle transizioni epocali, inclusa la digitalizzazione e la sostenibilità ambientale. Nel settore energetico-petrolifero, in particolare, si favorisce l’adozione di tecnologie innovative, come l’e-learning e le videoconferenze, per garantire l’accesso di tutti i lavoratori ai percorsi formativi, con un’attenzione speciale ai gruppi più vulnerabili, tra cui le donne. Anche nei settori metalmeccanico e del credito, la formazione continua riveste un ruolo centrale, sia per l’aggiornamento delle competenze digitali sia per il rafforzamento della competitività aziendale, ancora con particolare attenzione alla formazione dei lavoratori appartenenti alle fasce deboli e a quelli in mobilità.

Un ulteriore strumento di fondamentale rilevanza emerso dall’analisi è rappresentato dai sistemi di bilateralità, tra cui assumono particolare rilievo l’istituzione e la promozione degli osservatori settoriali dedicati. Questi ultimi, nei settori energetico-petrolifero e creditizio-assicurativo, svolgono un ruolo cruciale nel monitoraggio di tematiche ambientali e sociali, favorendo la sostenibilità e l’occupabilità. La co-partecipazione delle parti sociali risulta, inoltre, essenziale per facilitare l’inclusione dei gruppi vulnerabili e per adattare le politiche di transizione alle specificità settoriali e territoriali.

Oltre alle misure tradizionalmente adottate dalle parti sociali, emergono alcune disposizioni contrattuali innovative finalizzate alla tutela degli aspetti sociali nei processi di trasformazione.

Tra queste, spiccano le misure volte a contrastare la discriminazione di genere e a promuovere la parità di opportunità, questioni in merito alle quali sono state istituite apposite commissioni dedicate alle pari opportunità e alle politiche di conciliazione. Tali strumenti mirano non solo a combattere la violenza di genere, ma anche a favorire l’inclusione femminile. 

Nella contrattazione collettiva dei settori presi in esame un rilievo particolare è attribuito, inoltre, alle misure per la conciliazione tra vita privata e lavorativa, con un’attenzione specifica al lavoro agile e alla riduzione dell’orario lavorativo.

  1. Quale ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva nella transizione giusta?

L’analisi condotta evidenzia che le parti sociali possiedono un significativo potenziale, ancora parzialmente inespresso, per integrare efficacemente aspetti ambientali e sociali nei processi di transizione, quali lo sviluppo delle competenze, la sicurezza, l’equità e il benessere. 

Per quanto riguarda ad esempio le esperienze di bilateralità, se da un lato esse costituiscono esempi di co-progettazione e co-partecipazione, rafforzati dalla autonomia collettiva che progressivamente ne ha consolidato struttura, ruolo e ambiti di intervento, dall’altro si riscontra frequentemente una limitazione al mero monitoraggio delle tematiche di sostenibilità. Tale monitoraggio, però, raramente si traduce in politiche congiunte atta a garantire una transizione giusta dei settori. Tuttavia, proprio grazie al coinvolgimento diretto delle parti sociali e delle realtà produttive, tali esperienze rappresentano strumenti cruciali per promuovere una contrattazione collettiva più rispondente e proattiva (piuttosto che solamente reattiva) alle esigenze della transizione verde e giusta, capace di tutelare gli interessi di tutte le parti coinvolte e di estendere i principi di responsabilità sociale oltre i confini aziendali.

Analogamente, strumenti di conciliazione tra vita privata e lavorativa, come il lavoro agile o il part-time, offrono opportunità importanti per favorire l’accesso al mercato del lavoro di gruppi svantaggiati, tra cui le donne, che spesso si trovano a dover sacrificare la carriera per gestire responsabilità familiari. È però necessario, attraverso una contrattazione collettiva mirata, sviluppare una normativa completa che includa, ad esempio, la protezione del diritto alla disconnessione. Bisogna altresì vigilare affinché questi strumenti non perpetuino le disuguaglianze esistenti, come avviene nel caso del part-time, che talvolta si trasforma in una “gabbia occupazionale” da cui è difficile uscire, soprattutto per le donne.

Dall’analisi emerge inoltre che la capacità delle parti sociali di adattare le politiche di transizione alle specificità territoriali e settoriali rimane un ambito da valorizzare ulteriormente.

Qual è, dunque, il ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva nella transizione giusta? Se da un lato tale ruolo appare cruciale e insostituibile, dall’altro è essenziale che le parti sociali assumano una funzione proattiva, affinché la contrattazione collettiva non si limiti a rispondere alle sfide poste dalla transizione, ma si affermi come una leva strategica istituzionale per promuovere un futuro più equo e sostenibile.