Una gioventù offuscata dal fascismo.
Nato a Milano il 17 aprile 1918 Luciano Bolis, nonostante la formazione giovanile in pieno regime fascista e della sua adesione ai Guf (Gruppi universitari fascisti), durante gli studi universitari alla facoltà di Lettere e Filosofia di Pavia – seguendo gli insegnamenti morali del filosofo Piero Martinetti (che rifiutò di giurare fedeltà al fascismo) e gli ideali di Giuseppe Mazzini – matura la conversione ai valori della libertà e della democrazia. Interessanti le sue oneste riflessioni sul periodo giovanile, comune a molti altri coetanei “Fuori del fascismo, ricordava Bolis, non vi era allora per noi giovani alcuna possibilità di contatti umani, di socialità perché il fascismo aveva monopolizzato tutto, dalla scuola alla cultura, dall’arte allo sport”.
Per seguire la sua vocazione musicale (era violinista) fondò una piccola orchestra giovanile che riceveva i mezzi materiali necessari al suo funzionamento, e alle pubbliche esibizioni, dalla GIL (Gioventù italiana del littorio), l’organizzazione parascolastica del regime con cui tutti gli insegnanti erano invitati a collaborare in veste di istruttori; a Milano faceva il cantore durante la messa domenicale al Duomo. Ma saranno le leggi razziali prima, e la dichiarazione della guerra dopo, a farlo allontanare definitivamente dal regime fascista; la sua nuova coscienza politica, lo spinge a partecipare a incontri con altri giovani di cultura liberale fino a stabilire rapporti anche con giovani comunisti (diffusione di fogli clandestini). I suoi guai cominciano quando si dimette dagli incarichi che aveva presso la “Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale” col compito di istruttore del sabato pomeriggio (sabato fascista).
Nel 1942, durante il servizio militare nel corso allievi ufficiali, è arrestato e condannato dal “Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato” (in una seduta che condivide con Ferruccio Parri) a due anni di reclusione per “associazione e attività anti-nazionale”. Fu rinchiuso in diverse carceri, tra cui quello di Castelfranco d’Emilia dove si trovava anche Vittorio Foa; in seguito all’amnistia viene liberato e, nel settembre 1943, fugge in Svizzera dove entra in contatto con Fernando Schiavetti (esule in Svizzera fin dal 1931, che gli fa leggere il Socialismo liberale di Carlo Rosselli) e soprattutto con Ernesto Rossi attraverso il quale viene a conoscenza del “Manifesto di Ventotene”.
Scrive a Ernesto Rossi il 6 gennaio 1944: “Federalista, io, nell’animo son sempre stato da quando per la prima volta in Mazzini ho letto quello che in fondo era un vago appello alla solidarietà tra i popoli e poi come reazione al nazionalismo fascista (…), ti ho scritto perché tu mi consideri uno dei tuoi, uno che desidera lavorare al tuo fianco, spiritualmente ora, anche materialmente in un domani che speriamo prossimo.” Rossi gli propone d’incontrare anche Altiero Spinelli.
Nel maggio 1944 a Ginevra i rappresentanti di 8 paesi europei sottoscrivono una Dichiarazione federalista, da inviare alle rispettive organizzazioni clandestine; la riunione si svolge in casa del pastore protestante olandese Visser t’Hoof. I campi di internamento svizzero divennero così la sua “università politica”. In Svizzera Bolis ebbe contatti con personalità politiche di rilievo (Umberto Terracini, Rodolfo Morandi, Luigi Einaudi, Adriano Olivetti).
La partecipazione alla Resistenza, il tentato suicidio e la Liberazione.
Rientra in Italia il 7 ottobre 1944 con l’ardente desiderio di partecipare attivamente e in prima persona alla Resistenza; assume il nome di battaglia di “Fabio”. A Genova ricopre inoltre la carica clandestina di Segretario dell’Unione Ligure del Partito d’Azione e di Ispettore regionale delle formazioni partigiane di “Giustizia e Libertà”.
Il 6 febbraio 1945, mentre si doveva recare a Milano per una riunione segreta del Partito d’Azione, viene arrestato dai fascisti in piazza De Ferrari dove oggi sorge la lapide a lui intestata e alla quale si rende omaggio ogni anno durante la manifestazione del 25 Aprile.
Tradotto prima alla “Casa dello Studente” e poi alla “Caserma delle Brigate Nere” di via Monticelli (luoghi di detenzione dei prigionieri) subì terribili torture che lo indussero al suicido tagliandosi polsi e gola per non rivelare i nomi dei compagni partigiani.
Trovato in fin di vita, i suoi torturatori lo trasportano all’Ospedale San Martino e viene ricoverato al reparto otorinolaringoiatrico (costantemente piantonato dai militi delle Brigate nere) perché volevano che sopravvivesse per rivelare altri nomi. All’Ospedale viene assistito dalla dottoressa Ida De Guidi e dall’infermiera Inez Minuz, che collaboreranno nella pericolosa ma ben riuscita operazione di liberazione attuata l’8 aprile 1945 da un gruppo di partigiani azionisti, diretti da Giovanni Sissa e Stefano Zaino (membri del gruppo di “Giustizia e Libertà”), e comunisti.
Nel maggio 1949 Inez Minuz diventerà sua moglie. Luciano Bolis, sollecitato da Ferruccio Parri, ha raccontato la sua esperienza nel libro “Il mio granello di sabbia”, che riprende la ricostruzione della sua esperienza che nel dopoguerra doveva consegnare al Tribunale riunito per giudicare i torturatori fascisti; il libro diffuso nelle scuole, fu ristampato in diverse edizioni e tradotto in francese (Mon grain de sable).
Con Altiero Spinelli per l’unità federalista dell’Europa.
Nel secondo dopoguerra Bolis è attivamente impegnato nel Partito d’Azione (ed anche come vice segretario nazionale e segretario provinciale e regionale ligure del Movimento Federalista Europeo – Mfe); è tra i fondatori dell’Istituto storico della Resistenza in Liguria e suo direttore fino al 1953. I risultati elettorali delle elezioni del 2 giugno furono una delusione per il Partito d’Azione, anche se era stato il partito che con più convinzione aveva sostenuto la necessità di una Repubblica, ispirata a Mazzini e Cattaneo.
Scrive Bolis (Intervista sull’antifascismo, p. 258, “Nuova Antologia”, 1992, a cura di Piero Graglia) “la demagogia prevalse, la gente o votò cattolico o votò comunista sulla base di schemi prefascisti e di scelte che non avevano molto a che fare con la politica. Il discorso degli azionisti era più complicato e più difficile da esporre in una campagna elettorale improvvisata davanti a un pubblico assolutamente impreparato a recepirlo”.
Insieme ad Altiero Spinelli (di cui nel 1948 era il vicesegretario), dedicò la sua vita alla causa federalista europea attraverso l’azione dell’Mfe e di altre associazioni europeiste. L’unità federalista dell’Europa rappresentava per Bolis la continuità della Resistenza. Fu un grande organizzatore: nell’agosto 1950 è lui a consegnare a Paul-Henri Spaak, Presidente dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, la raccolta di firme della campagna della petizione per il “Patto di Unione federale dell’Europa”.
Nel 1953 è a Roma come vicesegretario aggiunto del Mfe; fino al 30 agosto 1954 è impegnato nella campagna politica per la creazione della CED (Comunità Europea di Difesa, fortemente voluta da De Gasperi) quando viene affossata per il voto contrario dell’Assemblea nazionale francese. Ecco una frase di Bolis del 1952 che sembra pronunciata oggi: “i vari stati nazionali spendono cifre favose per il riarmo delle proprie antiquate strutture militari, e non già per la creazione di quell’esercito unico che solo potrebbe con qualche successo assicurare la difesa dell’intero continente” (“Critica sociale”, n.4, 1952).
Fu una dura sconfitta per tutti quei federalisti che ritenevano possibile l’accettazione dei governi europei. Intanto, a livello istituzionale, nel 1957 si fa un passo avanti e viene sottoscritto il Trattato di Roma, che istituisce la CEE. L’Mfe propone ora un cambiamento di strategia basata su una mobilitazione più diretta dei cittadini: nasce l’idea di eleggere un “Congresso del Popolo europeo” (CPE), con delegati eletti in pubbliche elezioni indette dai federalisti.
Nel 1960 Luciano Bolis si trasferisce a Parigi per esercitare l’incarico di segretario internazionale di questa iniziativa. Nella capitale francese l’anno dopo collabora come giornalista corrispondente della RAI. Alle elezioni vi parteciparono 650 mila persone dei quali 455 mila in Italia.
Fu uno sforzo enorme non supportato da istituzioni pubbliche, che lo costringeranno alle dimissioni. In questo clima si svolge nel febbraio 1962 a Lione il Congresso del CPE che si tiene congiuntamente a quello del Mfe sovranazionale che, schierandosi con la componente di “Autonomia federalista” di Mario Albertini, segna, per la prima volta, la rottura con Altiero Spinelli.
In seguito, tra il 1963 e il 1966 viene attuato un censimento volontario del popolo federale europeo, alla quale aderirono circa centomila persone, soprattutto in Italia. Ma due anni dopo appoggerà nuovamente Spinelli nella sua candidatura al vertice della Commissione europea (1970-1976), mentre Bolis lascia il ruolo di giornalista, corrispondente della Rai a Parigi e nel 1964 diventa vice direttore dell’informazione al Consiglio d’Europa di Strasburgo, città dove rimane 14 anni.
Strasburgo ha tutte le caratteristiche per rappresentare quell’Europa franco tedesca che dopo tante guerre tra i due popoli aveva finalmente ritrovato la pace. Insegnava all’Università, scriveva sul quotidiano locale “Le Nouvel Alsacien” e la sua casa era diventata sede d’accoglienza di personalità europeiste di diverse nazionalità, come ricorda la figlia Lucia.
Nel 1978 ritorna a Roma dove presiede la Federazione delle Case d’Europa per l’Italia. Altre iniziative riguardano la costituzione del Consiglio dei comuni e delle regioni europee. Nel 1979, finalmente, i semi gettati da lunghi anni di lotte federaliste approdano alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo (PE) e, con la speranza che potesse assumere una funzione costituente, Bolis si candida come indipendente nelle liste del Pri, ma non viene eletto. Ciò dimostra che non si era preoccupato di farsi una propria campagna elettorale e, come noto, in quella logica competitiva, il comportamento da pedagogista non era sufficiente per prendere voti.
All’interno del Parlamento Europeo Spinelli darà vita al “Club del Coccodrillo” (dal nome del ristorante dove si riunivano) e il 14 febbraio 1984 viene approvato dal PE il progetto di un Trattato per l’Unione Europea. Notevole fu lo sforzo organizzativo profuso da Bolis per la manifestazione popolare europea a Milano del 28-29 Giugno 1985 alla quale parteciparono circa 100 mila persone provenienti da tutti i paesi d’Europa, indetta in occasione della riunione del Consiglio europeo.
Nel 1988 viene promossa una proposta di legge d’iniziativa popolare sottoscritta da 120mila persone che portò al referendum consultivo del 18 giugno 1989 (in concomitanza delle elezioni europee): l’88% degli elettori italiani si espresse a favore di una Costituzione federale europea e di un ruolo costituente del PE. Il quesito del referendum si esprimeva in questo modo: «Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione dotata di un governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di costituzione da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?».Bolis muore a Roma il 20 febbraio 1993 e seguendo il suo desiderio la tomba è stata collocata accanto a quella di Altiero Spinelli nel cimitero di Ventotene. Lì si trovano le ceneri di un uomo che visse la scelta della Resistenza come un imperativo morale categorico, che si prolungava in quella per l’unità europea. Mai come questo ricordo di Luciano Bolis lo possiamo associare al richiamo kantiano: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”.