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Conversazione con Alberto Cuevas, a cura di Francesco Lauria

Il Progetto è stata una rivista bimestrale promossa dalla Cisl tra il 1981 e il 1999.

Una rivista espressione di un’organizzazione sindacale soggetto attivo di innovazione culturale e politica.

Come è scritto in una delle oltre trenta tesi di laurea dedicate, in toto o in parte, a questa rivista, fin dagli inizi Il Progetto si propose di rafforzare la ricerca e il dibattito culturale del sindacato e della Cisl, nello specifico, analizzando e commentando criticamente i più grandi mutamenti politici, economici e sociali, attraverso saggi, studi e ricerche.

Il Progetto ha accolto numerosissimi contributi di esperti e studiosi italiani e stranieri ed ha sempre tentato di mettere in relazione il mondo del sindacato e del lavoro con il mondo della “cultura”, troppo spesso distante dal movimento dei lavoratori.

In occasione della prima uscita di una newsletter che, nel nome, vuole omaggiare con umiltà questa straordinaria e unica esperienza, abbiamo incontrato Alberto Cuevas, per quasi vent’anni, caporedattore e vera anima della rivista.

Il Progetto: una solida esperienza, durata due decenni. Cosa vi animava, come eravate organizzati?

Le riviste, allora come oggi, sono possibili se dietro ci sono un gruppo, un’associazione, un’organizzazione che hanno qualcosa da dire.

Il cuore de Il Progetto era formato da un nucleo di intellettuali molto preparati che non erano, in gran parte, esponenti organici alla Cisl.

Intellettuali liberi, quando occorreva anche critici, ma che si identificavano con la Cisl e contribuivano al suo dibattito interno.

Pochissimi di loro entrarono, però, a far parte del consiglio generale, penso a Tiziano Treu o a Gian Primo Cella, gli altri non facevano parte del gruppo dirigente.

Una nuova rivista sindacale oggi è possibile e io credo anche necessaria. Molti periodici sono cessati in questi anni, perciò c’è un aspetto importante da tener presente: a chi rivolgersi e con quali strumenti.

Gli strumenti della comunicazione dipendono molto da che cosa si vuole comunicare: c’è chi comunica con articoli molto brevi, chi con piccoli saggi, come facevamo noi.

Il Progetto pubblicava, infatti, circa venti piccoli saggi per ogni numero. 

Una caratteristica peculiare erano le immagini che accompagnavano ogni uscita: abbiamo ospitato le opere dei principali fotografi italiani, penso a Mario Giacomelli e Renzo Sellerio e a tanti altri. Pubblicammo, in esclusiva, anche le fotografie di un grandissimo intellettuale messicano: Juan Rulfo

Come si sosteneva la rivista?

Non provocammo mai perdite economiche alla confederazione, avevamo abbonamenti annuali e rifiutavamo abbonamenti collettivi (es. federazioni, etc.). Volevamo abbonamenti individuali, un’esperienza unica nel sindacato italiano. Il Progetto nacque per richiesta esplicita di Pierre Carniti; fu poi Eraldo Crea, in pieno accordo con Carniti, a dare gambe alla rivista.

In alcuni periodi abbiamo superato anche i 10.000 abbonati, cifra eccezionale per una rivista sindacale.

Sono state scritte oltre trenta tesi di laurea sulla rivista, perché noi affrontavamo temi che hanno interessato dei giovani che volevano capire qualcosa del sindacato.

Ci fu una tesi di laurea particolare, peraltro bellissima, di una ragazza dell’Università cattolica di Milano sulla cultura ebraica nelle riviste cattoliche. Faceva una rassegna di quattro riviste di matrice cattolica. Pur con una forzatura su quest’ultimo punto, perché la rivista era più che laica, il 90% della tesi di laurea si occupò de Il Progetto.

Non rischiavate di essere considerati troppo “esterni” al sindacato e alla Cisl?

Eravamo facilitati dal fatto che la Cisl aveva una rivista prettamente sindacale che si chiamava Contrattazione e che era splendida. 

Noi avevamo la libertà per fare cultura, attraverso una rivista che riflettesse sui temi della società.

Abbiamo fatto scrivere Willy Brandt, Wassily Leontief, premio Nobel. Unico no, garbato, ma non definitivo, lo ricevemmo da Primo Levi, poco dopo scomparso purtroppo tragicamente.

Ci sono numeri che hanno avuto sei ristampe, penso al numero 27 dedicato al tema dell’evoluzione della “classe operaia” e al primo numero dedicato alle donne.

Il Progetto era un esempio di pluralismo culturale, ideologico e anche disciplinare (non vi scrivevano solo giuslavoristi o economisti).

Il Comitato scientifico era attivo e si riuniva ogni tre mesi, mentre la redazione ogni mese.

Dopo l’uscita di Carniti dalla Cisl, il rapporto con Franco Marini fu sempre positivo e cordiale, anche quando qualche articolo e editoriale non lo convincevano a pieno. Per fare un esempio della relazione fra noi, Marini portò me, esule cileno, nella mia madrepatria con lui, quando cadde la dittatura di Pinochet e ci fu l’investitura del primo presidente democratico.

C’era un tema caratterizzante per voi?

Noi ci siamo schierati come rivista a favore della concertazione. Il tema fu a un certo punto dirimente nel dibattito interno della Cisl, perché c’era chi credeva, trasversalmente, che la concertazione indebolisse la contrattazione.

Carniti diede una risposta su questo tema molto importante, ma quando uscì il numero 14 sulla concertazione ci furono alcuni intellettuali critici, penso ad esempio al prof. Guido Baglioni, ma anche alcuni sindacalisti come Eraldo Crea. Quest’ultimo era il direttore responsabile della rivista, criticò l’editoriale de Il Progetto, poi sviluppammo un ampio dibattito.

Il congresso del 1985 elogiò e progettò la concertazione come uno strumento essenziale per il sindacato di quel periodo, molti di noi furono coinvolti nella redazione dei documenti di quell’assise.

Hai un tema da suggerire per un’esperienza editoriale nuova che nasce?

Suggerisco di concentrarsi sul tema dei giovani connesso al tema della precarietà nel mercato del lavoro. Quasi centomila giovani oggi escono, ogni anno, dall’Italia: uno spreco morale ed economico pazzesco.

Il sindacato dovrebbe sviluppare una forte sensibilità verso le giovani generazioni, il tema delle donne e tante altre questioni: pensiamo alla crisi demografica, che è il tema dei temi.

Nel nostro caso, per accrescere il dibattito senza rotture, era importante il sostegno di una dirigenza politica molto forte che ci “copriva”; avevamo piena libertà di programmare la rivista.

Il Progetto è stato il più bel periodo della mia vita da un punto di vista professionale, e non posso che considerare positivamente che, anche indirettamente, questa esperienza sia radice e ispirazione di qualcosa di nuovo e generativo.