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Daniela Fumarola nasce nel 1966 a Taranto. La sua esperienza sindacale inizia nel 1987, anno in cui entra a far parte della Fisba, Federazione Cisl degli operai agricoli, poi confluita insieme alla Fat nella Fai. Qui si dedica per anni all’attività di prossimità, sostenendo e promuovendo il lavoro dei braccianti agricoli nelle Leghe comunali. 

Nel 1993 entra a far parte della segreteria della Fisba di Taranto e viene eletta, nel 2002, Segretario generale della Fai territoriale. Assume, per la Federazione nazionale, la responsabilità del Coordinamento donne. Durante gli anni del suo impegno sindacale si laurea in scienze sociologiche alla Cattolica di Milano. 

Nel 2009 è eletta Segretario generale della Cisl di Taranto, poi divenuta Taranto-Brindisi, restando in carica fino al 2015, quando viene eletta Segretaria generale aggiunta della Usi Cisl Puglia Basilicata. Un anno dopo il Consiglio generale interregionale della Cisl di Puglia Basilicata la elegge Segretaria generale. Dal Congresso del 23 maggio 2017 ricopre la carica di Segretaria generale regionale della Cisl Puglia. Il 29 luglio 2020 viene eletta nella Segreteria confederale della Cisl. 

Nel dicembre 2023 diviene Segretaria generale aggiunta della Cisl nazionale; il 12 febbraio 2025 viene eletta Segretaria generale.

Come ha incontrato la Cisl? Quali sono state le figure di riferimento della sua esperienza sindacale?

Più che un incontro fortuito, per me la Cisl è stata un approdo quasi naturale. Nella Taranto dei miei anni di formazione, la Confederazione rappresentava un insieme di proposte che sentivo già mie: la giustizia sociale, la voglia di stare dentro le cose, la cittadinanza attiva, la partecipazione attiva dei lavoratori. Valori in cui mi sono sempre riconosciuta. Erano anni di grande fermento, con un forte sviluppo industriale e un’ampia espansione della presenza sindacale. In quel clima carico di speranze e di voglia di riscatto, mi sono subito riconosciuta in chi non aveva paura di andare controcorrente, di sfidare il populismo con il sudore dello studio e della progettazione contrattuale e sociale.

Già da ragazza ero impegnata nel volontariato e appassionata di politica. Sognavo di unire la solidarietà quotidiana che praticavo con un’aspirazione ideale di giustizia e cambiamento sociale. L’attività sindacale si è rivelata il connubio perfetto tra questi due aspetti: me ne resi conto quando iniziai a collaborare con la Fisba, che allora organizzava e rappresentava i braccianti agricoli. Di quegli anni porto dentro tante esperienze, tante storie, tanti volti. Sono state le braccianti e i braccianti incontrati nelle campagne – donne e uomini che mi hanno insegnato la fatica e la dignità del lavoro nei campi – a trasmettermi la forza e l’orgoglio di sentirsi parte di una grande organizzazione. Quelle lavoratrici e quei lavoratori, con le loro lotte quotidiane per le tutele, i diritti, il rispetto, sono stati i miei primi veri maestri. Mi hanno fatto capire che il lavoro non è solo fatica individuale, ma patrimonio di dignità collettiva, un bene comune da difendere insieme. Costruendo nella corresponsabilità ovunque sia possibile, ma anche nel conflitto dove è necessario.

Contrattare e mobilitare, sapendo che la lotta non è alternativa alla partecipazione: un’eredità che arriva direttamente dai nostri padri fondatori – primo fra tutti Giulio Pastore, insieme a Mario Romani. La loro visione lungimirante, nello spirito del 1950, diede vita a un sindacato nuovo, plasmato su princìpi che ancora oggi considero fondamentali e attualissimi. Allora, come oggi, l’Italia attraversava una rapida trasformazione tecnologica; forti tensioni geopolitiche dividevano il mondo e la società; la politica e lo stesso movimento sindacale erano segnati da profonde polarizzazioni. E proprio come allora, sono convinta che la strada di un sindacato libero, autonomo, responsabile, inclusivo, contrattualista e partecipativo rappresenti, oggi più che mai, la scelta più moderna ed efficace. È il modo migliore per far progredire la condizione di lavoratrici e lavoratori, per costruire il bene comune e per difendere e rafforzare la democrazia nel nostro Paese.

Quale il momento più bello e quello più difficile della sua attività sindacale, fino ad ora?

Di momenti neri ce ne sono tanti, ma il più duro è quello che si prova di fronte all’ennesima morte o all’ennesimo infortunio grave sul lavoro. Mi è accaduto di dover affrontare in prima persona tragedie simili, sia nei primi anni di attività in categoria, sia più avanti nel mio impegno confederale. Ogni volta è stato straziante, e ogni volta, ancora oggi, è il più profondo dei dolori. Perché ti mette di fronte alla più irreparabile della responsabilità, ti apre voragini di inadeguatezza, misura il senso di una sconfitta collettiva. Anche del sindacato. Anche di chi, come me, ha dedicato la vita a tutelare lavoratrici e lavoratori. Eppure proprio da quel dolore bisogna trovare la forza di reagire: di trasformarlo in una determinazione ancora più grande a cambiare ciò che non va, a lottare perché tragedie così non accadano mai più. È l’unico modo per dare un senso a ferite altrimenti insanabili.

Accanto ai dolori, il sindacato mi ha regalato moltissimi momenti belli ed entusiasmanti. Voglio ricordarne uno che mi è molto caro, in occasione dell’ultimo contratto provinciale agricolo di Taranto, che ho firmato, da Segretaria Fai, il 2 marzo 2009. In un contesto in cui i datori di lavoro consideravano normale che le braccianti dovessero persino espletare i propri bisogni nel fango dei campi, riuscimmo a ottenere l’obbligo per le aziende di garantire servizi igienici adeguati, compresi i bagni chimici mobili. Può sembrare cosa da poco, ma per quelle lavoratrici fu un cambiamento radicale, anche sotto il profilo della sicurezza: significò restituire loro dignità, civiltà, rispetto. Non fu solo una vittoria concreta sul piano igienico-sanitario, ma un segnale di inclusione verso chi per troppo tempo era rimasto invisibile. È stato in momenti come quello che ho capito quanto anche una singola clausola contrattuale possa migliorare la vita delle persone e generare cultura di rispetto. Successi così ti ripagano di tutti gli sforzi e ti spingono a lottare con ancora maggiore determinazione per il bene di chi lavora.

Quali sono le sfide principali per la Cisl e per il Paese alla vigilia del XX Congresso della Confederazione?

Ci avviciniamo al nostro XX Congresso in un passaggio storico carico di responsabilità. Dopo l’approvazione della Legge 76/2025 sulla partecipazione, il compito che abbiamo davanti non è celebrarne il risultato, ma farla vivere concretamente nelle aziende. C’è da renderla effettiva, esigibile, solida nella costruzione contrattuale, capace di generare nuove relazioni industriali, rafforzare la democrazia economica e coinvolgere davvero lavoratori e lavoratrici nelle stanze in cui si decide il loro destino quotidiano. Obiettivo che richiede uno sforzo ad ogni livello politico, formativo e organizzativo, affinché i nostri rappresentanti si confrontino alla pari, con competenza e senza timidezze o subalternità con i rappresentanti delle imprese. Dal singolo delegato sino al dirigente apicale si deve passare dal coraggio della partecipazione, alla più vasta coscienza partecipativa.

Dobbiamo affrontare in modo maturo e non demagogico il primo nodo che riguarda il lavoro: una questione salariale che tira con sé la sfida della produttività e della espansione della contrattazione decentrata, aziendale e territoriale. Il valore aggiunto del lavoro va elevato investendo in formazione, innovazione e partecipazione. Ma il lavoro non può essere ridotto a una leva economica. È molto di più. È una dimensione fondativa della persona, un luogo in cui si costruisce cittadinanza, si fa comunità, si alimenta identità, senso e speranza. Penso a quanto le onde disruptive della digitalizzazione e delle intelligenze artificiali, se non ben governate, mettano a rischio tutto questo questa. È ragione per cui, ora e non domani, bisogna affondare le mani nella sfida della partecipazione, che è la chiave di una nuova algoretica, di condizionalità sostenibili, di un nuovo protagonismo e umanesimo del lavoro.   

È una sfida epocale. Non l’unica. Altrettanto strategico è il compito che ci attende sul fronte del welfare. Il nostro Paese deve uscire da una logica emergenziale, diseguale, spesso inefficace, e costruire una protezione sociale moderna, accessibile, universale. Investire sulla sanità pubblica, sull’inclusione sociale, sulle politiche abitative, sull’istruzione, la pubblica amministrazione, la non autosufficienza. 

Poi ci sono i pensionati, un pilastro della nostra società e della nostra Confederazione. Non solo portatori di diritti, ma risorsa attiva per la coesione intergenerazionale e territoriale. 

Dobbiamo proteggere il potere d’acquisto delle pensioni, ma anche promuovere nuove forme di partecipazione degli anziani alla vita sociale, culturale e associativa. Il diritto alla salute, alla sicurezza e alla generatività non ha scadenza. E noi, come Cisl, vogliamo che nessuna età sia lasciata indietro. Tutto questo non è solo equità, ma anche sviluppo. Perché dove le persone stanno meglio, l’economia cresce di più. 

Dobbiamo tenere insieme crescita e giustizia, impresa e dignità, futuro e coesione. Le dinamiche di cambiamento sono enormi. Per trasformarle in opportunità serve un nuovo patto tra Governo e forze sociali riformiste. Dobbiamo mettere insieme le forze e remare insieme verso obiettivi strategici condivisi. Solo così potremo orientare le grandi transizioni del nostro tempo e non subirle.

Come “sta” il pluralismo sindacale italiano?

Mi verrebbe da dire “molto bene”, se non suonasse ironico. La verità è che da diversi anni ormai siamo di fronte a una mutazione, direi quasi un ritorno alle origini del movimento sindacale italiano. Da una parte un’impostazione più movimentista, protestataria, che tende alla disintermediazione con il ricorso oserei dire sistematico ai toni divisivi e alle barricate contro Governi giudicati nella dimensione politica. Dall’altra, con la Cisl, un sindacato associativo, che assume in pieno la delega consegnata dai propri iscritti e che pertanto si assume la responsabilità del negoziato “fin quando ce n’è”. Questo non vuol dire archiviare il conflitto, la mobilitazione o lo sciopero, ma significa ricorrervi solo se fallisce ogni tentativo di trattativa.     

Ancora oggi, nonostante contrasti e incomprensioni, il pluralismo resta una grande ricchezza per il sindacato italiano, e l’unità un orizzonte verso cui tendere. L’importante, però, è che l’unità venga perseguita su un terreno costruttivo e intelligente, fondato sui contenuti, sul dialogo e su un sano riformismo. Non bisogna farne un feticcio ideologico a cui sacrificare tutto il resto – l’analisi della realtà, la visione, l’innovazione, la progettualità. L’unità fine a sé stessa, priva di basi sostanziali, rischierebbe di diventare un totem sterile che penalizza tutti: le lavoratrici, i lavoratori e il Paese.

Una delle lezioni che Ezio Tarantelli ha lasciato, non solo alla Cisl, ma all’intero movimento sindacale è proprio questa: di fronte ai grandi cambiamenti sociali ed economici, invece di aggrapparsi a una difesa strenua quanto illusoria del passato, non bisogna aver paura di indicare nuovi possibili equilibri nei rapporti tra lavoro e impresa, tra Stato e parti sociali. Essere uniti, oggi, dovrebbe significare avanzare insieme verso una frontiera nuova, non chiudersi entro vecchi confini. Non uso a caso il termine “frontiera” invece di “confine”: il confine delimita e separa, mentre la frontiera è un luogo aperto, di possibile contaminazione.

Da parte sua, la Cisl terrà sempre le porte aperte a chiunque mostri la volontà di cooperare, di camminare insieme oltre gli steccati. Vogliamo costruire unità nel solco dei nostri valori fondanti: l’autonomia da ogni condizionamento politico, il contrattualismo e il pragmatismo riformatore. La partecipazione come bussola strategica. Siamo pronti a costruire insieme a chi condivide questi princìpi, contro gli antagonismi sterili e contro ogni collateralismo. Crediamo in un sindacato che unisce senza omologare, che dialoga senza rinunciare ai propri valori, in una cooperazione virtuosa di idee e proposte al servizio dei lavoratori, dei pensionati e del Paese.

Come è possibile riscoprire e rilanciare la funzione educativa e culturale di un corpo intermedio come il sindacato?

Significa innanzitutto tornare a fare bene il nostro mestiere, con rigore e passione, dimostrando che il sindacato è ancora – e più di prima – uno strumento fondamentale per la crescita civile e democratica del Paese. Ma non basta. Serve una nuova ambizione culturale. Dobbiamo recuperare la nostra funzione educativa come “palestra sociale”, capace di generare cittadinanza, spirito critico, partecipazione consapevole.

Oggi c’è un bisogno urgente di ricostruire comunità dove l’individualismo ha preso il sopravvento. E questo richiede che il sindacato torni a essere presente e riconoscibile nei luoghi in cui si formano le coscienze: nelle scuole, nelle università, nei centri di formazione, nei presìdi culturali e sociali. Non per indottrinare, ma per aprire spazi di confronto, dialogo, crescita. Anche questa è partecipazione: avvicinare i giovani, donne, migranti al senso del “noi”, educare al valore del lavoro come bene comune, contrastare la cultura del cinismo e della disillusione.

Lo abbiamo visto nei momenti più duri della pandemia: quando le persone si stringono insieme, quando la solidarietà è organizzata e non episodica, il futuro cambia direzione. Lì i corpi intermedi hanno dimostrato la loro utilità. Ma oggi serve fare un passo in più: promuovere un’alfabetizzazione civica e sociale, una nuova generazione di cittadine e cittadini consapevoli, capaci di costruire insieme risposte alle grandi sfide del nostro tempo.

Anche per questo dobbiamo rilanciare con forza la formazione sindacale – che non è solo una questione organizzativa, ma una strategia politica. E dobbiamo farlo investendo nei nostri centri studi, nei dipartimenti, nelle fondazioni, nei territori. Coltivando la memoria, aggiornando le competenze, sfidando i linguaggi dei populismi con una proposta di pensiero forte e credibile.

In un tempo in cui molti si rifugiano nella nostalgia o nella protesta sterile, la Cisl deve essere un soggetto generativo, capace di unire, di ascoltare, di proporre. È questa la nostra missione educativa: accendere il fuoco della partecipazione, costruire legami, restituire senso al tempo collettivo. Solo così potremo dare nuova vita alla rappresentanza. E nuova forza alla democrazia.