
Ambrogio Brenna nasce a Senago nel 1950 da una famiglia operaia, in una tipica cascina lombarda. Ha lavorato fin da bambino come garzone da un falegname, da un panettiere e da un elettricista. Ha continuato a fare l’elettricista in una fonderia. È stato un giramondo, un alpinista, un paracadutista e un sindacalista nella Fim Cisl. È stato assessore in Toscana per due legislature, prima di dedicarsi come volontario ad Oxfam Italia. Legge molto, ascolta musica, ama cucinare e viaggiare ed è un nonno felice. Nel 2024 ha pubblicato, per Edizioni Lavoro, l’autobiografia: L’albero vivo spacca la roccia. Storie di vita e di sindacato.
Come ha maturato la decisione di fare la sindacalista e perché la scelta della Cisl?
Una notte del marzo del ’73, mentre ero in turno alla Tonolli, con il cerca persone mi chiamarono in portineria. Chiamata inusuale, fatta da Tino Torrani, operatore Fim di zona che mi comunicava che dopo una lunga discussione lui avrebbe lasciato la zona e io avrei dovuto sostituirlo. Chiesi di poterci riflettere, ma lui mi disse che l’indomani mattina in via Tadino mi aspettava Sandro Antoniazzi, segretario della Fim, per definire le modalità della presa in carico della Fim e che il mio stipendio sarebbe stato di 166.000 lire.
Tornato a casa ne parlai con mio padre che mi rimbrottò. Il mio stipendio era esattamente il doppio e non capiva le ragioni di quella scelta. Tornai da Sandro manifestando il mio “disagio” e lui mi disse che poteva togliermi altre 5000 lire. Iniziai così a fare l’operatore a tempo pieno della Fim Cisl nella zona di Cusano Milanino.
Ma il viaggio inizia da più lontano, mi ero iscritto nel 1966, quasi in conflitto con i miei coetanei che pur avendo molto, così mi appariva, contestavano quasi tutto della Tonolli. Venivo da anni di lavoro sui cantieri, dove quando arrivava l’ispettore mi nascondevo perché minore, per lavori senza protezione, con salari irrisori, con tanta fatica. In Tonolli c’erano la mensa, le docce, le tute e retribuzioni contrattuali, quindi a me apparivano come casinisti e un po’ scansafatiche.
Ma l’ambiguità durò poco e anche in Tonolli emersero tutte le contraddizioni di un lavoro ordinato gerarchicamente, autoritario, sporco, nocivo e altamente insicuro. Nel frattempo si negoziava per il rinnovo del Ccnl. Pierre Carniti ruppe con la consuetudine che se si contratta non si sciopera e se si sciopera non si contratta. Scioperammo per 160 ore per un aumento del 5% sui minimi contrattuali, con le categorie più basse che ebbero il minor risultato. Da lì iniziò una fase di contestazioni e attività di contrattazione aziendale che a poco a poco posero il problema della dignità. Certo le nostre lotte erano per miglior salario, miglior sicurezza, miglior salute, ma in realtà la nuova frontiera era quella di migliori e maggiori diritti, contro l’autoritarismo dei capi, contro l’idea gerarchica che negava le competenze, contro la concezione del lavoro subordinato alla pura logica del potere padronale. Vennero poi le lotte del ‘68, le bombe di Roma e di piazza Fontana i rinnovi contrattuali del 1969, lo Statuto dei lavoratori…
L’impegno a tempo pieno cambiò la mia vita. Non più esposizione al rischio, in fabbrica mi ero intossicato di piombo, non più rapporti gerarchici e punitivi (per aver scritto un manifesto dove indicavo le cause di 18 morti e svariati incidenti invalidanti dal titolo: Costretti a Morire per Vivere, mi presi una sospensione di tre giorni), non più turnazioni quasi sempre notturne, non più mobbing sotto varie forme. Potevo gestire il mio tempo in relazione alle attività sindacali, potevo scegliere di andare a momenti di formazione che la Fim e la Cisl offrivano, potevo stabilire nuove relazioni gratificanti e svolgere al meglio l’attività di rappresentanza e negoziale con i delegati e i consigli di fabbrica. In questa situazione aumentò urgentemente il mio bisogno di sapere, con Fiorella Ghilardotti organizzammo i corsi delle 150 ore dove, da un lato, sollecitavamo la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori e dall’altra davamo indicazione ai docenti.
Questo metteva in evidenza il mio modo disordinato di apprendere e la consapevolezza di sapere di non sapere. Andai da Bruno Manghi, sociologo e formatore della Cisl, e chiesi di andare al Centro Studi di Firenze. Condivise il mio desiderio e organizzò la mia partecipazione. Arrivato a Firenze mi dissero che andava bene studiare, ma se si doveva fare, si poteva farlo di notte perché di giorno c’era da costituire la struttura regionale della Flm, il sindacato unitario dei metalmeccanici. Dopo la responsabilità di Segretario regionale e dopo non poche difficoltà di salute venni eletto nella segreteria nazionale della Fim Cisl e alla fine dei mandati sono stato nominato Assessore regionale all’economia della Regione Toscana.
Quali sono, a suo parere, le sfide e le priorità per un sindacato moderno?
Cosa mi aspetto dal sindacato? Intanto che recuperi la capacità di iniziativa unitaria, che non significa cancellazione delle identità, ma ricerca di punti che offrano maggior tutela, maggior capacità di rappresentanza poiché i lavoratori non sono un tutt’uno indistinto, hanno diversi posizionamenti materiali e ideali. Ci sono mono reddito con famiglie pluricomposte e lavoratori di famiglie pluricomposte e plurireddito, affittuari e proprietari di casa, quindi fare sintesi richiede essere immersi nel mondo del lavoro e dei lavori. Anni fa nel Ccnl dei metalmeccanici vi era una norma che impediva di collocare un laureato al di sotto del quarto livello, oggi i laureati spesso negano il loro titolo per evitare di non essere assunti. Nel tempo dell’intelligenza artificiale occorre aumentare l’offerta di servizi di welfare, più diritti per le famiglie, più tempo per la natalità, per le madri e per i padri, rilanciare il diritto alla formazione continua. Le diverse identità in passato sono state occasioni di arricchimento, di acquisizioni e di scambi che hanno alzato il livello di tutela e rappresentanza. In questo la Cisl è stata protagonista e non si tratta solo di orgoglio di appartenenza, parla la storia, parlano le innovazioni introdotte negli anni
Lei ha dedicato una recente pubblicazione ai suoi viaggi.[1] Qual è stato il suo viaggio sindacale più originale e significativo?
Da Segretario regionale ho avuto l’opportunità di fare molti viaggi in giro per il mondo, incontrando movimenti, organizzazioni, sindacati e istituzioni e cogliere le varie concezioni e scale valoriali, dove il rispetto della vita, la dignità e i diritti erano un fondamento universale. Molti sarebbero i momenti più significativi e importanti delle relazioni che abbiamo costituito, ma quello più emozionante e commovente l’ho provato il primo maggio del 1987 a Belo Horizonte, in Brasile, a un comizio della pastorale operaia (per la polizia eravamo in 50 mila), terminato il quale, su in pianale di un tir, decine di preti celebrarono la messa lanciando sermoni incendiari, affermando che Gesù Cristo era stato un operaio e invitando i padri al momento del Corpus Domini ad innalzare i figli sopra le loro teste. Confesso che la commozione ci travolse.
Un augurio e un auspicio in vista del congresso Cisl…
Cosa mi attendo dalla Cisl, organizzazione alla quale aderisco con convinzione dal 1966, che attraverso la Fim è stata la mia casa, ha segnato i miei affetti e le mie amicizie, i miei saperi e i miei dubbi? Che recuperando un vecchio convincimento sia giusto ribellarsi, ribellarsi alla morta gora, all’accettazione supina di tutto ciò che viene proposto, ai giochi consuetudinari, alla perdita di spirito critico e di autonomia. Noi siamo diventati grandi e rappresentativi quando siamo stati inclusivi, quando siamo stati innovativi, quando abbiamo esercito il potere e la rappresentanza in modo massimamente autonomo con Governi, istituzioni, organizzazioni padronali e partiti. Tornare al mestiere del sindacato, a fare iscritti, e poi offrire servizi, non dare servizi (necessari) per avere iscritti. Rilanciare la formazione, rispettare il pensiero critico, far sì che i gruppi dirigenti siano espressione dei nostri giacimenti di volontà e di saperi, non di beghe di apparati. Questo mi hanno insegnato i nostri padri e i santi minori (questi ultimi andrebbero celebrati maggiormente). Questo mi insegnato il confronto aperto che ci ha fatto forti!
[1] A. Brenna (2023), Non sono come Goethe (Ma ho viaggiato più di lui), Firenze, Forma Edizioni.