
Tiziano Treu è professore emerito di Diritto del Lavoro dell’Università Cattolica di Milano. Già Ministro del Lavoro e Ministro dei Trasporti, è stato Senatore della Repubblica, Presidente della XI Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato nella XV legislatura e vice Presidente nella XVI. Dal settembre 2015 è Presidente della International Society for Labour and Social Security Law. Dal 2018 al 2023 è stato Presidente del CNEL. È autore di numerosi saggi e volumi di diritto del lavoro, diritto sindacale e relazioni industriali, italiani e comparati.
Come e quando ha incontrato la Cisl per la prima volta?
Quando ero giovane, appena uscito dall’università. Non ero solo, ma con un gruppo di amici della Cattolica di Milano, da poco assistenti presso la stessa Università, subito interessati ai temi sociali e del lavoro da Bruno Manghi e Gian Primo Cella. La Cisl di Milano era molto attiva, soprattutto attraverso la Fim, dove già cominciava ad essere protagonista Pierre Carniti. La cosa interessante è che i nostri interessi e la nostra volontà di impegno sociale hanno trovato uno bellissimo sbocco nella Cisl, in particolare in quel periodo, parliamo degli anni Sessanta, dal 1964-1965 fino al 1970.
Sono gli anni della grande crescita del sindacato, gli anni “ruggenti” si può dire, in cui noi come gruppo ci siamo messi a disposizione e abbiamo trovato un’interlocuzione assolutamente eccezionale.
Ciò per quanto riguarda le occasioni di discussione sui problemi sociali e politici: ricordo benissimo che fu presente persino un primo gruppo di ricerca congiunto Fim-Fiom che era molto antesignano. Io ero da poco tornato dagli Stati Uniti ed ebbi l’opportunità di scrivere sulla mitica rivista della Fim di Milano, “Dibattito Sindacale”, sul tema della legislazione di sostegno che allora aveva portato il sindacato americano a crescere moltissimo. Un altro spazio interessante era anche la formazione dei giovani: allora c’erano moltissimi giovani nel sindacato. Sono stati anni molto belli e, per me, importanti.
Quale il momento più bello e quale il più difficile del suo rapporto con il sindacato?
Il più bello è stato proprio il periodo che ho appena descritto e che è durato molto, almeno fino alla fine degli anni Sessanta. Ricordo la mia prima ricerca[1] che si ispirava agli insegnamenti di Gino Giugni sul diritto del lavoro che ci ammoniva che non bisognava solo studiare la legislazione sui libri, ma osservare la realtà sociale.
Io pubblicai un primo mio volume sull’analisi dei delegati dei primi Consigli di fabbrica a Sesto San Giovanni, a Brescia e, per avere un punto di vista ulteriore, nel trevigiano, dove si riscontrava la presenza di una Fim molto vivace.
Quello è stato sicuramente un momento molto bello, ma posso anche ricordare i miei periodi “istituzionali”, rispondendo a questa domanda.
È chiaro che il rapporto è diventato diverso, sono stato Ministro, ma anche nella Commissione Lavoro, l’interlocuzione con la Cisl è sempre stata viva, penso ai dibattiti che facevamo, soprattutto nelle audizioni parlamentari (non parlo di collateralismo!). La presenza della Cisl, in questo caso nella dimensione confederale, è sempre stata molto utile, perché se c’è una cosa che la vostra Confederazione ha sempre cercato di fare, è stato quello di fornire delle idee.
Questo si è protratto anche nella mia più recente Presidenza del Cnel, che poi è stato l’ultimo periodo in cui io ho avuto un ruolo istituzionale.
Anche al Cnel i rappresentanti della Cisl hanno dato buoni contributi, molti poi, erano amici che conoscevo già da tempo.
Il momento più difficile è, oggettivamente, quello attuale, non da oggi, ma si tratta di un momento complicato per tutto il sindacato, in tutto il mondo.
C’è un contesto ostile, il sindacato risulta indebolito anche di idee, è sempre così quando si deve badare a sopravvivere e si è meno disposti a pensare anche quando ce ne sarebbe assolutamente bisogno. Il tema per cui sono molto preoccupato e anche addolorato è che siamo passati da un massimo di unità sindacale ai tempi della Flm a una divisione sindacale fortissima che io vedo come molto grave. Paradossalmente oggi i motivi di divisione appaiono profondissimi, quasi in una specie di ritorno agli anni Cinquanta, pur in presenza di contesti e problemi del tutto diversi.
Mi piacerebbe interloquire di più con la Cisl anche oggi, cosa che accade soprattutto con il Centro Studi di Firenze.
Durante gli anni Ottanta, da intellettuale in rapporto con il sindacato, ha fatto parte del Consiglio generale della Cisl. Come vivevate, voi studiosi del lavoro, l’interlocuzione con l’azione sindacale quotidiana della Cisl di Carniti? Come può essere, oggi, la relazione tra sindacato e mondo della cultura?
Sinceramente l’essere parte di un organismo non era così rilevante. Il rapporto con la Cisl era davvero intenso, direi quotidiano. Ero con Pierre Carniti durante la battaglia di San Valentino sulla predeterminazione della scala mobile e nella rottura che portò al referendum promosso dal Pci.
Tarantelli venne ucciso proprio quando io lo stavo aspettando per discutere di quella situazione. Il rapporto era, come si dice, davvero organico, facilitato dalla personalità di Carniti, un caso più unico che raro di persona sostanzialmente priva di cultura accademica, ma che avrebbe potuto prendere la docenza in sociologia del diritto o in economia sociale. Non è però fondamentale che gli intellettuali siano del sindacato, è, invece rilevante, anche per l’oggi, che ci sia una interlocuzione vera senza formalismi.
Soprattutto è rilevante che le idee elaborate insieme siano accolte, non ha senso un dialogo sterile.
Oggi io continuo ad interessarmi, sia a livello nazionale che internazionale, allo studio delle relazioni industriali.
Molto rilevante è, nello studio internazionale, attivare sedi in cui si confrontino sindacati, imprese, accademici, quasi in una formula parallela a quella trilaterale dell’Organizzazione internazionale del lavoro che coinvolge anche i Governi.
Sindacato e imprese, ma anche istituzioni, invece che sottrarsi o ignorarsi devono studiare insieme, non necessariamente nei luoghi della politica, ma anzi, in quelli dell’elaborazione. Su questo ho lavorato molto anche come Presidente del Cnel e devo dire che, per molti anni, soprattutto dal punto di vista sindacale, l’Italia è stata un modello. Certamente un grande ruolo lo ha avuto la Cisl, ma non va dimenticato che anche la Cgil, per un certo periodo, ha avuto Giuliano Amato alla guida dell’Ufficio studi.
Purtroppo l’interesse allo studio delle relazioni industriali e del lavoro è calato, anche a livello internazionale, è un brutto segno dei tempi in cui viviamo.
La riflessione collegiale sul senso del rapporto tra sindacato, lavoro e impresa si è un po’ perso ormai, persino nelle università americane e inglesi che hanno studiato con profondità questi temi fin dagli anni Cinquanta del Novecento. Con Gian Primo Cella abbiamo scritto anche un articolo in difesa delle relazioni industriali[2] intendendo proprio la difesa di un metodo critico in cui insieme le parti sociali cercano di trovare dei messaggi comuni, invece di confliggere oppure di ignorarsi.
Insomma rischiamo di diventare irrilevanti anche come disciplina, come metodo di studio, oltre che nel rapporto con una politica molto autoreferenziale, in tutto il mondo.
Quali sono le sfide e le priorità oggi per un sindacato moderno nel contesto delle relazioni industriali italiane e internazionali?
Sempre di più le dimensioni internazionale ed europea sono decisive. Anche in questo devo dire che la Cisl è stata pionieristica, io sono stato in Europa per quindici anni e, pur non rappresentando la Cisl, la vedevo molto attiva. A livello internazionale io non dimentico le cose che è riuscita a fare la Cisl in Brasile, per esempio.
Ci sono alcune azioni del sindacato europeo che mi sembrano confortanti, penso ai dossier a proposito delle sfide su come si deve perseguire la sostenibilità ambientale e sociale, la responsabilità di impresa e tutte le più recenti direttive europee.
Certo parliamo di informazione e consultazione, le forme di partecipazione forte non sono molto coltivate dall’Unione europea. Ritengo però positivo il patto firmato circa due mesi fa dalla Commissione europea, dal sindacato e dagli imprenditori sul dialogo sociale, un buon segno in un contesto difficile. Abbiamo due grandi sfide: passare dal black al green e dall’analogico al digitale, vuol dire cambiare il mondo dal consumo alla produzione, mantenendo un concetto olistico di sostenibilità. Il concetto di sostenibilità in senso olistico queste sono le priorità. Bisogna anche cambiare l’agenda del sindacato, un po’ come successe negli anni Cinquanta, anche nella Cisl di Pastore e Romani, con l’arrivo dell’industrialismo. La Cisl, che molto ha fatto ai tempi dell’industrialismo, dovrebbe impegnarsi al massimo per gestire le transizioni. Milioni di posti di lavoro devono diventare “verdi”, migliaia di imprese devono diventare sostenibili. Tutto questo non può essere lasciato fare ai tecnocrati o alle dittature, come in Cina, che sta facendo passi da giganti sui temi green. Non possiamo lasciare la sostenibilità solo alle imprese illuminate.
Anche il rapporto con l’intelligenza artificiale è una sfida fondamentale e le grandi imprese lo stanno gestendo abbastanza bene, ma senza un apporto proattivo del sindacato. Cosa succede per i tre milioni di piccole imprese?
Queste sono, secondo me, le sfide e io al momento attuale appunto sono piuttosto preoccupato, penso, per esempio, alla debolezza della nuova Commissione Von der Leyen. Su questo tema delle transizioni, a livello italiano, si dovrebbe fare un grande patto sociale, in particolare sulla questione di come evitare che l’intelligenza artificiale diventi per l’uomo un pericolo, invece che un’opportunità.
C’è una direttiva europea interessante sui lavoratori delle piattaforme che afferma, sul lavoro, il principio del controllo umano sulle tecnologie. Questa direttiva, però riguarda solo i rider, mentre tutti i sindacati, giustamente, hanno ritenuto importante affermare il principio generale del controllo umano sull’intelligenza artificiale, una tecnologia che ormai è usata da una gran parte di aziende. Un po’ come ci opponevamo ai vecchi caposquadra Fiat che licenziavano discriminando i lavoratori, ora dobbiamo vigilare sull’algoritmo che rischia di fare lo stesso se non viene controllato. Sarebbe un segnale fortissimo, su una delle sfide più importanti che sta cambiando il mondo del lavoro e non solo.
Un’ultima domanda: un augurio e un auspicio in vita del Congresso Cisl.
Mi auguro che l’imminente Congresso rifletta consapevolmente su queste sfide, che non si adagi sul passato e dia un messaggio di unità. Anche se, ovviamente, bisogna essere d’accordo in tre per tendere verso l’unità, occorrerebbe un passo forte in questo senso.
È poi importante istruire un’agenda con l’Unione europea, sui temi che ho citato, continuando la tradizione della Cisl.
Auspico quindi un congresso che faccia propria una dimensione europea, come non può essere diversamente.
Nella dimensione europea anche temi come il rapporto tra salario minimo e contrattazione possono assumere connotazioni nuove, anche se, come è noto, la Cisl è contraria da sempre ad un intervento legislativo.
Ritengo anche che non si possa non affrontare la questione della rappresentatività e che si debba stare sulle questioni del futuro che ho già citato. Sarebbe bello poi approfondire e rilanciare il rapporto e sessioni di approfondimento con il mondo intellettuale, insieme ai più giovani, anche gli ottuagenari come me, per la Cisl, sono sempre disponibili.
[1] Tiziano Treu (1971), Sindacato e rappresentanze aziendali. Modelli ed esperienze di un sindacato industriale (FIM-CISL, 1954-1970), Bologna, il Mulino. Il testo è consultabile online a questo indirizzo: https://www.darwinbooks.it/doi/10.978.8815/412324/page/1r
[2] Tiziano Treu, Gian Primo Cella (2009), Per una difesa delle relazioni industriali in “Giornale di Diritto del Lavoro e di Relazioni Industriali”, N.3/2009.