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Roberto Benaglia è bergamasco. La sua esperienza sindacale parte da giovanissimo con diversi incarichi territoriali e nazionali a partire dai primi anni Ottanta. Nel 1998 entra nella Segreteria della Fim Cisl Lombardia di cui diventerà Segretario generale fino al 2008. Tra il 2008 e il 2016 è componente della Segreteria regionale Cisl lombarda con incarichi sui temi del mercato del lavoro e della contrattazione. Tra il 2016 e il 2019 diviene operatore della Cisl confederale dove si occuperà dei temi legati alle politiche contrattuali, fino ad approdare nel maggio del 2019 nella Segreteria nazionale della Fai Cisl dove ha seguito i rinnovi contrattuali e le relazioni sindacali nell’industria alimentare e con i principali gruppi della stessa. Tra il 2020 e il 2024 è stato Segretario generale della Fim Cisl nazionale, dal 2025 è Presidente della Fondazione Pierre Carniti.

Come ha maturato la decisione di fare il sindacalista e perché la scelta della Cisl?

Sono nato in una famiglia nella quale la sera a tavola, per parafrasare il titolo di un libro, c’erano “Pane, minestra e sindacato”. Mio padre Luigi era delegato degli impiegati dello stabilimento siderurgico della Falck di Arcore. Ero piccolo e me lo ricordo impegnato a scrivere a mano tabelloni per informare i lavoratori su come prevenire gli infortuni e i danni prodotti dal rumore in fabbrica. Lui mi ha portato sedicenne sul treno di notte dei metalmeccanici alla storica manifestazione a Roma del 2 dicembre 1977, e una volta nella sala B di Assolombarda (in cui poi ho passato infinite giornate e nottate di trattativa) per assistere al negoziato per il rinnovo del contratto aziendale.

A 17 anni ho partecipato al camposcuola della Cisl di Milano, direttore Bruno Manghi: c’erano storici militanti, Luigia Alberti, don Virginio Colmegna allora segretario del Sindacato Scuola, giovani della Fgci, avvocati, disoccupati. Un crogiuolo di teste, esperienze, confronti vivaci e aperti, perfino quando la sera si lavavano a turno le padelle.

Cugino di mio padre è stato Giuseppe Benaglia, sempre delegato della Falck. Uno di quei “santi minori” della Fim, mai diventato sindacalista a tempo pieno, ma che determinavano la linea della base verso i vertici, tutto militanza e impegno. Quando negli anni Settanta la Fim di Carniti scelse due figure da inserire nel Consiglio generale confederale per rappresentare la voce dei delegati: scelse Guido De Guidi, delle Acciaierie di Terni, e lui.

A 20 anni come obiettore di coscienza al servizio di leva ho scelto di svolgere il servizio civile alla Cisl Brianza che allora diventava comprensorio autonomo da Milano con l’attuazione della riforma organizzativa di Montesilvano. Mi occupavo delle marce della pace contro gli euromissili, di sostegno a El Salvador, a Solidarnosc. Da quei primi passi, nonostante volessi continuare a studiare, fare il sindacalista nella Cisl è diventato via via sempre più coinvolgente ed appassionante.

La scelta della Cisl non è solo legata all’ambiente familiare. Già al liceo che frequentavo a Monza ci si confrontava con i sindacati. Ricordo incontri serali a cui partecipava Sandro Antoniazzi, allora segretario a Milano. Quelli della Cisl erano davvero i più liberi, più motivanti, più attrattivi per chi voleva semplicemente cambiare il mondo senza dover subire il linguaggio, le parole d’ordine e le regole dei comunisti della Cgil. 

Nella Cisl ho incontrato libertà, valori, voglia di mettersi in gioco, innovazione e tutto questo è impagabile per chi vive di impegno sociale.

Il momento più bello e quello più difficile della sua attività sindacale…

Ho fatto per 43 anni il sindacalista a tempo pieno, sono stato molto fortunato nell’aver potuto girare più categorie (Fai e Fim), più territori, più livelli dell’organizzazione compresa l’esperienza da dirigente e operatore orizzontale.

Non riesco a individuare un solo momento esaltante o critico. Potrei dire che i momenti più significativi sono stati la firma, come Segretario generale, del Ccnl dei metalmeccanici del 2021, ma ugualmente il sostegno a Giorgio Caprioli nella ben più difficile scelta dello storico contratto senza la Fiom del 2001. Ma i più belli sono gli accordi raggiunti nelle fabbriche a rischio chiusura quando si è riusciti a negoziare le alternative. È quel rapporto che si instaura con i lavoratori in quei frangenti la chiave di tutto il senso del sindacato. L’abbraccio di un delegato che alla fine della trattativa ti ringrazia vale tutto l’impegno nell’essere sindacalista.

Così come i momenti più critici sono quando non sei compreso in quel momento dalla gente, quando un accordo in cui ti sei speso viene bocciato o criticato, magari per partito preso o per pura lotta tra organizzazioni senza che il merito conti. Si impara che per essere un buon sindacalista non basta avere buone idee o avere ragione, bisogna riuscire sempre a dare gambe a tutto ciò nella realtà complessa e non sempre ci si riesce. 

Il sindacato è anche tanta fatica, sacrificio, anche solitudine, non sempre ripagata dai fatti.

Quali sono le sfide e le priorità per un sindacato moderno?

Non è facile indicare le tante sfide che oggi si pongono a chi vuole praticare la rappresentanza sindacale. Siamo in un “tempo di mezzo” nel quale convivono forme di lavoro tradizionali con forme assai innovative. Le omogeneità categoriali o professionali si stanno indebolendo. Il lavoro mantiene una dimensione collettiva, ma deve fare i conti con risposte sempre più personalizzate. Non è più il tempo dell’”uguale per tutti” o delle medie. Tante polarizzazioni sono in campo.

Credo che le sfide fondamentali siano essenzialmente due:

– saper ascoltare e interpretare i bisogni inespressi e i cambiamenti che i lavoratori oggi pongono nel lavoro. Le persone chiedono al lavoro cose tra loro diverse, anche nel tempo. Il sindacalismo è chiamato ad un raffinato, ma decisivo lavoro di rigenerazione della rappresentanza che sappia dare voce ai nuovi bisogni e metta in campo risposte.

Alla prossimità e alla capacità di dare risposte e servizi, punto di forza cislino, occorre affiancare una nuova proposta di rappresentanza basata sulle transizioni lavorative, sull’importanza del valore del lavoro, su un lavoro che riconosca e faccia crescere i tempi e le esperienze di vita e di cura delle persone;

– innovare la contrattazione collettiva, che resta la principale azione sindacale su cui impegnarsi, rendendola capace di aprire spazi e soluzioni personalizzate, mutualistiche, riconoscibili da chi lavora. La contrattazione, oltre che strutturare la partecipazione dei lavoratori alla vita organizzativa e strategica delle imprese, è chiamata a governare l’ingresso dell’intelligenza artificiale, il passaggio dalla paga oraria ad una retribuzione giusta basata sui risultati, a generare sistemi socialmente condivisi di riconoscimento delle professionalità e dell’accesso alla formazione, a produrre sistemi di orari e di welfare che riconoscano e rispondano ai bisogni sempre più differenziati che i lavoratori hanno in via altalenante lungo la propria vita lavorativa.

Quali sono le priorità e le sinergie per il futuro della Fondazione Carniti?

Non potevamo continuare a lasciare ai margini della visione e della riflessione in Fim e in Cisl la straordinaria figura di Pierre Carniti, che con l’azione impressa alle vertenze e ai metalmeccanici a Milano negli anni Sessanta ha dato gambe e sostanza alla elaborazione dei padri fondatori della Cisl. 

La Fondazione non nasce per coltivare nostalgia. 

Vogliamo certamente valorizzare il patrimonio storico, sindacale e valoriale che Pierre ha praticato e ci ha lasciato, sapendo che i tempi sono molto diversi e non confrontabili. Ma quei valori ci interrogano ancora, anche se chiedono risposte nuove.

Siamo positivamente sorpresi dall’attenzione e dalla partecipazione che attorno al nome di Pierre Carniti stiamo registrando, ben 40 anni dopo che ha smesso di fare il sindacalista. Vediamo attenzione sia dai “senior” che lo hanno conosciuto, ma anche dai più giovani che ne conoscono solo il nome, ma che vogliono scoprirlo e conoscerlo da vicino.

Come Carniti ha sempre spronato tutti, vogliamo tuttavia occuparci poco del passato e più del lavoro che cambia e di come possono cambiare le relazioni industriali. È questo un “tempo nuovo” per il lavoro e per il rapporto tra le persone e il lavoro. 

A noi non tocca preparare nuove piattaforme sindacali, ma vogliamo aiutare tutto il mondo Cisl e non solo a confrontarsi, elaborare e studiare le nuove sfide e i nuovi contesti e contenuti su cui il sindacalismo deve misurarsi.

Di fronte al nuovo nel lavoro serve visione. Per sostenere l’innovazione sindacale serve un pensiero strategico. 

Noi vogliamo portare il nostro mattone per costruire la cattedrale del sindacalismo futuro.

Abbiamo già rilanciato in questo senso il Premio Pierre Carniti, che dopo 2 anni di battuta d’arresto torna con una nuova edizione per incoraggiare e premiare studi di giovani sul lavoro.

Abbiamo avviato una serie di seminari e webinar per confrontarci con testimoni e protagonisti importanti di questa nuova e ricca stagione del lavoro.

Vogliamo anche mettere a punto strumenti per operatori e delegati, chi la contrattazione la deve vivere in prima persona, per fornire mappe di intervento sui temi più dirompenti e innovativi, a partire dal contrattare la partecipazione e l’intelligenza artificiale.

Ma sappiamo di essere gli ultimi arrivati, e con solo i nostri pochi mezzi, in un mondo di Fondazioni e centri studi già ricco in Cisl. In questo senso coordinarci e fare sinergia con chi da tempo è in campo su questi terreni è per noi un bisogno importante che con umiltà vogliamo adempiere.

Un’ultima domanda: un augurio ed un auspicio in vista del Congresso Cisl…

Il Congresso costituisce sempre un momento importante, ricco e denso, tanto più di questi tempi, tanto più con una nuova leadership in Cisl.

L’augurio è che venga vissuto con le “porte aperte”, capace cioè di rafforzare la connessione vitale e strategica della Cisl con il mondo del lavoro sempre più parcellizzato, di rilanciarne la capacità di rappresentanza forte e diretta, di incidere fortemente sulla agenda sindacale del Paese, di calamitare attorno alle idee e alle proposte della Cisl l’interesse al dialogo e al confronto di tutte le parti sociali, di alimentare una rete di relazioni proficue con la società civile, il volontariato, il terzo settore per la costruzione di alleanze mirate ed efficaci su temi concreti e critici per la condizione dei lavoratori.

L’auspicio è che al centro del Congresso sia posta e vissuta la parola “coraggio” che sta nello slogan congressuale. È un progetto impegnativo quello di avere oggi coraggio nel rappresentare il lavoro, ma è quello che serve per rompere un conformismo sindacale, che spesso le altre Confederazioni alimentano. È il tempo del “sindacato nuovo” che i padri fondatori avevano già disegnato, è il tempo della innovazione nel fare organizzazione e nel fare contrattazione, ed è il coraggio, che non significa puro orgoglio o spregiudicatezza, ma significa progettare e mettere in campo quei cambiamenti che oggi corrispondono ai nuovi bisogni di chi lavora e che la Cisl è in grado di rappresentare.