
Gianni Bocchieri è Direttore Area Formazione Regione Piemonte, già Commissario Straordinario dell’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ex ANPAL).
Laureato in Economia presso l’Università degli Studi di Napoli, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Economia e Politica dello Sviluppo. È dirigente pubblico di lungo corso, con esperienze nei Ministeri dell’Economia, del Lavoro e dell’Istruzione, oltre che presso amministrazioni regionali.
Nel corso della sua carriera ha ricoperto incarichi di responsabilità nella progettazione e gestione di interventi strategici per l’occupazione, la formazione e l’istruzione tecnica e professionale, con particolare attenzione alla programmazione integrata dei fondi europei.
È stato autore e promotore di modelli di cooperazione tra istituzioni centrali e territori, orientati a rafforzare l’efficacia delle politiche attive del lavoro e a favorire l’incontro tra domanda e offerta di competenze in un’ottica di sviluppo sostenibile.
Come e quando ha incontrato la Cisl?
Professionalmente, la prima volta che ho incrociato la CISL è stato ai tempi delle profonde riforme del mercato del lavoro realizzate dai provvedimenti Treu. Era il 1997: in appena sei mesi furono superati i due divieti storici di intervento di operatori privati autorizzati nell’interposizione di lavoro e nella mediazione tra domanda e offerta di lavoro.
L’Unione europea ha recentemente lanciato l’iniziativa “Union of skills”- “Unione delle competenze”: quale il ruolo per il sindacato e per le parti sociali in questa sfida?
L’Union of Skills non è solo una strategia formativa, ma la risposta strategica dell’Europa a una “tempesta perfetta”: la convergenza tra la doppia transizione (digitale e verde) e una profonda crisi demografica. La denatalità e l’invecchiamento della popolazione rendono strutturale la difficoltà delle imprese nel reperire lavoratori.
Di fronte a sfide così complesse, il dialogo sociale diventa il metodo di lavoro imprescindibile per governare la trasformazione, perché permette di:
a) creare consenso, allineando gli interessi di imprese e lavoratori verso un obiettivo comune: la competitività del sistema e la buona occupazione;
b) garantire efficacia, contribuendo all’attuazione delle soluzioni negoziate (es. sulla formazione, relativa all’organizzazione del lavoro);
c) assicurare equità, permettendo di distribuire i costi e i benefici della transizione e prevenendo tensioni sociali.
La carenza di personale sposta il baricentro del potere contrattuale e rende il capitale umano risorsa ancora più preziosa. In questo contesto, a mio parere il ruolo dei sindacati e delle organizzazioni datoriali si articola su fronti ancora più strategici:
- attrattività dei lavoratori come leva competitiva. Il salario può non bastare. La contrattazione può dischiudere possibilità di orari flessibili, welfare aziendale, benessere organizzativo, formazione, carriera;
- ottimizzazione di tutta la forza lavoro potenziale. La denatalità obbliga a valorizzare ogni risorsa disponibile. Il ruolo delle parti sociali è fondamentale per negoziare condizioni che favoriscano l’ingresso e la permanenza nel mercato del lavoro di donne (attraverso servizi di conciliazione vita-lavoro), giovani (con apprendistati di qualità) e per gestire un’immigrazione qualificata in modo equo, garantendo parità di trattamento ed evitando il dumping sociale.
Si potrà davvero rilanciare in Italia lo strumento dell’apprendistato, sia nella forma duale che in quelle più classiche? Quali sinergie da rilanciare tra governance statale, regionale e delle parti sociali?
Ho sempre creduto nello strumento dell’apprendistato come contratto di primo ingresso nel mercato del lavoro e anche per la qualificazione dei lavoratori. Anche grazie all’investimento del PNRR, il duale ha avuto un importante incremento che dimostra come il sistema formativo e quello delle imprese siano pronti a lavorare con questo strumento.
In Italia convivono, di fatto, due tipologie di apprendistato molto diverse tra di loro.
- l’apprendistato formativo (I e III livello – “Duale”), è il modello più vicino agli standard europei. I suoi numeri però sono ancora drammaticamente bassi. La sua attivazione è ancora un percorso a ostacoli per le piccole e medie imprese. Le scuole e le università lo sottovalutano;
- l’apprendistato professionalizzante (II livello): riguarda il 95% dei contratti di apprendistato, ma in Europa non viene nemmeno considerato apprendistato. È di fatto un contratto di inserimento lavorativo a costo agevolato, la cui componente formativa è debole e non certificata in un sistema di qualificazioni riconosciuto.
Il rilancio, quindi, non può essere messo in campo con un’azione unica, ma deve agire su entrambi i fronti: potenziare e semplificare il sistema duale e, al contempo, qualificare il professionalizzante.
Ciò è possibile se si abbraccia un modello di governance collaborativa.
Serve una visione sistemica in cui lo Stato fissa la rotta, le Regioni costruiscono le infrastrutture territoriali e le parti sociali animano il processo, assicurando che la formazione sia al centro del contratto e non un suo mero accessorio.
Quali sono, per lei, le caratteristiche e le sfide di un sindacato moderno?
Per me, le caratteristiche principali sono due:
- Capacità di visione, partendo dalla lettura dei dati di contesto.
- Voglia di negoziare sempre.
Non siamo più ai tempi della società industriale fordista: grandi fabbriche, lavoro stabile e omogeneo, confini chiari tra tempo di lavoro e tempo di vita.
Oggi le sfide sono altre: frammentazione del lavoro, esplosione del lavoro autonomo, piattaforme della gig economy, contratti atipici. Transizioni digitale ed ecologica: l’automazione e l’intelligenza artificiale minacciano alcune professioni e ne creano di nuove, mentre la transizione verde richiede una riconversione di interi settori industriali. Nuovi bisogni: i lavoratori esprimono nuove esigenze individuali di flessibilità, formazione, benessere e significato nel lavoro.
A mio giudizio, di fronte a questi cambiamenti, un sindacato moderno deve poi fare cose concrete, magari misurabili:
- spostare il focus dalla difesa del posto di lavoro alla garanzia della sicurezza professionale del lavoratore nel mercato del lavoro, anche valorizzando la formazione continua;
- co-progettare politiche industriali, sociali e governare le transizioni;
- rappresentare i nuovi lavori, estendendo la loro tutela oltre il lavoro dipendente tradizionale, includendo i lavoratori delle piattaforme, i freelance e le partite IVA, con servizi e contratti innovativi;
- fornire servizi ad alto valore aggiunto, andando oltre l’assistenza fiscale e legale di base, offrendo servizi personalizzati come orientamento professionale, bilancio delle competenze e supporto alla carriera;
- essere un attore intelligente: rafforzare la propria capacità di lettura delle realtà del mercato del lavoro, usando i dati e le analisi nella contrattazione e nel dialogo sociale.
Un augurio e un auspicio in vista del Congresso nazionale Cisl…
Dopo il successo della legge sulla partecipazione dei lavoratori, l’augurio e l’auspicio è quello di riuscire a renderla più operativa possibile con un monitoraggio costante della sua applicazione per la più completa diffusione degli importanti strumenti previsti.