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Sergio D’Antoni, dopo una lunga carriera sindacale, è stato Segretario generale della Cisl dal 1991 al 2000. Deputato della Repubblica dal 2004 al 2013, ha assunto l’incarico di vice Ministro dello Sviluppo economico dal 2006 al 2008. Dal giugno 2014 è presidente del CONI Sicilia. Dal 2022 è Presidente della Fondazione Gigi Bonfanti-PMR, promossa dalla Federazione nazionale dei pensionati della Cisl.

Quando e come ha incontrato, per la prima volta, la Cisl?

Durante gli anni dell’Università, che sono racchiusi, per quel che mi riguarda, nel periodo dal 1965 al 1969, a cavallo del ’68 studentesco, sono stato il Segretario dell’Intesa, l’organizzazione degli universitari cattolici. 

Nel corso di questa esperienza ho letto un libro, poi diventato famoso, di Don Lorenzo Milani e della sua scuola: Lettera a una professoressa. Questo testo mi ha non solo colpito, ma anche stimolato a un impegno sociale forte e coerente con la parola d’ordine di quegli anni: “Operai e studenti uniti nella lotta”. 

Tutto ciò mi ha portato ad avvicinarmi al mondo sindacale e, attraverso rapporti con la dirigenza di allora della Cisl siciliana, a iniziare una militanza prima come Centro studi della stessa Cisl dell’isola e poi, per cominciare l’esperienza autenticamente dal basso, a iniziare l’esperienza come operatore della Fim Cisl. Se è vero che a Palermo di classe operaia ce n’era poca, molto significativo era il protagonismo sociale. Da operatore successivamente divento segretario della Fim di Palermo. Da lì inizia tutta la mia avventura sindacale fino, in poco tempo, a fare il Segretario generale della Cisl di Palermo, poi il Segretario regionale siciliano e poi il Segretario generale della Cisl pugliese. Sono arrivato, giovane, alla Segreteria confederale nel 1983. La mia “caratteristica” è quella di aver fatto, pur in poco tempo, tutto un percorso dal basso: da operatore a segretario di categoria, poi segretario territoriale, regionale, nazionale etc. Quando diventai Segretario generale della Cisl siciliana avevo solo trent’anni. Ciò è dovuto anche al fatto che l’incontro con la Cisl mi ha permesso di trovare esattamente quello che cercavo: l’impegno sociale per migliorare in termini riformisti la società innanzitutto siciliana e poi, a seguire, quella italiana. 

Gli anni vissuti alla guida della Cisl della Sicilia sono stati splendidi per la mia regione, perché corrispondono all’esperienza di Presidente della Regione Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale Presidente della Repubblica.

Con il suo Governo, ma prima di tutto con lui come Presidente della Regione, si realizzò un importante accordo concertativo unitario che fu, per me, il primo di una lunga serie della mia “carriera” sindacale.

Il rapporto con Mattarella si basava proprio sul fatto che, in cambio del consenso sociale che noi offrivamo al Governo regionale, esso si impegnava su un’azione di grandi riforme e cambiamento della Sicilia, per il suo sviluppo e per la sua crescita. Tutto ciò viene interrotto drammaticamente il 6 gennaio del 1980. 

Quali sono stati il momento più bello e quello più difficile della sua lunga esperienza sindacale?

Partiamo dal più difficile. Certamente si tratta dell’accordo del luglio 1992: in sostanza l’intesa che ha eliminato definitivamente la scala mobile. L’accordo del 1992 viene completato con quello del luglio 1993 con cui si compie una vera operazione “totale” di concertazione. 

Il 1992 è stato il momento più difficile perché ci si è assunti la responsabilità, molto pesante, di eliminare uno strumento di tutela dei lavoratori e di sostituirlo, successivamente, con un assetto contrattuale di garanzia. Quello che è poi avvenuto nel 1993, attraverso il processo di tutela del valore reale dei salari con l’inflazione programmata, ha sconfitto l’inflazione stessa, fatto abbassare i tassi di interesse e risanato, in parte, anche il debito pubblico. Il periodo del 1992-1993 è stato quello che ci ha fatto entrare nel gruppo di testa della moneta unica. Quella del luglio ‘92 è stata un’intesa decisiva quanto difficile, tanto che Bruno Trentin, come è noto, si dimise da Segretario generale della Cgil dopo aver firmato. Ci fu grande drammaticità, ma fu anche un momento di visibilità e affermazione per il sindacato. È noto l’episodio della manifestazione dell’ottobre 1992 a Milano in cui fui colpito da un bullone durante il comizio. Questa “sofferenza” fu importante anche per il protagonismo e la visibilità di azione del sindacato nei confronti del Governo. Tutto il percorso si concluse con il Governo Ciampi, attraverso l’accordo del luglio ’93, fondamentale per la politica dei redditi che, insisto, ha salvato l’Italia.

Il mio momento sindacale più bello è stato molto diverso, trattandosi proprio di una soddisfazione personale.

Ci trovavamo durante il primo maggio del 2000, l’anno del grande Giubileo. Sono riuscito, me ne attribuisco il merito, a convincere Cgil e Uil a organizzare un primo maggio a Roma andando oltre il protagonismo diretto sindacale, affidando l’intera manifestazione al Papa. Parliamo di Papa Wojtyla, oggi San Giovanni Paolo II, un pontefice ispiratore di Solidarnosc che teneva molto a caratterizzarsi come difensore dei lavoratori.

Mi è riuscita un’operazione quasi impensabile e cioè convincere Cgil e Uil a rinunciare a tutte le manifestazioni per essere in più di 100 mila persone sul pratone di Tor Vergata, con il solo intervento del Papa polacco.

Quando è finita la manifestazione siamo andati tutti a salutare il Papa che mi ha preso da parte e mi ha detto: “La ringrazio, senza di lei tutto questo non si sarebbe mai fatto”.

 Questo è stato il momento di maggiore soddisfazione, posso dire di vera gioia, da cattolico sociale impegnato a portare avanti, pur in piena autonomia, la dottrina sociale della Chiesa.

Subito dopo la metà degli anni Novanta, forse pochi lo ricordano, si parlò molto di dar vita a un soggetto sindacale unico, fondendo assieme le tre Confederazioni Cgil, Cisl e Uil. Quanto si fu vicini, allora, all’unità sindacale? 

Siamo stati vicinissimi, quello era il momento! Si è avuto, in quel periodo, un grande protagonismo politico del sindacato, in una fase di forte cambiamento istituzionale che ci portava verso l’unità sindacale. 

L’unità non si è fatta per il mancato coraggio di Sergio Cofferati, allora Segretario generale della Cgil, anche se devo aggiungere, in sincerità assoluta, che le nostre reciproche basi non erano d’accordo su un progetto unitario. Solo un gruppo dirigente forte e adeguato poteva portare al risultato. Eravamo a un passo. L’argomento per la rinuncia usato da Cofferati era inconsistente: se si fosse fatta l’unità sindacale sarebbe nato un sindacato alla nostra sinistra. Nulla ha poi impedito lo sviluppo dei Cobas, questa motivazione era pertanto fasulla, nascondeva un mancato coraggio. Un coraggio che non ha avuto il Segretario generale, ma anche la Cgil nel suo complesso, portandoci tutti verso una grande occasione mancata.

Quali sono per lei le priorità e le necessarie alleanze per un sindacato moderno?
Per me ci sono tre parole, che poi sono tre verbi, ma anche tre sostantivi: concertare, contrattare, partecipare. Sono parole importanti da tanto tempo, ma mai come in questa fase della vita mondiale, europea e italiana. 

Concertare significa darsi degli obiettivi e assumere un impegno con comportamenti coerenti per raggiungere gli obiettivi stessi.  

La politica attuale è una politica dell’oggi non della prospettiva, nessuna delle forze in campo prende posizioni impopolari, ma utili per governare bene il Paese. Le posizioni impopolari debbono essere anche eque: qualcuno deve guadagnarci e qualcuno deve perderci. Prendiamo, solo come esempio, il tema fiscale: per vincere le elezioni tutti promettono di abbassare le tasse. 

Con il debito pubblico che abbiamo e con lo stato sociale che dobbiamo mantenere non ce lo possiamo consentire. Per un’adeguata politica fiscale occorre, invece, intervenire sull’evasione e realizzare un grande accordo di concertazione. 

Concertare non è solo un metodo, ma una vera e propria politica che vede protagonisti i corpi intermedi della società che, in quanto tali, partecipano a decisioni anche impopolari, se ne assumono le responsabilità e le spiegano. 

Le istituzioni italiane, per ragioni storiche, sono state sempre deboli perché le culture dominanti, la cattolica e la comunista, prima, e la socialdemocratica, poi, hanno sempre creduto più nella società che nelle istituzioni stesse. Se si vuole che l’Italia funzioni, la società deve pertanto essere protagonista attraverso i corpi intermedi, a partire dal sindacato e dalle parti datoriali, senza dimenticare il volontariato. 

La contrattazione, che redistribuisce la ricchezza, si collega alla concertazione.

Per contrattare in maniera adeguata bisogna partecipare alle decisioni dell’impresa perché ciò diminuisce nettamente le diseguaglianze e permette di redistribuire la ricchezza. 

Ancor di più oggi, con l’intelligenza artificiale, partecipare alle decisioni è fondamentale. 

La Cisl ha quindi fatto benissimo a portare avanti il disegno di legge sulla partecipazione, la Cgil ha sbagliato a contrastarlo. Ma il vero tema, ora, è quello di fare passi avanti veri sulla partecipazione dei lavoratori utilizzando gli spazi della legge approvata e trasformandoli in azione per la produttività, la redistribuzione, l’utilizzo condiviso delle nuove tecnologie.

Come si sta sviluppando l’attività della Fondazione Gigi Bonfanti-PMR da lei presieduta?

Collego il ragionamento fatto con gli stimoli di riflessione che la Fondazione sta dando e darà. Dobbiamo garantire lo stato sociale in un Paese che vede un enorme crollo demografico, ma anche un elemento che deve essere considerato positivo: uno degli allungamenti delle aspettative di vita tra i più alti del mondo.  

Se posso fare una battuta quando è stato eletto il nuovo Papa per me c’è stato un fatto doppiamente positivo.

Da un lato ho apprezzato il nome di Leone XIV per il richiamo, nella modernità dell’oggi, alla Rerum Novarum, ma dall’altro perché, pur essendo il nuovo pontefice un settantenne, si è detto che è stato eletto un “giovane Papa”.

Tornando a noi: la vera grande sfida è quella di mantenere la sostenibilità dello stato sociale, a partire dalla sanità, dalla scuola e dal sistema pensionistico.

Anche se cominciassimo ad invertire la tendenza del calo delle nascite ci vorranno almeno vent’anni per giungere a risultati di una minima rilevanza. 

Dobbiamo affrontare due grandi questioni.

Una l’abbiamo già citata, è il fisco con il grande problema di un 60% di italiani che non paga un euro di tasse, pur godendo di tutti i servizi. Oltre all’evasione c’è un problema di mancanza di progressività, in contrasto con la nostra Costituzione,

C’è un’altra sfida di cui si parla ancora troppo poco.

È quella dell’emigrazione: se ne vanno dall’Italia sempre più persone, a partire da chi dovrebbe restare: i giovani laureati. L’emigrazione non è più solo una questione meridionale.

I giovani vanno all’estero perché trovano condizioni economiche, sociali, di status migliori, altrimenti rimarrebbero in Italia. 

Su questi temi si svilupperà il contributo di riflessione della Fondazione, ovviamente ben sapendo che le politiche spettano alla Federazione dei pensionati e alla Confederazione.

Un augurio e un auspicio in vista del prossimo Congresso nazionale della Cisl…

L’augurio è quello che la Cisl sia sempre protagonista, come lo è stata in questi ultimi anni.

Sono convinto che Daniela Fumarola sia in grado di ben guidare la Confederazione, la nostra Segretaria generale ha tutto il mio sostegno.

L’auspicio è che il sindacato torni ad essere un grande soggetto politico, un ruolo assolutamente autonomo da tutti i partiti.

È questa la sfida con le altre Confederazioni, a partire dalla Cgil. 

Il Segretario generale della Cgil Landini deve cambiare tutto quello che sta facendo: essere un rilevante soggetto politico non significa piegare alla “politicizzazione” l’azione sindacale.

Tutto ciò porta a sconfitte cocenti, lo abbiamo visto con il recente referendum.

La Cisl, invece, deve rilanciare e rafforzare il ruolo politico autonomo del sindacato nel Paese. 

Il suo gruppo dirigente attuale è in grado di farlo e il mio auspicio è che questo ulteriore percorso di pieno protagonismo si sviluppi proprio dall’imminente Congresso nazionale.