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Il Decreto legislativo n. 125 del 6 settembre 2024 traspone la Direttiva 2022/2464/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022, che modifica il Regolamento 537/2014/UE e le Direttive 2004109/CE, 2006/43/CE e 2013/34/UE in materia di rendicontazione societaria di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive, c.d. “CSRD”). Detta normativa di legge, di applicazione immediata per le grandi imprese1, amplia il perimetro delle relazioni industriali, in quanto descrive, agli artt. 3 e 4, due forme nuove di informazione e consultazione collettiva obbligatoria che, se bene interpretate dagli attori sindacali, possono divenire anche occasioni di partecipazione organizzativa.  L’oggetto di questa nota non riguarda il contenuto della nuova “rendicontazione di sostenibilità”, elencato e disciplinato agli artt. 3 e art. 4 (rispettivamente per la rendicontazione individuale e per quella consolidata), ma il suo significato: la rendicontazione è inclusa in un’apposita sezione della relazione sulla gestione e comprende “le informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità, nonché le informazioni necessarie alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione”. La rendicontazione di sostenibilità, insomma, si sostanzia in una verifica di gestione in termini di coerenza ESG e integra una logica di processo, che comprende non solo la comunicazione esterna dei dati, ma anche l’iter di valutazione interna e lo sviluppo di strategie di sostenibilità. Non si tratta di un mero adempimento formale, periodico, stativo, ma di una dinamica circolare continua che comprende l’analisi critica e la pianificazione strategica2. Ci interessa qui valorizzare l’impatto potenziale del coinvolgimento obbligatorio dei rappresentanti dei lavoratori nel processo di rendicontazione in parola.

La descrizione del modello e della strategia aziendale include sia “i piani dell’impresa, ove predisposti, inclusi le azioni di attuazione e i relativi piani finanziari e di investimento, atti a garantire che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile”, sia anche “il modo in cui il modello e la strategia aziendali dell’impresa tengono conto delle istanze dei portatori di interesse e del loro impatto sulle questioni di sostenibilità”. Si rendiconta non solo cosa l’impresa fa, ma come lo fa, ovvero in che modo essa si assicura e certifica l’adeguata presa in carico delle istanze dei portatori di interesse, tra i quali rientrano indubbiamente le rappresentanze dei lavoratori. L’elemento di maggiore novità dell’art. 3 è che qualità ed efficacia della interlocuzione negoziale tout court sono specifico oggetto di rendicontazione quale punto di incrocio tra aspetti “green” ed aspetti “social”.  La rendicontazione di sostenibilità deve inoltre comprendere, in base al Decreto 125, (punto f, sub 1) “una descrizione delle procedure di dovuta diligenza applicate dall’impresa in relazione alle questioni di sostenibilità”. La nuova normativa italiana sembra evocare ed anticipare parte dei ben più impegnativi obblighi di cui all’art. 5 della recente Direttiva sulla ‘due diligence’ 2024/1760 (non ancora recepita in Italia), che al punto e) postula, tra gli adempimenti necessari a certificare la dovuta diligenza, lo “svolgimento di un dialogo significativo con i portatori di interessi”, strutturato in modo da rendere effettivo il ruolo partecipativo individuato dal legislatore comunitario. 

Focalizziamo ora l’attenzione sul contenuto del coinvolgimento stesso. Riportiamo pertanto il testo dell’art. 3 (“Rendicontazione individuale di sostenibilità”), comma 7: “La società, anche nel rispetto della normativa e degli accordi applicabili in materia, prevede modalità di informazione dei rappresentanti dei lavoratori al livello appropriato e discute con loro le informazioni pertinenti e i mezzi per ottenere e verificare le informazioni sulla sostenibilità. I rappresentanti dei lavoratori comunicano il parere, ove adottato, all’organo amministrativo e di controllo”.  Riportiamo per completezza anche il testo, speculare, dell’art. 4 (“Rendicontazione consolidata di sostenibilità”), comma 9: “La società madre, anche nel rispetto della normativa e degli accordi applicabili in materia, prevede modalità di informazione dei rappresentanti dei lavoratori al livello appropriato e discute con loro le informazioni pertinenti e i mezzi per ottenere e verificare le informazioni sulla sostenibilità. I rappresentanti dei lavoratori comunicano il parere, ove adottato, all’organo amministrativo e di controllo”. 

Da una semplice lettura delle due norme sopra riportate si ricavano alcune considerazioni di taglio politico-sindacale. In primo luogo i diritti collettivi riconosciuti non si esauriscono nella mera informativa sindacale, ma presuppongono una interlocuzione negoziale che, per logica, deve svolgersi preventivamente alla definizione e pubblicazione della dichiarazione di sostenibilità. Il livello della interlocuzione deve, poi, risultare “appropriato”: esso implica il coinvolgimento delle rappresentanze dei lavoratori titolate alla contrattazione collettiva ma anche, per gli aspetti di salute e sicurezza eventualmente implicati, la rappresentazione delle questioni rilevanti per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.  

Le informazioni che l’azienda è tenuta a fornire devono inoltre essere “pertinenti”: esse devono comprendere, senza omissioni, tutti gli aspetti concernenti il processo di formazione della rendicontazione di sostenibilità. La ‘pertinenza’ delle informazioni, come misura dell’assolvimento dell’obbligo di due diligence, supera cioè ogni potenziale “riserva aziendale”, trattandosi di fonti di dati destinati a divenire di  pubblico dominio. 

Ulteriore elemento di condivisione sindacale preventiva è l’individuazione dei “mezzi per ottenere e verificare le informazioni sulla sostenibilità”: alle rappresentanze dei lavoratori devono essere forniti strumenti per rendere effettiva ed efficace non solo l’acquisizione delle informazioni, ma anche la verifica di veridicità, affidabilità e coerenza delle stesse. In tale accezione di senso, l’inadempimento dell’obbligo di fornitura di mezzi, ex lege 125 fonda e sostanzia anche iniziative di “whistleblowing” sindacale.  

La consultazione riguarda la fase, successiva all’informazione, della “discussione”: un autentico confronto dialettico, che comprende la facoltà sindacale di formalizzare il proprio parere all’organo amministrativo o di controllo. Tale elemento postula un responsabilizzante salto di qualità nell’esercizio del ruolo di rappresentanza sindacale, sia all’interno del sistema di relazioni industriali tradizionali, sia nell’interlocuzione formale e diretta con gli organi di amministrazione e di controllo dell’impresa, ampliando in definitiva le possibilità di una costruttiva dialettica di relazione anche al di fuori delle tradizionali relazioni industriali ed esaltando il potenziale del sindacato-istituzione.  

Last but not least, l’obbligo di dazione delle informazioni è, per legge, condizionato alla modalità che ciò avvenga “anche nel rispetto della normativa e degli accordi applicabili in materia”. Il richiamo deve essere inteso tuttavia inteso solo come norma collettiva di miglior favore, dal momento che la ratio legis è di privilegiare la disclosure informativa e il controllo sociale sulla coerenza della rendicontazione pubblica. Neppure il richiamo agli “accordi applicabili” potrebbe limitare il diritto di informativa sindacale, sancito dalla legge. Anche nel caso di preesistenti accordi collettivi che riconoscessero più limitati diritti informativi, gli stessi sarebbero superati dalla forza espansiva e prevalente delle nuove norme di legge, che in quanto intervenute successivamente, ne escluderebbero anche ogni ipotetico intento derogatorio.  

La normativa in commento è responsabilizzante anche sotto il profilo sanzionatorio.  Il comma 1 dell’art. 10 prevede che spetta agli amministratori dei soggetti a cui si applica il Decreto 125 la responsabilità di garantire che la rendicontazione di sostenibilità sia redatta in conformità agli obblighi in esso previsti; l’organo di controllo, inoltre, ha il compito di vigilare sull’osservanza delle disposizioni del Decreto, riferendone all’assemblea nella relazione annuale. Sembra quindi dischiudersi una nuova e interessante possibilità di sviluppo delle relazioni industriali, con un ruolo proattivo delle parti sociali aziendali, in chiave reciprocamente responsabilizzante rispetto al processo di rendicontazione di sostenibilità. Auspichiamo che le stesse colgano le opportunità scaturenti dalla nuova normativa, che rende obbligatorio il nuovo bilancio di sostenibilità, con effetti già nelle pubblicazioni del 2025 (per il 2024) per alcune imprese. Occorre sollecitare e sviluppare l’interlocuzione negoziale preventiva prevista dalla legge, nel breve intervallo di tempo che separa dalla prossima data di pubblicazione dei bilanci di sostenibilità. Occorre insomma, in attesa della legge sulla partecipazione promossa dalla Cisl, ormai in dirittura di arrivo, attivare da subito una proattiva cultura della partecipazione nelle relazioni industriali aziendali, sfruttando gli spazi aperti dalla normativa comunitaria.

  1. L’entrata in vigore viene disciplinata all’art. 17 del Decreto in maniera differenziata a seconda della dimensione delle
    imprese. ↩︎
  2. In tal senso si comprende l’elemento qualificativo che lo distingue dalla DNF: il bilancio di sostenibilità è un processo,
    che misura e rendiconta la relazione con gli stakeholder, mentre la dichiarazione non finanziaria è un atto. ↩︎