Nel 2024, l’Inas – Istituto nazionale assistenza sociale promosso dalla Cisl – ha deciso di analizzare, per la prima volta in modo sistematico e capillare, il livello di benessere lavorativo dei propri operatori, affidando alla Fondazione Ezio Tarantelli il compito di ideare un’indagine che fosse al contempo rigorosa e inclusiva. Su un totale di 1.342 dipendenti, hanno risposto 1.092 persone, con un tasso di adesione dell’82%. Questo risultato rivela un forte desiderio da parte dei dipendenti Inas di far sentire la propria voce, segno di un clima interno propenso al dialogo e al coinvolgimento.
Le domande non si sono concentrate unicamente sulle condizioni materiali di lavoro, bensì hanno esplorato il rapporto intimo tra partecipazione attiva e soddisfazione quotidiana. Il 35% degli intervistati ha dichiarato di considerare l’ambiente Inas “più coinvolgente” rispetto ad altre esperienze professionali precedenti. Questa espressione, pur in presenza del 30% che lo considera più stressante, sintetizza un approccio in cui il confronto, lo scambio di idee e la possibilità di incidere sulle scelte strategiche non sono meri adempimenti formali, bensì leve che alimentano motivazione e senso di appartenenza.
Quando le voci dei lavoratori vengono ascoltate e integrate nelle decisioni, si genera un circolo virtuoso che riduce l’isolamento e potenzia la fiducia reciproca. Il 42% degli intervistati si sente “molto” o “pienamente” considerato nei processi di miglioramento. Questo dato sottolinea l’importanza di mantenere vivo il dialogo tra tutti i livelli organizzativi.
Un altro aspetto cruciale emerso dall’indagine riguarda la consapevolezza e il riconoscimento delle competenze: il 62% degli operatori ritiene che i propri responsabili conoscano in modo approfondito le abilità di ciascuno. Quando un lavoratore percepisce di essere valutato per ciò che sa fare aumenta il suo coinvolgimento e la sua propensione a condividere idee innovative.
L’effetto sulla gratificazione personale è significativo: il 47% dei partecipanti dichiara che lavorare in Inas è “molto” o “pienamente” gratificante. Sebbene gli operatori con maggiore esperienza segnalino un livello di appagamento leggermente più alto, i dati mostrano che un ambiente di lavoro inclusivo e una forte identificazione con la mission aziendale generano un senso di realizzazione che trascende il mero adempimento dei compiti.
I risultati dell’analisi commissionata dall’Inas sul benessere lavorativo dimostrano che la partecipazione, seppur in questo caso informale, non è un costo, ma un investimento strategico: lavoratori che si sentono ascoltati sono più creativi, più fedeli all’azienda e meno inclini al burnout. Solo così si costruisce una comunità di lavoro viva e resiliente, in cui ogni individuo percepisce di essere parte integrante di un progetto che va oltre il proprio ruolo, alimentando un benessere collettivo capace di sostenere il cambiamento e la crescita futura.
Sul palcoscenico internazionale, molte organizzazioni hanno sperimentato strategie partecipative con risultati tangibili. Solidi e comprovate sono le esperienze del Nord Europa; in Svezia, la legge sulla codeterminazione sul lavoro ha istituzionalizzato la partecipazione dei lavoratori nei Consigli di amministrazione: realtà come Volvo Group hanno registrato un aumento del Net Promoter Score e una diminuzione del turnover grazie a gruppi di lavoro misti che condividono la definizione degli obiettivi strategici. In Danimarca e Norvegia, il dialogo tripartito tra imprese, sindacati e istituzioni ha ridotto l’assenteismo e stimolato incrementi di produttività. Mentre in Giappone, il metodo Kaizen ha trasformato ogni operaio in un problem solver: cicli di pianificazione-azione-controllo-intervento hanno permesso a Toyota di migliorare l’efficienza e abbattere i difetti.
Queste esperienze confermano un principio base della organizzazione del lavoro partecipativa: la leadership smette di essere esercizio di potere e diventa facilitazione. Il manager passa dal dare ordini al dare supporto, crea spazi di confronto, stimola la creatività e distribuisce responsabilità.
Il report State of the Global Workplace Report 2023 di Gallup conferma l’urgenza di questi modelli: su oltre 160 Paesi interpellati, solo il 23% dei lavoratori si è dichiarato realmente coinvolto, il 59% ha ammesso di limitarsi a svolgere i compiti, mentre il 18% si è sentito emotivamente disconnesso. Un dato particolarmente allarmante è che il 41% degli intervistati ha vissuto elevati livelli di stress il giorno precedente all’intervista. È emerso chiaramente che non è tanto la natura del lavoro a generare tensione, quanto la qualità della leadership, la chiarezza degli obiettivi e la percezione di avere un ruolo significativo.
Queste pratiche non sono per la Cisl semplici esempi teorici, ma rappresentano la conferma di un’idea di sindacato come luogo di democrazia e responsabilità condivisa.
L’idea di partecipazione dei lavoratori sostenuta dalla Cisl si fonda su di un principio che trascende il consueto rapporto datore-lavoratore, trasformando il luogo di lavoro in un laboratorio condiviso di democrazia e responsabilità e diritti. Tale visione trova un solido riferimento nell’articolo 46 della Costituzione italiana, che sancisce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle imprese con pari dignità decisionale. In questa prospettiva, il sindacato non è solo baluardo di diritti collettivi, ma diventa promotore di un metodo di lavoro in cui ogni voce conta.
Per tradurre in pratica questo mandato costituzionale, la Cisl, nella legge di iniziativa popolare, già approvata alla Camera dei Deputati e in Commissione al Senato, propone, nell’ambito della partecipazione organizzativa, la creazione di spazi partecipativi strutturati e continui. Non si tratta di rituali assemblee formali, bensì di momenti di confronto reale dove, con cadenza regolare, all’interno dell’apposita commissione paritetica con poteri e diritti normati, dirigenti sindacali e rappresentanti dell’azienda si confrontano su problemi concreti, opportunità di crescita e strategie di innovazione.
Allo stesso tempo, la legge proposta incentiva percorsi di formazione destinati ai rappresentanti sindacali e ai manager, affinché si acquisiscano le competenze necessarie per rendere concreto ed esigibile il diritto a partecipare. Questa doppia anima—partecipazione dal basso e leadership consapevole—si traduce in un doppio vantaggio: il lavoratore si sente protagonista e valorizzato, mentre l’organizzazione beneficia di soluzioni creative e di un più alto tasso di fidelizzazione.
I risultati di questa impostazione sono visibili nei contesti dove è già stata sperimentata: la produttività cresce, l’assenteismo diminuisce e il benessere diffuso genera un clima favorevole alla collaborazione. In un’economia complessa e in continua evoluzione, la partecipazione promuove resilienza e adattamento, permettendo alle aziende di reagire tempestivamente alle sfide del mercato.
Dunque per la Cisl la vera partecipazione non consiste nel delegare un potere decisionale limitato, ma nel costruire comunità di lavoro in cui il contributo di ciascuno rappresenti un valore aggiunto. L’articolo 46, da enunciato costituzionale, diventa così guida quotidiana: il sindacato agisce da catalizzatore di idee, collante sociale e motore di un cambiamento culturale che rende il luogo di lavoro non solo un ambiente produttivo, ma un contesto di crescita personale e collettiva.
La Cisl si conferma un sindacato riformista e lungimirante: i dati, le esperienze internazionali e i modelli organizzativi convergono su un punto essenziale: il benessere nasce dal sentirsi parte. Parte di un’organizzazione, di una visione, di un processo decisionale condiviso. Promuovere la partecipazione non è solo un atto politico o sindacale, ma un investimento concreto nella qualità del lavoro e nella resilienza delle organizzazioni. Perché le persone restano dove si sentono ascoltate. E danno il meglio dove sentono di contare davvero.
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