Da una recente indagine della Fondazione Nord Est risulta che, tra il 2011 e il 2023, oltre 550.000 giovani italiani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato il nostro Paese – e la Lombardia, in particolare – per trovare altrove migliori opportunità di lavoro, studio e formazione.
Un esodo che priva l’Italia di energie, competenze, innovazione, futuro, con una perdita economica stimata in 134 miliardi di euro.
Le cause? Scarsa valorizzazione delle competenze, precarietà, salari bassi, mancanza di prospettive, sfiducia nella possibilità di crescita professionale.
Parallelamente, nonostante la narrazione allarmistica dell’invasione, il numero dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia nell’ultimo decennio è sostanzialmente invariato: poco più di cinque milioni di persone, per lo più nuclei familiari residenti in maniera stabile, che continuano, però, a scontare un approccio emergenziale e ideologico nella gestione dell’immigrazione e l’assoluta carenza di politiche per l’inclusione e l’integrazione.
Dai dati emerge, infatti, un mercato del lavoro fortemente segregato, nel quale oltre il 60% degli stranieri occupati continua a svolgere mansioni operaie o non qualificate: lavori pesanti, mal pagati, con poche possibilità di crescita e troppo spesso senza valorizzazione delle proprie competenze; settori dove è alto il rischio di infortuni, sfruttamento, lavoro nero.
D’altra parte, gli studenti stranieri sono spesso canalizzati verso scuole tecniche e professionali, con una presenza ridotta nei licei: molti abbandonano presto gli studi, pochi arrivano all’università e chi si diploma finisce spesso in lavori con poche opportunità di carriera; con un rischio di emarginazione sociale aggravato da una normativa anacronistica che continua a considerarli stranieri sebbene oltre il 65% di questi ragazzi sia nato in Italia…e di straniero abbia soltanto il cognome.
E così, non solo siamo sempre meno attrattivi nei confronti dei cosiddetti alti potenziali provenienti dall’estero, ma anche i cittadini stranieri che vivono qui appena possono – cioè appena ottengono la cittadinanza italiana o un permesso di soggiorno a tempo indeterminato – provano ad usare questo titolo per lasciare il nostro Paese e andare a cercare all’estero condizioni e prospettive migliori. Proprio come fanno i nostri giovani.
Del resto, secondo le previsioni del XXIX° Rapporto sulle Migrazioni realizzato nel 2024 da ISMU[1], entro la fine del decennio la popolazione europea in età attiva diminuirà di oltre 6 milioni, con un’ulteriore contrazione di altri 13 milioni entro il 2040, pur in presenza di flussi migratori in entrata: si aggraverà quindi la difficoltà da parte delle imprese di reperire manodopera e, in particolare per quanto riguarda
l’Italia, Paese europeo dove la forza lavoro ha l’età media più elevata insieme alla Bulgaria, sarà sempre più complicato gestire il turnover in settori chiave del sistema produttivo del nostro Paese.
A dispetto di un dibattito politico ancorato sulla preoccupazione di arginare gli ingressi, dunque, i dati sul mismatch e sull’inverno demografico rivelano chiaramente che la domanda di manodopera straniera cresce, ma le risposte nel soddisfarla sono del tutto inadeguate: manca una normativa che consenta in maniera efficace l’incontro tra domanda e offerta, superando l’anacronistico meccanismo della chiamata a distanza, soprattutto se gestita con l’anomalia tutta italiana del click day, così come occorre intervenire con urgenza sugli strumenti che consentano una reale valorizzazione delle competenze e dei titoli di studio conseguiti nel Paese di provenienza, senza i quali sarà impossibile attrarre capitale umano qualificato.
Nel frattempo, nonostante le misure rigoriste adottate a livello europeo – in particolare con il nuovo Patto europeo su migrazione e asilo – per chiudere i confini ed esternalizzare le frontiere, la carenza di vie di fuga sicure in un contesto globale sempre più instabile e l’assenza di canali di ingresso legale portano all’aumento dei flussi non programmati, composti in larga parte da persone in cerca di protezione o che richiedono l’asilo come unica possibilità per sperare di rimanere, in particolare in Italia, con un regolare permesso di soggiorno.
Le nuove soluzioni proposte dalla UE, orientate ad un esame più sbrigativo delle istanze con un conseguente incremento dei dinieghi per chi proviene da Paesi considerati “sicuri”, avranno realisticamente un’unica conseguenza: non un picco nel numero dei rimpatri, difficilmente praticabili sia per gli alti costi ad essi connessi sia per la mancanza di accordi con i Paesi di provenienza, ma il sensibile aumento delle persone irregolari costrette al lavoro nero e confinate ai margini delle nostre città.
In questo contesto, pur nella consapevolezza che non si possano individuare soluzioni semplici per problemi complessi, Anolf è impegnata da anni a proporre un modello alternativo: mediante l’attivazione di percorsi di formazione e di inserimento lavorativo rivolti, in particolare, proprio ai rifugiati e ai richiedenti asilo, mira infatti a costruire, in sinergia con le Categorie della Cisl maggiormente interessate dalla presenza di lavoratori e lavoratrici straniere e con i loro Enti Bilaterali di riferimento, una rete di Aziende interessate a sviluppare in maniera permanente azioni progettuali finalizzate all’integrazione dei cittadini provenienti da altri Paesi attraverso il volano del lavoro.
Tra gli esempi di successo va sicuramente citato Unionmigrantnet[2], il progetto promosso dalla Confederazione Europea dei Sindacati e finanziato dalla Commissione Europea che, nel 2023, è valso ad ANOLF Milano sia il riconoscimento da parte di UNHCR del prestigioso logo WeWelcome, per il suo rilevante impegno nell’inserimento lavorativo dei rifugiati, sia l’ingresso in WelcomeNet, la rete nazionale di enti qualificati che collaborano con il progetto “Welcome: Working for refugee integration”, finalizzata a facilitare la partnership con aziende interessate alla creazione di percorsi per l’inclusione lavorativa per persone titolari di protezione internazionale e richiedenti asilo.
Dopo la selezione dei candidati, effettuata dal Comune di Milano tra gli ospiti dei centri di accoglienza della città meneghina, 21 partecipanti, provenienti da 7 Paesi diversi (Afghanistan, Azerbaigian, Bangladesh, Ghana, Libia, Nigeria e Pakistan), hanno frequentato 6 settimane di corso di formazione linguistica e professionale, guidati da insegnanti di italiano esperti e chef professionisti nelle aule e laboratori messi a disposizione dal CAPAC – Politecnico del Commercio e del Turismo.
Con l’obiettivo di lavorare in modo congiunto e valorizzare la sinergia tra tutti i partners, sono stati organizzati incontri settimanali per monitorare l’andamento del percorso, che hanno anche visto la partecipazione di quelle aziende che fin dall’inizio hanno manifestato il proprio interesse ad essere coinvolte nel progetto. Alla fine del periodo di formazione, i corsisti sono stati avviati ai tirocini della durata di 3 mesi finanziati da Ebiter e Ebte, gli Enti Bilaterali milanesi del Terziario e dei Pubblici Esercizi, che si sono svolti presso 6 famose aziende della ristorazione e fast food presenti nella nostra città.
Al termine, circa la metà dei partecipanti ha così ricevuto un’offerta di lavoro per proseguire il proprio percorso professionale nell’azienda dove avevano svolto il tirocinio mentre gli altri hanno utilizzato l’esperienza maturata per trovare lavoro in altre aziende dello stesso settore.
L’azione pilota italiana ha previsto un percorso analogo, rivolto ad altrettanti rifugiati e richiedenti asilo, che si è sviluppato nel territorio friulano, guidato da Anolf e Cisl Friuli-Venezia Giulia e in partenariato con il Comune di Pordenone, mentre una parte fondamentale del progetto sono stati i Mutual Learning Program, incontri bilaterali con gli altri Paesi partners: Belgio, Bulgaria, Grecia e Slovenia.
Dallo stesso tentativo di coniugare l’esigenza di manodopera da parte delle imprese, soprattutto in determinati settori produttivi, con la valorizzazione e lo sviluppo delle competenze dei cittadini stranieri presenti nella città metropolitana di Milano è nato invece Integra, un ambizioso progetto tutt’ora in corso finanziato dalla Camera di Commercio di Milano, Monza, Brianza e Lodi, con il supporto di associazioni imprenditoriali e agenzie per il lavoro e il partenariato di Anolf Milano, finalizzato a formare e avviare all’occupazione, nel triennio 2024-2026, almeno 300 lavoratori stranieri nei settori dell’edilizia, della ristorazione, della logistica, dell’artigianato e della manifattura.
Il progetto si basa su un approccio integrato che combina formazione linguistica, accompagnamento al lavoro e un sistema di tutoraggio personalizzato per garantire una maggiore efficacia nei percorsi di inserimento. Le attività principali comprendono: corsi di formazione specifici per settore, progettati in collaborazione con aziende e associazioni di categoria; percorsi di orientamento e bilancio delle competenze, per favorire un migliore abbinamento tra i partecipanti e le esigenze del mercato del lavoro, tutoraggio individuale e accompagnamento all’inserimento lavorativo, con il coinvolgimento di mentor aziendali e operatori specializzati, monitoraggio post-inserimento, per supportare i lavoratori nel periodo iniziale e favorire la stabilizzazione dell’occupazione.
Nel primo anno di attività, sono stati attivati 12 corsi di formazione professionalizzante, con la partecipazione di 154 cittadini stranieri: il 60% dei partecipanti è stato inserito nel mercato del lavoro, mentre il 20% è attualmente in fase di colloquio.
Esempi virtuosi, quelli di Integra e di Unionmigrantnet, che rappresentano soltanto due delle buone prassi diffuse sul territorio ed una delle possibili risposte di un’azione sindacale nella quale le politiche per l’immigrazione non possono che rappresentare uno dei pilastri di un nuovo patto sociale; un patto sociale che, a partire da una riforma della normativa che favorisca l’emersione dal sommerso , anche attraverso il trasferimento dei richiedenti asilo presenti sul territorio nel canale dell’immigrazione per lavoro, e promuovendo una cultura dell’inclusione che contrasti ogni forma di marginalizzazione sociale e lavorativa, riconosca finalmente i cittadini e le cittadine straniere non come mera forza lavoro, da utilizzare di giorno e da relegare di notte ai margini della società, ma come risorse preziose per il futuro del nostro Paese e del nostro Sindacato; un patto sociale che agisca da collante per una Lombardia inclusiva e solidale, in cui ogni persona, indipendentemente dalla sua origine, possa sentirsi parte integrante della nostra comunità e contribuire al suo sviluppo.
[1] Per approfondire: https://www.ismu.org/xxix-rapporto-sulle-migrazioni-2023-comunicato-stampa-13-2-2024/
[2] Si veda anche: https://www.unionmigrantnet.eu/