Le cronache nazionali si occupano sempre con più insistenza di Milano, mostrando le forti contraddizioni che sembrano caratterizzarla; dalle grandi opportunità, alle forti disuguaglianze, alla speculazione edilizia.
Da ultimo ha fatto scalpore la vicenda del decreto c.d. “salva Milano” che il sindaco Sala ha difeso con determinazione, fino all’intervento della Procura che ha accusato funzionari pubblici e professionisti di lottizzazione abusiva.
Gli ultimi fatti sembrano fare chiarezza delle ambiguità fattesi scontro politico, uno scontro che si è trascinato per lungo tempo, coinvolgendo la Regione Lombardia e il Parlamento nazionale, fino all’intervento della Procura, che ha ipotizzato che quella difesa dal sindaco come un’azione antiburocratica e semplificatoria, si connaturava in realtà come un reato di abuso edilizio e di favoreggiamento, e forse corruzione. Tutti elementi che saranno chiariti in sede processuale.
I fatti emersi hanno avuto il merito di “scoperchiare la pentola” e di guardare alla città che si trasforma, con uno sguardo nuovo, fuori dall’immagine edulcorata di metropoli della crescita inarrestabile e dello sviluppo travolgente impostisi dopo l’Expo, provando cosi a ricomporre un complesso mosaico.
Un mosaico iniziato con i palazzi realizzati, dove c’erano capannoni, con procedimento semplificato SCIA, con palazzi che diventano abitazioni per centinaia di persone e segnano la tendenza alla speculazione edilizia e a una rigenerazione fasulla con scarsa ricaduta sulla disponibilità di alloggi per una città dinamica che ha bisogno di espandersi per trovare sempre più spazi vitali.
Le proteste degli studenti per l’alloggio sono solo la punta di diamante di un disagio più profondo che l’immagine, il “city branding” costruito dagli esperti di marketing, non riesce più a contenere.
Milano, soprattutto, è l’immagine palese della vittoria schiacciante della metropoli sulla campagna. Sono come tutte le città importanti più o meno grandi ma dalla natura metropolitana, l’esempio della vittoria di un modello finanziarizzato di società quello più rispondente al sistema globalizzato; la smart city.
Un nuovo modello di sviluppo che avrebbe aperto la strada alla città “premium”, che avrebbe superato l’interclassismo ambrosiano, arrivando a sostituire l’obiettivo iniziale dell’Expo: “nutrire il pianeta, energia per la vita” aprendo la via alla rendita e alla speculazione che ha stravolto il mercato immobiliare.
La città, con la sua densità è l’evidenza di questa trasformazione, il luogo simbolico delle opportunità dove da sempre, ma soprattutto oggi, nell’era della tecnica diviene il posto privilegiato, dove risorse, idee, e affari, si incontrano e si sviluppano.
La pandemia e il lockdown ci avevano illuso che fosse possibile trasferire le attività altrove, magari in luoghi bucolici delle aree interne e montane, nei borghi o al mare, ma la realtà alla fine si è dimostrata ben altra.
Milano è quella città che incarna in Italia un modello all’avanguardia, la “Londrizzazione”, la città del futuro, quella con il respiro europeo degli affari, del divertimento delle opportunità; dallo skyliner avveniristico.
La città, in meno di due anni dal lockdown, è tornata ad essere attrattiva avendo relegato il periodo pandemico ad un fenomeno di “shock economy” fortemente utilitarista per il sistema economico; avendo di fatto attraverso la crisi e la paura accelerato la svolta digitale (smart working su tutti) che al contrario avrebbe impiegato anni per affermarsi (il grande reset celebrato a Davos dai potenti del mondo).
Questo nucleo di eventi ha favorito l’accelerazione della svolta digitale e l’AI, che sta riscrivendo le nostre vite e ne ridisegna il quotidiano; abitudini, stili di vita, interessi, e concentra nelle metropoli piccole e grandi il motore della trasformazione.
Si tratta di potenti fenomeni innovativi che impattano sui tempi e la trasformazione con cui viviamo lo spazio urbano. Uno spazio che si fa magnetico e attrattivo, baricentro dello sviluppo territoriale che provoca l’abbandono e lo spopolamento di piccoli comuni e borghi che si svuotano, e città medie e grandi che crescono, determinando un travaso incontrollato di popolazioni, che danno vita a nuovi fenomeni come la malamovida, l’emergere del conflitto delle seconde generazioni, le baby gang, i “maranza” etc.
Uno scambio innaturale, guidato dall’efficienza e dominato dalla velocità, diverso dalle migrazioni degli anni dell’industrializzazione, quelli che affermarono, con i ritmi della fabbrica e degli uffici della produzione fordista, i tempi di vita della città, oggi sostituiti dall’efficientismo, dalla flessibilità e dalla potenza della tecnica con il suo fine ultimo “che tutto funzioni al meglio”.
La città non è più governata dai tempi del lavoro, ma piuttosto da quelli della finanza, che favorisce e accelera fenomeni come la gentrificazione (svuotamento di quartieri popolari per sostituirli con gente benestante), mentre i lavoratori vengono spinti ai margini, nelle periferie.
Un fenomeno che favorisce anche il turismo low cost, l’overtourism, le città disneyland, da consumare più che vivere.
L’insieme di questi fenomeni ha cambiato la città, che è diventata un vortice di azioni, esperienze convivenze, ma sempre attrattiva perché luogo privilegiato di opportunità.
Quello che oggi è più evidente in una città come Milano, è la grande trasformazione che ha subito. Come afferma Bertram Nissen, nel libro “Abitare il vortice”[1]: “imparare ad abitare il vortice è, soprattutto, imparare ad abitare la città, essere leggeri nel cercare la profondità o profondi nel cercare la leggerezza”.
La città che sale vorticosamente – come nel dipinto di Umberto Boccioni[2] -, ha però l’impronta della speculazione dell’individualismo e soprattutto delle crescenti disuguaglianze. Inseguendo la tecnica, la modernità, il profitto, essa ha perduto i connotati tradizionali, della città del fare, del sapere, capitale morale etc. Come ha più volte denunciato Massimo Fini: – un milanese verace – “si è svuotata di alberi e vita”.
Si pensi ai ceti popolari espulsi nell’immenso e anonimo hinterland, con una mobilità giornaliera spaventosa (ogni giorno entrano a Milano un milione trecentomila persone che a sera se ne vanno).
Soprattutto – non solo Fini, ma molti altri – denunciano la perdita della socialità, la città deserta la sera (a Milano si lavora, è una mistica della città). Molti non hanno nessuna voglia di infilarsi in quel poco di movida che c’è: dopo le 20, esclusi alcuni luoghi, c’è la desertificazione.
La vita a Milano, senza più attività artigianali e commerciali tradizionali, si è trasformata e fatta più anonima lasciando il posto ai non luoghi: e–commerce, supermarket, parcheggi, stazioni etc, dove il turista americano in grado di pagare qualsiasi scontrino detta tempi e tariffe.
Ricorda lo stesso Fini che i cinema negli anni sessanta erano 160, oggi sono 29 con pochi spettatori e nessuna socialità; il traffico è allucinante e si è perduta l’opportunità data dalla città piatta di costruire mobilità alternative; pochi i parchi pubblici, quasi impossibile trovare un taxi ma soprattutto Milano è vittima della cementificazione selvaggia (si veda Gianni Barbacetto e il suo libro: “contro Milano”[3]).
Con la cementificazione tra 2019-2020 sono stati impermeabilizzati 935.000 metri quadri, nel 2023 altri 190.000 metri quadri equivalenti a 26 campi di calcio[4]
Nemmeno lo stadio di S. Siro (Meazza), che per i milanesi è come il Duomo, sembra salvarsi: le proprietà americane di Milan e Inter, vogliono abbatterlo per costruirci supermarket, hotel di lusso, centri congressi etc.
Un’operazione che può quasi cancellare il parco del Trenno. – già Buzzati, prima di Celentano scriveva “ma nulla la città odia quanto il verde le piante, il respiro degli alberi e dei fiori”[5].
Sempre Fini evidenzia la mutazione dei quartieri, la perdita di socialità del clima solidale che vi regnava, del ruolo educatore di vita dei bar, del biliardo che favoriva l’incontro intergenerazionale, e di come l’omologazione abbia fatto perdere il senso della comunità: “non ci si conosce più non si ha vita sociale”.
“Milano – continua – era una città di quartieri in cui ci si conosceva tutti e ogni quartiere aveva almeno un cinema di terza visione, (prima e seconda in centro) si viveva nelle strade e gli affitti non erano proibitivi”.
La città, commentata da chi l’ha amata e vissuta ci consegna, con cruda realtà, il destino delle metropoli e le profonde contraddizioni che l’attraversano.
Si tratta di una città di solitudini individuali e collettive, segnate da differenze e separazioni tra un sopra e un sotto, tra un dentro e un fuori esclusivo e cinico. Anche Ornella Vanoni altra milanese doc, ammette che: “Milano è cambiata si è fatta escludente e nevrotica, irriconoscibile”.
La fuga dalle città preconizzata con la pandemia non c’è stata. La stessa rimane luogo attrattivo per eccellenza, governato da una modernità sempre più liquida e selettiva generatrice di crescenti diseguaglianze, abitata da moltitudini e separazioni sempre più complesse e turbolente.
Milano è la città – metropoli più avanzata e integrata nelle reti europee e mondiali della nazione, capire le sue mutazioni, – cosa sta accadendo- può aiutare anche a comprendere cosa si potrebbe fare per arginare fenomeni nuovi che, seguendo la tecnica, l’efficienza, il profitto, stanno snaturando e ridisegnando il concetto di vivere, convivere, abitare, essere comunità.
Capire Milano nella sua continua trasformazione (l’eterno presente che si evolve) equivale a guardare il futuro dell’abitare, del convivere con le novità, con le problematiche che questo comporta e di conseguenza capire cosa salvare e come correggere gli eventuali errori.
La vita agra, narrata da Bianciardi nel 1962[6], che parlava della grande trasformazione industriale della città, sembra oggi riproporsi nelle nuove e moderne trasformazioni, che, sempre richiamando Nissen: “ci trascinano in balia di vortici spaventosi che ne sconvolgono la superficie senza sosta, consegnandoci l’impegno di capire se oggi e domani sia possibile abitare il vortice”[7].
[1] B. M. Nissen, Abitare il vortice. Come le città hanno perduto il senso e come fare per ritrovarlo, Utet, Torino, 2023.
[2] Umberto Boccioni, La città che sale, 1910-1911.
[3] G. Barbacetto, Contro Milano. Ascesa e caduta di un modello di città, Paperfirst, Milano, 2025.
[4] Dati ISPRA, Il Fatto quotidiano 14/02/25.
[5] D. Buzzati, Il tiranno malato, in Corriere della Sera, 18 agosto 1955.
[6] L. Bianciardi, La vita agra, Feltrinelli, Milano, 1962.
[7] B. M. Nissen, Abitare il vortice. Come le città hanno perduto il senso e come fare per ritrovarlo, Utet, Torino, 2023.