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Ad aggravare la situazione dei borghi e dei quartieri arriva la desertificazione commerciale, in particolare dei negozi e del piccolo commercio di prossimità, un fenomeno che evidenzia l’agire della post modernità.

Questo fenomeno, unito al venire meno dei servizi di pubblica utilità, costringe territori e quartieri ad una vita marginale, peggiorando e rendendo precaria l’esistenza di importanti comunità siano esse urbane, extraurbane o montane.

Ciò che aveva avuto inizio con la riduzione dei sistemi assistenziali: distretti, ospedali, presidi sanitari, bancari, uffici postali, servizi di mobilità, farmacie, scuole ecc., oggi, con la chiusura delle attività commerciali di prossimità, si avvia ad accelerare il declino di molte comunità in via definitiva.

Senza servizi e attività economiche, i luoghi dell’abitare entrano in un percorso irreversibile che li condurrà inevitabilmente prima al declino e poi alla morte, un destino che al punto in cui siamo appare inevitabile, estremamente difficile da affrontare e segnato da ritardi che appaiono incolmabili.

L’allarme gridato a gran voce da Confcommercio a livello nazionale,[1] ripreso da altri a livello locale, parla di un vero disastro che certifica la chiusura di quattro negozi ogni ora a livello nazionale.

La portata della catastrofe economica si può intuire da questo nudo dato che incide negativamente anche sul valore di case e immobili che sono strettamente legati alla qualità della vita della comunità.

Ciò avviene dopo la chiusura o la delocalizzazione di attività industriali e manifatturiere, ed il pesante ridimensionamento dei servizi che, con grande fatica, provano a resistere ricorrendo alle classi multiple, ai trasporti solidali, a forme di volontariato o di gestione di cooperative di comunità ed altre forme capillari di resistenza civica, animata da residenti ostinati sempre più residuali.

Anche i negozi di prossimità evidenziano quanto sia urgente prendersi cura del problema dello spopolamento e della desertificazione, perché gli stessi contribuiscono attivamente al senso di comunità, ad aumentare i valori immobiliari, al senso di sicurezza e di benessere e, infine, alla scelta dell’abitare che, insieme al lavoro e ai servizi, concorre in maniera importante alla decisione di vivere e abitare quel luogo, quella comunità.

Senza la solidità e la vitalità di quest’insieme di attività ed azioni, prenderebbe il sopravvento solo la tristezza e la depressione, per questo è importante, nello sviluppo territoriale e nella pianificazione urbanistica, tenere conto di tutte le azioni e i settori che possono consolidare e sviluppare una comunità positiva e solidale.

Per questo la programmazione territoriale e lo sviluppo urbanistico devono avere carattere, controllo e finalità pubbliche e non dovrebbero essere sopraffatte dall’interesse e dalla speculazione privata, come purtroppo spesso avviene.

Anche la crisi dei negozi ci aiuta a capire l’importanza, il ruolo e la differenza all’interno del mondo, del consumo, che può essere solo fine a sé stesso ed ingranaggio anonimo all’interno del processo capitalista produzione – consumo – profitto, domanda – offerta o viceversa.

È importante ricordare come il negozio di prossimità, al contrario dell’anonimo centro commerciale, possa essere luogo di socialità d’incontro, di costruzione di comunità, possa considerarsi prosecuzione dello spazio pubblico, presidio di socialità e di sicurezza, veicolo facilitatore d’integrazione e d’inclusione.

La chiusura di attività di prossimità contribuisce a peggiorare la vita e le relazioni e incide sulla tenuta complessiva e la qualità dell’abitare, sul condividere esperienze e destino con la convinzione che un’attività commerciale di prossimità se chiude, difficilmente può sperare di riaprire (2/5% dei casi), il più delle volte se ciò avviene non resiste a lungo, a meno che non sia un’operazione legata al riciclaggio e all’illegalità che sa sempre come approfittare delle crisi e delle fragilità economico sociali.

La denuncia di Confcommercio mette anche in evidenza la differenza nella chiusura delle attività, che sono più numerose e maggiormente percepite nelle città con 100/250 mila abitanti e meno in quelle tra 30 e 100 mila abitanti, evidenziando una diversa percezione: per i primi di degrado urbano, mentre per i secondi di riduzione di occasioni di lavoro.

Gli studiosi Wilson e Kelling, già negli anni Ottanta, con la metafora delle finestre rotte che andavano riparate,[2] dimostrarono con una serie di esempi di come il disordine sociale fosse alla base dell’inquietudine della maggior parte dei cittadini.

Essi cercarono di evidenziare come, in una società che tende all’armonia, fosse necessario eliminare gli elementi dannosi sul nascere. Sostenendo appunto che se una finestra è rotta e non viene riparata, chi vi passa davanti concluderà che nessuno se ne occupa e non ha la responsabilità di provvedere. Ben presto ne verranno rotte delle altre e il disordine urbano tenderà ad aumentare, cosi l’insicurezza dei cittadini e le loro rappresentazioni negative di tale contesto.

Sia periferie urbane che aree interne soffrono questo fenomeno che, seppur con aspetti diversi, tende a rappresentare il problema più complesso della marginalità e della vita difficile, dell’angoscia e del degrado che si fa abbandono.

Quelli citati sono fenomeni già abbastanza evidenti, basta avere occhi e cuore per vederli e percepirli, con un’evidenza più accentuata per le aree interne ormai evidentemente in una crisi di sopravvivenza esistenziale, rassegnate a gestire e subire la creazione del vuoto, che non è altro che la somma delle persone che partono e di quelle che non arrivano.

La fabbrica del vuoto è frutto di un ritardo della politica e delle amministrazioni locali che hanno   trascurato da quarant’anni il problema dello spopolamento e quello del riabitare territori e ambiti urbani.

Tutto ciò che si sta muovendo è tremendamente in ritardo e viene affrontato blandamente con poche idee, risorse, impegno, e scarsissima consapevolezza, pochi sono i sindaci e gli enti locali che hanno provato a riordinare il mercato locale, un’azione che, tenendo conto di spazi abitati e attività, potrebbe dare nuova forma e speranza al commercio di prossimità.

La desertificazione in tutte le sue componenti è frutto di un’evoluzione del mercato che ha creato un’offerta straordinariamente vantaggiosa, ad esempio nei campi del commercio al dettaglio, con la nascita dell’E-commerce – naturale evoluzione dei centri commerciali – e nel settore del turismo con gli Air B&b.

Sono entrambi straordinari interpreti del nuovo commercio, capaci di mettere in campo un’offerta talmente vantaggiosa: prezzi, servizio, prodotto, che non può essere contrastata da attività materiali di piccole dimensioni, che spesso vengono chiuse per essere sostituite dagli affitti a breve termine.

Le regole del nuovo mercato, per certi versi smaterializzato, meno solido, ma più veloce e capace di generare maggiori profitti con costi ridotti e minori incombenze, sono vantaggiose non solo per i grandi gruppi commerciali, ma anche per i normali cittadini attraverso nuove forme di occupazione, come i rider ad esempio e, negli Air B&b, con la possibilità di sfruttare la dotazione immobiliare in surplus, familiare o ereditata, che favorisce anche una buona parte di cittadini comuni.

Il nuovo mercato tecnologizzato e globalizzato è il vero deus, ciò che ridisegna insieme ai bisogni gli stili di vita e di convivenza, l’abitare e la sua qualità.

La qualità del vivere e del riabitare è conseguenza del mercato e dell’interesse privato nelle sue varie declinazioni, commerciale, immobiliare, catastale, finanziario, etc. nulla sarà realmente efficiente se non si ripenserà il modello di sviluppo che le ha generate.

Lo stesso Papa Francesco ha più volte richiamato, a partire dall’enciclica Laudato Si’, l’attenzione sul modello di sviluppo e su una politica sottomessa alla tecnologia e alla finanza con i poteri economici concentrati sulla speculazione e l’accumulo di ricchezza, piuttosto che al benessere delle persone, un sistema destinato ad ampliare le disuguaglianze e distruggere l’ecosistema terrestre.

Il mondo globale, liquido e veloce, della post modernità ha definitivamente soppiantato i valori della civiltà contadina e industriale (terra, casa, beni posseduti, o consumati, etc) tutto ciò che aveva la forma dello stato solido, sicuro, garante, di convivenza civile e di sicure certezze.

Gli errori fatti sono tanti, come i ritardi accumulati. I “sapiens” con i loro comportamenti continuano a evidenziare le contraddizioni, mentre il vivere e l’abitare si fanno più difficili e dispotici, dimostrando anche su questo terreno la superficialità e la stupidità degli uomini.

Un comportamento magistralmente evidenziato da Einstein che ebbe a dire dopo la creazione della bomba termonucleare: «che i topi non avrebbero mai costruito una trappola per topi».    


[1]https://www.confcommercio.it/-/citta-demografia-impresa.

[2] Wilson J.Kelling G.L. (1982), Broken windows. The Police of Neighborhood Safety, “Atlantic Monthly”, marzo 1982, pp. 29-38.