Nei lunghi anni che ci separano dalla morte violenta di Marco Biagi, gli eventi che lo hanno ricordato hanno sempre potuto collegare i suoi progetti, la sua visione, alla attualità del dibattito politico e sindacale sul lavoro. Così, anche quest’anno, tanto l’esame parlamentare delle proposte di legge sulla partecipazione dei lavoratori, quanto l’iniziativa referendaria della Cgil, ci riconducono agevolmente al suo pensiero, anche se rappresentano, in opposizione tra loro, il compimento di un suo fondamentale auspicio contenuto nel Libro Bianco del 2001 e la negazione della sua convinzione circa il graduale superamento delle vecchie tutele rigidamente difensive.
Biagi, capace di comprendere la grande trasformazione del lavoro nonostante fosse contemporaneo alle sole, prime avvisaglie della rivoluzione tecnologica, sollecitava relazioni industriali cooperative affinché i rappresentanti dei lavoratori potessero condividere la faticosa transizione. Il lavoro avrebbe relativizzato il vincolo orario perché sempre più orientato agli obiettivi. Quindi al lavoratore sarebbe stato richiesto di concorrere con tutta la sua intelligenza ai risultati dell’impresa, maturando così il diritto (e dovere) di accedere a continue conoscenze e di essere premiato in proporzione alla ricchezza prodotta.
Questo approccio lo portava a desiderare un mercato del lavoro dinamico e inclusivo, nell’interesse, in primo luogo, dei lavoratori. Di qui la critica alla sanzione della reintegrazione, nel caso di licenziamento non giustificato, che non aveva mai appartenuto alla scuola riformista nella quale si era formato. Il moderno art. 18, ferme restando le adeguate (e certe) tutele monetarie, avrebbe dovuto essere proprio quel diritto-dovere all’apprendimento per il potenziamento delle capacità, delle competenze, della professionalità, ovvero della occupabilità. Analogamente, aveva voluto recepire la normativa europea sui contratti a termine, nella convinzione che potessero favorire l’innovazione delle imprese e allargare la partecipazione al mercato del lavoro, evolvendo naturalmente in contratti permanenti. Gli stessi appalti e subappalti furono disciplinati nella “sua” legge affinché fossero garantite insieme la specializzazione produttiva e le tutele dei lavoratori. Per queste ragioni i quesiti referendari oggetto della prossima consultazione vanno nella direzione opposta a quella da lui indicata. Una direzione antistorica perché alternativa a quella dei cambiamenti necessari per il protagonismo dei lavoratori nella nuova dimensione produttiva.
La Cisl ebbe già allora il merito di comprendere la novità scandalosa di Marco Biagi, attratta dalla sua fiducia nella contrattazione e dalla comune volontà di riattivare l’ascensore sociale. Il suo storico obiettivo di fare (e conservare) il ceto medio, la può oggi condurre ad essere l’attore sociale più capace di ampliare la massa salariale del lavoro dipendente e di stabilizzare le entrate dei lavoratori rispetto ai nuovi fattori di rischio. Più che confermare politiche distributive egualitarie, fatte di pochi soldi e molte tasse, la lezione di Biagi consiglierebbe di:
- comprendere nei contratti nazionali il potenziamento delle prestazioni di welfare aggiungendo a sanità e previdenza tutele nel caso di non autosufficienza;
- favorire la partecipazione dei lavoratori agli andamenti aziendali positivi attraverso incrementi retributivi automaticamente collegati o deliberati da accordi aziendali;
- diffondere intese aziendali dedicate anche alla partecipazione organizzativa, economica finanziaria e gestionale;
- definire una tassazione piatta, agevolata e definitiva, per tutte le componenti premiali del salario fino a un massimo di 8 mila euro nell’anno per i percettori di redditi entro gli 80 mila euro, definite da accordi aziendali o, nel caso di assenza del sindacato, da accordi sottoscritti presso le organizzazioni territoriali più rappresentative;
- reintrodurre una automatica tassazione piatta, agevolata e definitiva per straordinari, lavoro notturno, festivo, prefestivo fino a 6 mila euro per i percettori di redditi fino a 40 mila euro nell’anno;
- riordinare e ampliare la detassazione di tutte le prestazioni previdenziali, sanitarie, assistenziali.
In questo modo il coinvolgimento dei lavoratori non si limiterebbe ad una pur utile svolta culturale, ma determinerebbe il circolo virtuoso sognato da Biagi per l’intera società italiana.