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L’Etiopia è un Paese piuttosto vasto del Corno d’Africa: più di 1 milione di km quadrati. Negli ultimi 30 anni ha realizzato un importante percorso di sviluppo economico, accompagnato da una forte crescita demografica: ad oggi si stimano circa 135 milioni di persone nel Paese. L’obiettivo numero uno dei piani di sviluppo governativi succedutisi dagli anni Novanta ad oggi, è sempre stato la transizione da una società ed una economia a prevalenza agraria, ad una (società ed economia) a prevalenza industriale. Gli impatti, desiderati o meno, sulle aree rurali e le sue comunità, sono stati al centro dei miei studi e delle mie ricerche per anni. Gli impatti in termini di sicurezza alimentare, di ambiente, di biodiversità, di salvaguardia del territorio, di accaparramento di terre, di infrastrutture e servizi essenziali, di mercato del lavoro, di competenze, di mercati domestici ed internazionali, di migrazioni interne, di meccanismi di inclusione ed esclusione socio-economica, di vulnerabilità.

Per analizzare con consapevolezza e capacità di prospettiva le trasformazioni economica e sociale, ma anche culturale e politica, demografica, sanitaria ed educativa (elenco non esaustivo) a cui le aree interne italiane sono oggi soggette, è fondamentale tenere in considerazione ciò che succede in Etiopia. Tra le caratteristiche più evidenti di quel macro fenomeno che è la globalizzazione, infatti, vi è senz’altro il fatto che “locale” e “globale” sono intrinsecamente connesse: l’uno definisce l’altro e viceversa, così come l’uno impatta sull’altro e viceversa. Ne consegue che, ad esempio, se nel distretto West Arsi (Etiopia) centinaia di giovani lavoratrici che conducono un’agricoltura di sussistenza su piccoli appezzamenti di terra, si ritrovano ad essere lavoratrici salariate sottopagate di un’azienda produttrice di fiori recisi che vende in Italia a bassi prezzi, i coltivatori di fiori della Liguria potrebbero ritrovarsi senza mercato e magari costretti a cambiare mestiere, o vita.[1]

Partendo da queste considerazioni, senza voler qui sostenere la tesi che sia necessario conoscere tutte le West Arsi del mondo per comprendere ed affrontare le sfide alle quali i territori e le aree interne a noi più vicine sono soggette, questo articolo vuole però alimentare il dibattito nazionale relativo alle dinamiche di trasformazione socio-economica in atto nelle aree interne, offrendo una sintesi di ciò che succede a livello sovranazionale, e nello specifico in ciò che attiene al continente europeo, che possa quindi contribuire ad ampliarne l’orizzonte. De-antropizzazione, spopolamento, servizi essenziali, sfibramento del tessuto economico e sociale, governo del territorio, rigenerazione urbana, consumo di suolo, casa e abitare, sono tutti agenti di cambiamento o ambiti soggetti a trasformazione che interessano, ognuno con la sua specificità, le aree interne d’Italia, d’Europa e del mondo. Essere consapevoli delle sfide comuni ed adottare una prospettiva allargata, una visione globale e globalmente sostenibile, possono essere elementi chiave di un approccio al fenomeno che sia, appunto, consapevole e di prospettiva.

È questo, in effetti, l’approccio che adotta la Visione a lungo termine per le zone rurali europee, una iniziativa della Commissione europea del 2019, a guida von der Leyen, che si propone come strategia per rafforzare la resilienza e le capacità generative delle aree interne nell’affrontare sfide locali e globali. Grandi mutamenti demografici, cambiamenti climatici, scenari economici ad alta variabilità e riconfigurazione delle identità comunitarie, sociali e politiche – che costituiscono molto sommariamente le grandi sfide di oggi per l’Unione europea e i suoi Stati membri – impattano molto duramente su quei territori che, strutturalmente, soffrono di maggiori vulnerabilità. Nelle zone rurali la popolazione è più anziana della media, i servizi essenziali e le relative infrastrutture sono più scarse e meno accessibili, le opportunità economiche sono inferiori, le disuguaglianze di genere sono più elevate, le competenze di base (e in particolare quelle digitali) sono più deboli. A fronte di ciò, nella Visione la Commissione definisce le zone rurali come una parte fondamentale dell’identità e del potenziale economico dell’Europa, alle quali intende fornire nuovo slancio e nuova voce.

Le differenze in numeri

Scendendo un po’ nel dettaglio dei numeri, grazie ad un portale di dati statistici, Rural Europe implementato proprio quale asse strategico della Visione,[2] è possibile avere un quadro più chiaro del fenomeno nel panorama europeo. Stando ai dati più recenti, risalenti al 2023, poco più del 40% della popolazione dell’Unione europea vive in aree urbane (U). Guardando alla distribuzione anagrafica, in area U la popolazione in età da lavoro (tra i 20 e i 64 anni, 24,4%) è nettamente maggioritaria rispetto a quella giovane (sotto i 20 anni, 8,2%) e a quella anziana (sopra i 65 anni, 8,1% della popolazione totale). Questo scarto si riduce un po’ nelle aree interne, ossia in aree prevalentemente rurali (R) o intermedie (I), dove la popolazione in età da lavoro rimane prevalente, ma dove la popolazione anziana si piazza al secondo posto, lasciando per ultima la popolazione giovane.

Si stima che tra il 1° gennaio 2023 e il 1° gennaio 2051 la popolazione dell’Ue diminuirà complessivamente dell’1,8%, scendendo a 440,5 milioni di abitanti. Un calo che sarà principalmente registrato nelle aree R o I: nelle aree U infatti la popolazione continuerà a crescere su base annua fino al 2047, una crescita dovuta esclusivamente al saldo migratorio positivo, che compenserà un saldo naturale sempre negativo e in costante peggioramento. Nelle aree I e R, a fronte di un saldo migratorio neutro (I) o lievemente positivo (R) il saldo naturale negativo sarà tale da determinare un calo demografico annuo tra le 300.000 (2023) e le 700.000 unità (2050).

I dati confermano anche un accesso a strutture sanitarie, scuole primarie ed educazione terziaria, più limitato per le aree I e R. Relativamente all’ultimo parametro, si registra un 53% di giovani in area U che ha conseguito una laurea, a fronte di un 31,7% in area R. Menzione speciale per l’Italia, che registra percentuali da ultimi posti in classifica in entrambe le aree.

Per ciò che riguarda i livelli occupazionali, in 18 su 27 Paesi europei il tasso di attività (nella fascia di età 20-64) è più alto in area U che in area R, con una differenza di genere molto marcata a sfavore delle donne, che sfiora il 9% in area U e supera l’11,5% in area R. Menzione ancora una volta negativa per l’Italia, che in area U registra la più alta differenza di genere in termini di tasso di attività: 17,4%. Differenze di genere sono rilevanti anche rispetto ai tassi di occupazione e disoccupazione. La media Ue registra livelli più bassi di disoccupazione nelle aree R (5,3%) che nelle aree I (5,8%) e U (6,7%). Ma per ogni grado di urbanizzazione, si registrano tassi di disoccupazione più elevati tra le donne che tra gli uomini. Nelle zone R Ue esiste un divario del 13% tra l’occupazione maschile e quella femminile (10% in aree U), in alcuni Stati membri questo supera i 20 punti percentuali.

Differenze importanti tra aree R e U sono osservabili nell’ambito dei redditi da lavoro. Chi vive in area U ha in genere un livello di reddito più elevato[3] del 15% rispetto a chi vive in aree R, un gap rimasto stabile tra il 2013 e il 2023. La disparità riguarda anche l’accesso agli strumenti digitali: la percentuale di cittadini Ue che possiedono uno smartphone, un laptop o un tablet, o che utilizzano abitualmente piattaforme digitali (per inviare mail, leggere quotidiani, o accedere a servizi bancari) è in media di 10 punti percentuali inferiori in area R rispetto all’area U. La differenza riguarda anche il possesso di competenze digitali di base: in 24 Paesi su 27, la percentuale di abitanti (tra i 16 e i 74 anni) di aree R con competenze digitali di base è inferiore a quella di aree U. In 13 Paesi europei più del 50% della popolazione della stessa fascia d’età di area R, non possiede competenze digitali di base.

La lettura analitica dei dati presenti sul portale Rural Europe suggerisce due tipologie di considerazioni. Da un lato, è presente una discreta variabilità tra i Paesi membri (e altresì all’interno dei Paesi stessi) che è necessario tenere in considerazione sia nella lettura che nell’interpretazione di questi dati. Esistono specificità naturali, climatiche, geografiche, storiche, culturali, demografiche, sociali ed economiche, che “fanno sì che non esistano due zone rurali uguali”.[4] Dall’altro lato, si conferma per il panorama Ue una maggiore vulnerabilità delle aree rurali e periurbane rispetto alle aree urbane, particolarmente grave per le aree più remote, specialmente in riferimento a: crescita demografica e tassi di natalità; livelli di istruzione, competenze di base e digitali; livelli occupazionali e rischio di povertà o esclusione sociale per giovani e donne; disponibilità e accesso a servizi pubblici e infrastrutture di qualità.

La strategia europea per le zone rurali

La Visione a lungo termine per le zone rurali europee nasce dalla volontà di affrontare in modo organico queste sfide, cogliendo in particolar modo alcune opportunità emerse negli ultimi anni. Si fa qui riferimento alle “nuove esigenze della società, le opportunità dell’economia verde, le possibilità aperte dalla tecnologia digitale insieme alle conseguenze della pandemia di Covid-19 e l’aumento del telelavoro [, che] hanno portato una rinnovata attenzione nei confronti delle zone rurali quali luoghi di benessere, sicurezza, vita ecologica e nuove possibilità di rinnovamento sociale ed economico”.[5] Che le zone rurali possano svolgere un ruolo attivo fondamentale nella realizzazione della transizione verde e nella realizzazione di pratiche di sostenibilità ambientale, è un’argomentazione comunemente condivisa. La sostenibilità ambientale è di fatto una carta che i territori delle aree interne possono giocare a proprio vantaggio[6] nel fronteggiare sfide sociali ed economiche, anche eventualmente generate dalla transizione stessa. Si pensi, per fare alcuni esempi, alle possibilità esplorabili in termini di produzione di energia rinnovabile, alla rinnovata attenzione nei confronti della salvaguardia della biodiversità, all’importanza della manutenzione del territorio in funzione del cambiamento climatico, alla nuova attrattività turistica di cui godono aree rurali e montane, alla crescente domanda di alimenti di migliore qualità e filiere corte.

Queste tendenze trovano un parallelo nello sviluppo normativo e legislativo europeo che ha caratterizzato gli anni recenti, e a cui la Visione fa esplicito riferimento.[7] Si pensi, anche in questo caso senza alcuna ambizione di esaustività: agli Accordi di Parigi del 2015, al Green Deal del 2019 e alla successiva normativa europea sul clima, alle risoluzioni del Parlamento Europeo sulle strategie “dal produttore al consumatore per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente” (2021) e “biodiversità per il 2030 – riportare la natura nella nostra vita” (2021), alla comunicazione della Commissione sulla “nuova strategia dell’UE per le foreste per il 2030 (2021), e alla risoluzione su un piano d’azione dell’UE per l’agricoltura biologica (2022).

La Visione, già definita come “strategia” più in alto in questo articolo, si esprime attraverso una serie di obiettivi e azioni che sono stati definiti sulla base di un metodo che potrebbe risultare di estremo interesse per le organizzazioni di rappresentanza di comunità e territori, quali le organizzazioni sindacali. Alla base dell’esercizio intrapreso per progettare la visione, vi è infatti un percorso di coinvolgimento e consultazione di cittadini e organizzazioni delle zone rurali, intrapreso tra il 2020 e il 2021, che è andato ad incrociarsi con ricerche, studi scientifici e previsionali appositamente commissionati. Sono stati così identificati i due “fattori trainanti più impattanti e incerti” che probabilmente plasmeranno le trasformazioni delle zone rurali europee fino al 2040.[8] Da un lato, gli sviluppi demografici, per i quali, come si è visto sopra, date le previsioni di invecchiamento generalizzato della società europea, il vero game changer saranno le migrazioni. Dall’altro, la tipologia di governance multilivello che verrà realizzata, ovvero come il sistema decisionale e di governance nelle aree interne, affronterà la complessità, considererà le specificità territoriali, creerà reciprocità e complementarità, e svilupperà strategie.

Tramite studi e consultazioni si è giunti alla definizione di quattro ambiti di intervento complementari, “che incarnano una visione a lungo termine a partire da, mediante e per zone rurali più forti,[9] connesse,[10] resilienti[11] e prospere[12] entro il 2040”.[13] Questi sintetizzano le aspirazioni comuni delle comunità rurali e dei portatori di interesse consultati, affinché nel 2040 le zone rurali diventino (i) spazi attraenti, (ii) coinvolte in una governance multilivello e basata sul territorio, (iii) fornitrici di sicurezza alimentare, opportunità economiche, beni e servizi per la società, (iv) comunità dinamiche basate sulla qualità della vita e la prosperità, (v) comunità inclusive di solidarietà ed equità, (vi) fonti floride di natura, (vii) beneficiarie a tutti gli effetti della transizione digitale, (viii) luogo di incontro di persone qualificate e innovative, (ix) luoghi dotati di servizi accessibili ed efficienti, (x) luoghi di diversità.

Sulla base dei quattro ambiti di interventi e di questi ultimi 10 obiettivi condivisi, è stato definito un Piano d’Azione Rurale che da un lato vuole dare coerenza e organicità alle diverse politiche europee e ai finanziamenti che investono sulle zone rurali,[14] e dall’altro sviluppa autonomamente azioni tematiche, iniziative faro e azioni orizzontali. Tra le azioni orizzontali più interessanti vi sono certamente: (a) il tentativo di migliorare e valorizzare i dati e le statistiche del settore rurale mediante la creazione della base dati Rural Europe già citata in precedenza, e di un osservatorio rurale dell’UE[15]; la creazione ed attuazione di un meccanismo di verifica dei potenziali impatti rurali di iniziative legislative e non (cosiddetto rural proofing); la realizzazione di uno strumento agevole di orientamento ai fondi europei disponibili per iniziative in ambito rurale.[16]

I 10 obiettivi condivisi di cui sopra sono alla base anche del Patto Rurale, l’iniziativa della Visione che dà continuità al metodo partecipativo e multi-stakeholders implementato nella fase di progettazione e così facendo approccia il fattore governance identificato come trainante. Il concetto di patto rurale è stato approvato nel 2022 tra la “comunità del patto rurale” (che riunisce tutti i portatori di interesse che sostengono i 10 obiettivi condivisi), e le istituzioni, gli organi e le reti Ue che guidano il Parlamento rurale europeo.[17] Ciò che ne è scaturito è uno spazio formale e un quadro per rafforzare la cooperazione tra i Governi nazionali, regionali e locali, le organizzazioni della società civile, le imprese, il mondo accademico e i cittadini. La Commissione europea ha dato seguito al Patto istituendo un ufficio di sostegno, un gruppo di coordinamento e una piattaforma. Tra il 2022 e il 2024 sono state realizzate numerose iniziative a beneficio della comunità: momenti di incontro, condivisione, spazi di discussione, forum con Governi nazionali. Sono anche stati siglati 120 impegni ad agire per le zone rurali nei confronti delle autorità nazionali e regionali.[18] Sfogliando le carte è possibile trovare traccia di come questo processo sia stato effettivamente messo in campo. In Italia, ad esempio, la Rete Rurale Nazionale[19] ha incoraggiato l’adesione di tutti i portatori di interesse delle comunità agricole e rurali alla consultazione operata in funzione del Patto rurale.

Come evidenzia il Comitato economico e sociale europeo (Cese) nel parere espresso sulla Visione, le proposte, il metodo e le aspettative definite sono di notevole interesse e di grande auspicio. Sul buon esito della stessa, tanto dipenderà dall’effettiva implementazione di queste proposte negli Stati membri da parte delle autorità locali e nazionali, e dalla capacità di convogliare risorse e di coinvolgere pienamente i portatori di interesse.[20]

Fin dalle fasi di progettazione, la Visione ha adottato un metodo sulla carta molto favorevole alle organizzazioni sindacali. Nella fase di progettazione sono stati definiti ed istituiti spazi di consultazione diretta e indiretta dei cittadini che hanno coinvolto anche le organizzazioni della società civile e le organizzazioni di rappresentanza. Peraltro, il coinvolgimento allargato e multi-livello è identificato come “fattore trainante”: la sua effettiva inclusione in un modello di governance partecipato è esplicitamente considerata determinante per la riuscita della Visione e quindi per il futuro delle zone rurali. Come accennato brevemente sopra, multi-level governance significa partecipare al processo decisionale su: come affrontare la complessità, come sviluppare le strategie, come leggere le specificità locali, come strutturare le relazioni tra gli attori e attribuire ruoli e responsabilità. E viene oggettivamente difficile identificare organizzazioni che possano partecipare a tali processi con maggiore legittimità delle organizzazioni sindacali. In quanto portatori di interessi sociali collettivi e istituti di rappresentanza diretta di milioni di cittadini, grazie alla presenza capillare sui territori, alla conoscenza delle specificità locali, e alle (spesso) statutarie predisposizioni al dialogo, al confronto con soggetti diversi, e all’advocacy, le organizzazioni sindacali dovrebbero essere chiamate a giocare un ruolo da protagonista (o in alternativa a conquistarselo di diritto) nella governance della Visione, che è destinata a plasmare il futuro di milioni di persone, nelle aree interne d’Europa.


[1] Per un approfondimento sul fenomeno: https://www.iscosemiliaromagna.org/documentario-biancofiorenero/.

[2] https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Rural_Europe.

[3] Misurato come median equivalent net income.

[4] Commissione europea (2021) – Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni. Una visione a lungo termine per le zone rurali dell’UE: verso zone rurali più forti, connesse, resilienti e prospere entro il 2040, COM(2021) 345 final, 30/06/2021, pag. 2.

[5] op. cit., pag. 7

[6] ASVIS (2022), Le aree interne e la montagna per lo sviluppo sostenibile, Position Paper 2022, Gruppo di Lavoro sul Goal 11.

[7] PE (2022), Risoluzione del Parlamento europeo del 13 dicembre 2022 su una visione a lungo termine per le zone rurali dell’UE: verso zone rurali più forti, connesse, resilienti e prospere entro il 2040, P9_TA(2022)0436.

[8] Joint Research Centre (2022), EU Rural Areas 2040, Competence Centre on Foresight, doi:10.2760/29388.

[9] “Forti” è da intendersi come sede di comunità locali emancipate e vivaci, in grado di fornire accesso ai servizi pubblici e privati, e di stimolare innovazione sociale.

[10] Più “connesse” fa riferimento sia al collegamento fisico con le zone urbane e periurbane mediante soluzioni di trasporto e mobilità sostenibile, sia alla implementazione di una connettività digitale efficace e capillare.

[11] Il concetto di “resilienti” riguarda la resilienza ai cambiamenti climatici, ai pericoli naturali, e alle crisi economiche, promuovendo in particolare condizioni di accesso eque a percorsi di qualificazione e posti di lavoro.

[12] Zone rurali “prospere” guarda in ultimo alla diversificazione delle attività economiche e alla diffusione di una produzione alimentare sostenibile.

[13] Commissione europea (2021) – Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni. Una visione a lungo termine per le zone rurali dell’UE: verso zone rurali più forti, connesse, resilienti e prospere entro il 2040, COM(2021) 345 final, 30/06/2021, pag 9.

[14] Si fa qui riferimento a: Politica agricola comune (PAC) e Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR); Politica di coesione, Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), Fondo di coesione (FC) e Fondo sociale europeo Plus (FSE+); altri programmi tipo Erasmus+, Horizon 2020, PNRR, ecc.

[15] https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Rural_Europe&stable=1.

[16] Rural toolkit: https://funding.rural-vision.europa.eu/?lng=it.

[17] Associazione europea Leader per lo sviluppo rurale (Elard), Alleanza delle comunità rurali europee (Erca) e partenariato per l’Europa rurale (Prepare).

[18] Commissione europea (2024), Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni. La visione e a lungo termine per le zone rurali dell’UE: risultati principali e vie da seguire. COM(2024) 450 final, 27/03/2024, Bruxelles.

[19] Le reti rurali nazionali sono piattaforme istituite nel 2007 che, soprattutto nel periodo di programmazione 2014-20 sono state coinvolte nell’elaborazione e nell’attuazione della politica di sviluppo rurale europea,  https://ec.europa.eu/enrd/networking/stakeholder-involvement_it.html.

[20] Comitato economico e sociale europeo (2022), Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Una visione a lungo termine per le zone rurali dell’UE: verso zone rurali più forti, connesse, resilienti e prospere entro il 2040. [COM(2021) 345 final].