1. Premessa
Il 14 gennaio u.s. a Roma, presso la Sala della Regina di Montecitorio, è stato presentato il Rapporto Inapp 2024. La presentazione del Rapporto rappresenta una preziosa occasione di riflessione e di confronto sulle politiche pubbliche e restituisce un esauriente quadro per comprendere, elaborare e adottare soluzioni normative più efficaci atte a governare le complesse trasformazioni nel mercato del lavoro e nel contesto sociale ed economico del Paese.
Il cambio di paradigma proposto nel sottotitolo del rapporto («Lavoro e formazione. Necessario un cambio di paradigma») evidenzia l’urgenza di offrire risposte alle grandi criticità che contraddistinguono il Paese caratterizzate da due fattori strutturali: l’invecchiamento della popolazione in età di lavoro e la pervasività delle nuove tecnologie digitali.
Il rapporto analizza le tendenze del mercato del lavoro, l’efficacia delle misure di politica attiva e delle azioni salariali attraverso l’ausilio di fonti statistiche elaborate nell’ambito del campione delle 98 attività di ricerca di monitoraggio e di valutazione sviluppate dall’ente di ricerca negli ultimi due anni.
2. Mercato del lavoro e caratteristiche dell’occupazione
Il contesto geopolitico attuale influenzerà negativamente le previsioni economiche per il 2025 a causa della contrazione degli scambi internazionali e dell’esigenza di mobilitare risorse finanziarie aggiuntive per rafforzare i sistemi di sicurezza, riducendo i livelli di dipendenza dai sistemi produttivi nazionali.
Il grado di esposizione dei paesi dell’Unione Europea risulta essere superiore a quello degli Stati Uniti e della Cina per l’inferiore capacità di orientare le risorse interne e per lo spiazzamento dovuto alle scelte intraprese nella gestione della transizione digitale e ambientale successiva alla pandemia.
La crescita dell’economia italiana in questo periodo è stata imponente: nelle stime OCSE il +4,2% nel 4º trimestre 2023 rispetto all’analogo periodo nel 2019 risulta essere inferiore nel gruppo del G7 solo a quelle degli Stati Uniti e del Canada.
L’Istat, tra il dicembre 2019 e l’ottobre 2024, stima un aumento del tasso di occupazione del 3,5%, equivalente a 1.043.000 posti di lavoro, oltre che una riduzione pressoché analoga del numero dei disoccupati. Il merito della maggiore occupazione è perciò da ricercarsi nella fluidità del mercato del lavoro e non nell’incremento dell’inattività (come accaduto in passato).
I risultati conseguiti hanno consentito il raggiungimento del record storico degli occupati (oltre 24 milioni) e del tasso di occupazione del 62,5%. Tutti i grandi aggregati dell’economia hanno contribuito alla crescita dell’attività: gran parte dei posti di lavoro sono ascrivibili, oltre che al settore manifatturiero avanzato, ai servizi ad alta intensità di occupazione.
Nelle regioni del Mezzogiorno l’incremento del tasso di occupazione risulta superiore del 2,4% rispetto a quello delle regioni del Nord.
I posti di lavoro sono equamente distribuiti tra uomini e donne, ma si concentrano nella corte degli over 50, che nel frattempo è diventata la componente di età attiva più numerosa, superando quella dei 35-49 anni.
Migliora anche la qualità dei nuovi rapporti di lavoro: crescono i rapporti a tempo indeterminato ( +1.375.000), compensati dalla riduzione di quelli a termine e di una quota dei rapporti part time. L’andamento del monte ore complessivamente lavorate risulta in linea con quello del numero degli occupati, ma nonostante le performance positive, le criticità rimangono elevate.
Il tasso di inattività (1/3 della popolazione in età di lavoro) è ancora preoccupante : il mancato utilizzo delle risorse umane supera di 10 punti percentuali la media UE per i giovani under 35 e raggiunge il picco del 58% per le donne nel Mezzogiorno.
L’indagine Eurostat 2023 fornisce una lettura delle differenze occupazionali del tasso di occupazione tra l’Italia e i 20 principali paesi della UE: se fossimo a livello europeo avremmo ulteriori 3.156.000 posti di lavoro (-8,5%). Il 70% della carenza degli occupati risulta concentrata nei comparti influenzati dalla spesa pubblica, sanità, assistenza e istruzione, con 1.270.000 posti di lavoro in meno.
La difficoltà di reperimento dei lavoratori da parte delle imprese, evidenziata dalle periodiche indagini del Sistema Excelsior di Unioncamere è aumentata dal 26% al 48% nel 2024.
Il fenomeno, che con diversa intensità riguarda tutti i profili professionali, è stato amplificato dalla riduzione della popolazione in età da lavoro, dalla carenza di competenze anche per i profili esecutivi, dalle offerte di lavoro che non riscontrano disponibilità da parte delle giovani generazioni.
Nello scenario medio dell’Istat, entro il 2040, l’incidenza dei fattori negativi è destinata a crescere per l’impatto della riduzione demografica di circa 4 milioni di persone in età di lavoro e per quello delle tecnologie digitali sull’organizzazione del lavoro e sulle professioni. Il riallineamento dei nostri tassi di occupazione alle medie europee, in particolare dei giovani under 35 e delle donne, rimane l’unica condizione possibile per soddisfare i fabbisogni del sistema produttivo e per assicurare la sostenibilità delle spese di sanità, previdenza e assistenza sociale.
L’ostacolo è rappresentato dagli squilibri territoriali, generazionali e di genere, e dalla scarsa dotazione di competenze da parte delle forze lavoro. Circa i 2/3 dal mancato utilizzo delle risorse umane in età da lavoro, in prevalenza giovani e donne, sono concentrati nelle regioni del Mezzogiorno, mentre in quelle del Nord e in parte del Centro Italia i tassi di occupazione sono già allineati alle medie europee o superiori per la componente maschile. La risposta a queste criticità può essere solo un tasso di crescita degli investimenti e dell’economia nelle aree del Sud superiore alla media nazionale.
Il mancato ricambio generazionale risulta superiore alle dinamiche demografiche per l’elevato scollamento tra i percorsi formativi e i fabbisogni del mondo del lavoro. In una recente indagine dell’INAPP sull’efficacia dei servizi di orientamento al lavoro, che ha coinvolto 2700 operatori delle scuole, università, centri dell’impiego e agenzie di formazione e oltre 3600 giovani potenziali fruitori, è stata evidenziata la carenza di metodologie condivise e di solide reti di collegamento con il mondo del lavoro, che si riflette anche nell’elevato disorientamento dei giovani in tema di prospettive professionali.
La mancata disponibilità dei servizi di cura per i figli e per gli anziani, ha causato il 18% delle uscite lavorative e il 40% delle dimissioni volontarie delle donne. L’incidenza dei lavoratori anziani sulla popolazione e l’impraticabilità di ulteriori pensionamenti anticipati impongono l’adozione di misure normative, contrattuali e formative rivolte a favorire l’invecchiamento attivo. Il cambiamento dall’approccio può essere agevolato dalla positiva inversione di tendenza delle imprese nei confronti dei lavoratori anziani che viene riscontrata, oltre che dai dati Istat, anche nell’indagine Age Management del 2023. Il 97% dei datori di lavoro interpellati non ritiene importante ridurre il numero degli anziani e il 93% di sostituirli con lavoratori giovani.
Le scelte operate in materia di bilancio pubblico negli ultimi 15 anni hanno ridotto il peso della domanda di lavoro derivanti dalla spesa pubblica per gli investimenti e per le assunzioni di personale nella pubblica amministrazione, nella sanità, nell’istruzione, nel lavoro di cura; settori che negli altri Paesi hanno svolto un ruolo fondamentale per la crescita dell’occupazione, per la domanda di giovani laureati e diplomati e per l’occupazione femminile.
Le politiche di austerità e gli oneri degli interessi sul debito pubblico hanno concorso alla riduzione dei margini di spesa pubblica, ma nel frattempo è aumentata in modo esponenziale quella corrente per sostenere i redditi delle famiglie e delle persone. Le risorse trasferite dallo Stato al fondo INPS per la gestione degli interventi assistenziali sono aumentate, da 79 miliardi di euro nel 2008, a 167 miliardi nel 2023. Ulteriori risorse, per un volume complessivo di spesa aggiuntiva di circa 500 miliardi di euro sono state stanziate dallo Stato con le leggi di bilancio, dalle amministrazioni locali per erogare prestazioni di diversa natura e agevolare l’accesso di servizi pubblici con l’utilizzo delle dichiarazioni ISEE.
Le risorse dallo Stato sono state utilizzate anche per sostenere i salari medio bassi dei lavoratori dipendenti. Nello scenario di una bassa crescita economica, il contributo delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) diventa fondamentale per la tenuta degli investimenti pubblici, ma non deve essere sottovalutata l’esigenza di razionalizzare la spesa destinata alle prestazioni sociali per renderla coerente con i fabbisogni dell’invecchiamento della popolazione e per valorizzare le ricadute occupazionali. Segnali di inversione di tendenza sono stati registrati nel Mezzogiorno in coincidenza con la razionalizzazione della spesa per il contrasto della povertà.
Gli incentivi pubblici per gli investimenti hanno svolto un ruolo significativo per le scelte delle imprese: nell’indagine INAPP del 2022 sulle imprese con almeno un dipendente, il 54% delle stesse dichiarava di aver assunto la decisione di investire nel triennio precedente per la disponibilità di agevolazioni fiscali. L’intensità degli investimenti è risultata superiore per le imprese manufatturiere, per quelle di media/grande dimensione, per quelle collocate nelle regioni del Nord Italia; contrariamente l’entità degli investimenti è invece ridotta nei comparti economici caratterizzati da una forte presenza delle piccole imprese che si riflette negativamente sull’impiego delle tecnologie digitali e dalla domanda di lavoratori con alta qualificazione.
Gli obiettivi della transizione digitale ambientale possono essere colti se si individuano delle modalità efficaci per trasferire le innovazioni tecnologiche per aumentare la domanda di lavoratori qualificati nelle piccole imprese. Gli sgravi contributivi per le assunzioni hanno mobilitato una parte rilevantissima delle risorse pubbliche destinate alle politiche del lavoro, circa 300 miliardi di euro tra il 2008 e il 2023. Nel 2023 sono stati utilizzati per il 25% delle nuove attivazioni che salgono al 42% per la componente femminile. Il 50% delle imprese con meno di 50 dipendenti, per la gran parte dei comparti dei servizi, ha usufruito delle agevolazioni. La durata media dei rapporti di lavoro incentivati è di 16 mesi, lontana dall’obiettivo normativo di favorire la crescita dei rapporti a tempo indeterminato per la durata minima di 3 anni. Gli sgravi contributivi potrebbero invece aver influito positivamente sulla riduzione delle prestazioni sommerse.
Ulteriori ricerche, INAPP e Fondimpresa, evidenziano l’efficacia degli incentivi finalizzati agli investimenti condizionati dalla promozione di programmi formativi per i lavoratori in termini di crescita della produttività e di miglioramento delle condizioni di lavoro.
È un modello che può consentire di aumentare in modo significativo l’attrattività degli investimenti e la qualità delle ricadute occupazionali nei territori della Zona Economica speciale del Mezzogiorno con il concorso delle politiche attive del lavoro e delle parti sociali.
2. La sfida della formazione
Il rapporto 2024 si concentra in particolare sul tema del disallineamento dell’offerta formativa rispetto ai fabbisogni e fabbisogni professionali e sul mismatch tra la domanda e l’offerta di lavoro.
Ultimamente, per migliorare l’offerta formativa sono stati adottati diversi provvedimenti molto importanti: la promozione del Piano nazionale per le nuove competenze, il finanziamento dei programmi formativi aziendali con il Fondo per le nuove competenze, l’istituzione del repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione, il decreto del Ministero del Lavoro del luglio 2024 che rafforza i livelli di cooperazione istituzionale per i servizi di valutazione e di certificazione delle competenze.
Nel mese di agosto 2024 è stata approvata la legge 121 che propone la costruzione di un’offerta integrata tra i diversi percorsi di formazione tecnico professionale, tra la formazione professionale, l’istruzione, la formazione tecnica superiore e gli istituti tecnologici superiori
Provvedimenti che vanno nella giusta direzione, ma la cui concreta attuazione deve fare i conti con i retaggi culturali che hanno ostacolato il dialogo tra le istituzioni formative e gli attori del sistema produttivo.
Il sistema non è privo di buone pratiche negli ambiti dalla formazione professionale, dalle esperienze di eccellenza degli ITS Academy, ma il loro contributo continua ad essere sottodimensionato rispetto ai fabbisogni del sistema produttivo e al di sotto del tasso di sostituzione dei lavoratori che escono.
Nel complesso, l’offerta formativa risulta territorialmente squilibrata e poco attrattiva per le transizioni lavorative. L’affermazione trova conferma nei rapporti istituzionali periodicamente redatti dall’Istituto sull’istruzione e formazione professionale, l’apprendistato, i tirocini extracurriculari, la formazione continua: la partecipazione ai corsi di istruzione e formazione professionale rimane attestata sull’8% dei giovani, ma in riduzione sul piano numerico. Il dato positivo invece rappresentato dalla progressione del numero di percorsi di formazione grazie alle risorse stanziate dal PNRR.
L’Istituto dell’apprendistato registra una lenta crescita della partecipazione in tutto il territorio nazionale, 556.000 contratti nel 2023, l’utilizzo è concentrato per il 97% sulla modalità dell’apprendistato professionalizzante.
L’incidenza di questa tipologia di rapporto di lavoro rimane comunque distante dai livelli di utilizzo dei principali paesi europei che lo privilegiano per veicolare i percorsi di alternanza anche per gli adulti.
Nel quadriennio 2000-2023 l’istituto dei tirocini extracurriculari è stato utilizzato per favorire l’inserimento lavorativo di 1.150.000 disoccupati. Solo il 10% riguarda i percorsi di inserimento post-scolastici e universitari. La partecipazione delle scuole secondarie e delle università alla loro attivazione è inferiore al 4%. Nel 2023 l’11,6% dei lavoratori occupati ha partecipato alle attività di formazione continua promosse dai 19 fondi interprofessionali gestiti dalle parti sociali e che reagiscano l’adesione di 770.000 imprese e 10 milioni e 300mila lavoratori migliora del 2% rispetto all’anno precedente, ma rimane distante dai livelli raggiunti dai paesi leader europei.
La crescita degli interventi formativi è stata stimolata dai con finanziamenti del Fondo nuove competenze con la mobilitazione di 1 miliardo e 256 milioni di euro tra il novembre 2020 e il dicembre 2023, che hanno favorito la promozione di 5.144 piani formativi, con il coinvolgimento di 5.173 aziende e 480.000 lavoratori.
Il Fondo Nuove Competenze è stato recentemente rifinanziato con una dote di 730 milioni di euro per potenziare le competenze green e digitali.
I fondi interprofessionali e i fondi di solidarietà promossi dalle parti sociali possono svolgere un ruolo fondamentale per la valutazione dei fabbisogni formativi, per orientare le iniziative formative e la certificazione dei risultati nell’ambito delle politiche attive del lavoro.
Oltre alla debolezza del sistema duale, risulta carente l’offerta formativa rivolta ad adeguare le competenze nelle transizioni lavorative, valorizzando l’ambito aziendale e i percorsi macro learning che rivestono una grandissima importanza per i lavoratori anziani.
Il fenomeno trova conferma anche nell’indagine INAPP Indaco per le imprese italiane: l’86,3% di queste con più di 6 addetti ritengono che tale pratica risponda efficacemente alle esigenze aziendali, il 33% l’ha adottata per almeno il 75% dei progetti formativi attivati.
L’indagine INAPP Indaco adulti segnala inoltre il grande potenziale di sviluppo delle attività formative non convenzionali: il 45,4% delle persone tra i 18 e i 64 anni ha partecipato a percorsi strutturati di apprendimento.
È necessario dare priorità assoluta al rafforzamento dei percorsi con la modalità duale, con la costruzione di una cornice condivisa, normativa e contrattuale nazionale, in grado di valorizzare in modo organico le innovazioni normative.
Indispensabili risultano essere la flessibilizzazione e personalizzazione dell’offerta formativa finalizzate ad accelerare i tempi dell’inserimento lavorativo (da erogare anche nell’ambito lavorativo certificando le competenze acquisite) e predisposizione di moduli formativi per rafforzare la capacità di orientamento e le competenze digitali (aggiornamento e riqualificazione).
3. Conclusioni
Il rapporto INAPP 2024 vuole fornire un contributo di analisi e di valutazione che risponda all’esigenza di un cambio di paradigma nell’affrontare i problemi e che metta al centro delle politiche economiche del lavoro l’obiettivo di aumentare i livelli di produttività, le competenze dei lavoratori e il pieno impiego delle risorse umane.
Per le caratteristiche della demografia italiana, ovvero bassa natalità, progressivo invecchiamento della popolazione del lavoro, aumento delle persone anziane non attive, questa non è un’opzione ma rappresenta la condizione necessaria per mantenere i livelli di benessere ritagliati sui fabbisogni emergenti della collettività.
Il cambio di paradigma non riguarda solo l’ambito della gestione delle risorse pubbliche e delle competenze dell’amministrazione, ma a diversi livelli richiede risposte complesse, convergenti e cooperative anche da parte dei corpi intermedi, a partire da istituzioni formative, sindacato e organizzazioni del terzo settore che possono concorrere per missione, interessi, competenze al raggiungimento degli obiettivi.
I punti critici sottolineati dalla lettura dei dati interrogano sulla capacità e sulla valutazione ed efficacia delle politiche in essere e sulla necessità di fornire risposte alle nuove esigenze caratterizzate dalle transizioni lavorative e dall’impatto delle innovazioni tecnologiche, sulla qualità e la quantità del lavoro imponendo un’attività costante di studio e analisi.