Grazie a tutti. Benvenuti. È davvero una giornata particolare, quella di oggi. Lo è per la Cisl, che è chiamata a guardare avanti nel segno della condivisione e dell’unità. E lo è per me personalmente, come potete ben immaginare.
Ho sempre pensato che il 3 marzo di quattro anni fa sarebbe rimasto, al netto di quelli più legati alla famiglia, il giorno più intenso ed emozionante della mia vita. Lo è ancora, perché essere chiamato a guidare la Cisl è stato un privilegio unico, ineguagliabile, e quel primo momento lo porterò sempre con me, scolpito nella mente e nel cuore. Ma i sentimenti, le sensazioni che provo ora vanno sicuramente ad affiancarsi, come intensità, a quelli di allora.
È stato un viaggio incredibile. Un’esperienza straordinaria, di quelle che riempie di senso una vita. Ed io ancora oggi, soprattutto oggi, ve ne sono grato.
Ho avuto modo di conoscere ancora meglio di quanto già non fosse le qualità, la ricchezza, del tessuto umano e professionale di cui è fatta la Cisl. Mi avete dato tanto, tantissimo. Se fossi riuscito a restituire anche solo la metà di quel che ho ricevuto, potrei dirmi soddisfatto del lavoro fatto.
Un grande scrittore [Marcel Proust] disse una volta che “i giorni sono forse uguali per un orologio, ma non per un uomo.” No, non sono stati certo tutti uguali, i giorni che hanno scandito questi quattro anni.
Di certo però io ho provato a viverli tutti, dal primo all’ultimo, nel modo più pieno possibile, spendendo ogni energia a mia disposizione nel tentativo di fare, insieme a voi, ciò che ritenevo giusto, quella che consideravo la cosa migliore. A volte i risultati possono essere stati migliori, a volte meno. Come sempre nella vita.
Quel che di sicuro ci possiamo riconoscere con orgoglio è il coraggio, la determinazione, con cui abbiamo affrontato tanti passaggi difficili e complessi. Persino tragici, ripensando alla dimensione avuta e agli effetti provocati.
L’emergenza Covid e la trincea di solidarietà che ha visto impegnati migliaia di delegati, operatori, quadri, dirigenti che hanno continuato a lavorare nei modi e nelle forme concesse, sfidando il pericolo. Il modo in cui abbiamo obbedito all’imperativo di tenere unito il Paese, di garantire servizi e beni anche nei periodi di lockdown e di far ripartire il sistema produttivo, dando centralità al lavoro e proteggendo le persone. Quindi la scelta di sostenere senza esitazioni l’obbligatorietà del vaccino e del Green Pass. E la sigla dei Protocolli per la messa in sicurezza nei luoghi di lavoro. Questa è stata la Cisl nel tempo della pandemia.
E poi, nemmeno il tempo di iniziare a vedere un po’ di luce in fondo a questo tunnel, la notte del 24 febbraio di ormai tre anni fa è arrivato il criminale attacco scatenato da Putin contro l’Ucraina. Attacco dal sapore pienamente imperialista non solo ad un Paese di cui non si tolleravano indipendenza e autonomia, ma alle norme del diritto internazionale che regolano la nostra convivenza. Anche in questo caso non abbiamo esitato, condannando immediatamente l’aggressione. E non abbiamo mai avuto il minimo tentennamento su quale dovesse essere la linea da mantenere. Mentre da altri venivano formule ambigue come quella della “neutralità attiva” o appelli generici in nome di un astratto pacifismo, noi abbiamo detto che sì, la pace è un bene supremo, ma non una pace “purché sia”.
Non poteva essere, e non può essere pace, quella risultante da un inchino a chi crede di poter ridisegnare i confini d’Europa con la forza. L’unica pace possibile era, ed è, una pace giusta e duratura, rispettosa della sovranità degli Stati e della libertà dei popoli.
Oggi, mentre gli equilibri geopolitici sono ancora più fragili e scossi rispetto ad allora, risulta ancora più chiaro, credo, quanto sia stato importante schierarsi senza esitazioni a difesa del modello di società aperta e dei valori di libertà che appartengono alla democrazia europea.
Detto questo, grande impegno c’è voluto soprattutto per fronteggiare le conseguenze economiche e sociali dell’aggressione russa nel nostro Paese: le grandi forniture ferme, l’accorciamento delle catene di approvvigionamento, i costi energetici…
Abbiamo affrontato, tra shock energetico e peso delle sanzioni, carenza di materie prime e impennata dei prezzi con l’inflazione tornata a doppia cifra, una vera “tempesta perfetta”. Ma non abbiamo perso la rotta, mantenendo come coordinate fondamentali la necessità di una transizione ecologica graduale, non ideologica e socialmente sostenibile, e l’idea che le risposte efficaci potessero venire solo da un rinnovato e comune slancio a livello europeo.
Lo abbiamo sostenuto anche nel nostro Manifesto per l’Europa, sottolineando l’importanza di non disperdere lo spirito che aveva contrassegnato le risposte condivise alla crisi pandemica. E invece è successo, un affievolimento di questo spirito c’è stato. Prova ne è la riforma del Patto di Stabilità, con i vincoli troppo stringenti che ha reintrodotto.
È un errore, frutto di egoismi e miopie, che abbiamo chiesto subito di correggere. Perché abbassare la guardia, adagiarsi e tornare alle vecchie abitudini una volta passato il momento di massimo pericolo è umano e può essere comprensibile per un individuo, ma non è consentito ad una grande istituzione, ad un soggetto sovranazionale chiamato a stare sulla scena globale in modo coeso e determinato.
Fatemi dire che in questi quattro anni “vissuti pericolosamente” sia a livello mondiale sia per quanto riguarda il nostro Paese, la Cisl è sempre stata in prima linea. Lo ha fatto con la forza delle sue idee, della sua autonomia, della sua capacità di anteporre ad ogni altra considerazione il perseguimento dell’interesse generale.
Abbiamo così percorso molta strada. Siamo riusciti perché siamo stati “viaggiatori leggeri”. Senza bagagli ideologici e senza farci mai condizionare da chi, avendone, troppo spesso ha preteso, procedendo in modo più lento o non muovendosi affatto, di farci rallentare e di indicare una pretesa strada giusta che invece giusta non era, e non è.
Invece dell’istanza reiterata e sterile del conflitto sempre e comunque, tanto da scadere in un antagonismo capace di condurre solo in un vicolo cieco, noi abbiamo costantemente indicato la via del dialogo, della corresponsabilità, dell’unità di intenti in nome delle ragioni del mondo del lavoro e del bene comune.
Una via da percorrere per arrivare a stringere, come abbiamo esortato a fare già al nostro ultimo Congresso, un Patto per lo sviluppo, il lavoro, la coesione, l’innovazione, gli investimenti e la competitività.
È vero: all’esterno, tra i nostri interlocutori, la capacità di cogliere l’intima verità contenuta in questa visione strategica non è stata sempre costante.
Anche se è motivo di soddisfazione che nel recente Rapporto sulla competitività per l’Unione europea di Mario Draghi si parli della necessità di un nuovo “Contratto sociale”.
La cosa importante, però, è che lavoratori e pensionati hanno apprezzato. Segno che quando fai del tuo meglio e fai bene, con coerenza di posizioni e concretezza di risultati, poi “le persone capiscono”.
I risultati del tesseramento ne sono la prova più bella. La Cisl è un’organizzazione salda, radicata, un sindacato ben piantato nel presente e che guarda al domani. Merito della chiarezza della nostra proposta e insieme dello straordinario lavoro capillare che oggi mi fa ringraziare dal profondo tutte le federazioni, ogni presidio orizzontale e verticale, l’intero sistema dei servizi della Cisl.
Un lavoro di squadra eccezionale. Rinnovando noi stessi. Ringiovanendo anche anagraficamente tante nostre strutture. Considerando ogni passo in avanti non il raggiungimento del traguardo, ma la condizione per farne un altro ancora e poi ancora.
E fatemi dire: al di là degli straordinari dati numerici, c’è un elemento tutto “politico”. Di “politica sindacale”. Perché altra noi non ne conosciamo. E non ci interessa conoscerla e frequentarla.
Se siamo cresciuti in modo così poderoso, vuol dire che le lavoratrici e i lavoratori, le pensionate e i pensionati, vogliono e apprezzano un “sindacato che fa il sindacato”. E noi questo abbiamo fatto. Sempre e in ogni momento. Abbiamo fatto il nostro mestiere. Senza alcuna collateralità con la politica. Senza pregiudizi ideologici. Senza simpatie o antipatie rispetto a questo o quel governo. Siamo stati sempre e solo “sindacalisti”.
E come tali abbiamo promosso e cercato il confronto, abbiamo rivendicato, abbiamo negoziato e contrattato. È così che siamo stati credibili. È così che siamo stati evidentemente riconosciuti, dagli interlocutori, come portatori di uno spirito costruttivo, lontani anni luce dalla logica del “tanto peggio tanto meglio” che appartiene ad altri e che in politica troppo spesso zavorra le posizioni di chi, a turno, si oppone a chi governa.
Siamo approdati a tante conquiste grazie a questa credibilità e alla tenacia con cui abbiamo sempre dialogato. Ma anche grazie alla determinazione con cui ci siamo mobilitati, senza alcuna paura, quando il filo del dialogo è stato fatto cadere dalle nostre controparti. O quando non siamo stati soddisfatti delle proposte ricevute o delle misure adottate.
Lo abbiamo fatto con le due grandi piazze della responsabilità. Con tanti sit-in ed assemblee. Con il sostegno agli scioperi di categoria nel corso delle vertenze più delicate che si erano incagliate. Sia con il Governo Draghi, sia con il Governo Meloni, dei risultati raggiunti siamo stati protagonisti.
Basta mettere in fila qualche “titolo” di questi anni, senza nemmeno pretesa di completezza.
Oltre agli accordi Covid su salute e sicurezza, su durata e risorse delle Casse integrazione in deroga attivate per la pandemia, pensiamo al Patto del pubblico impiego, all’intesa sulla Scuola, agli accordi sullo smartworking, al contrasto alle delocalizzazioni e alle privatizzazioni selvagge, all’uscita graduale dal blocco dei licenziamenti, alla gestione di molte crisi aziendali, alcune delle quali concluse con successo.
Sul piano contrattuale abbiamo firmato e rinnovato contratti eccellenti, nel pubblico e nel privato. Alcune volte anche da soli, come è successo con le ultime intese sul contratto degli statali, con l’accordo per regolare l’attività di sciopero durante il Giubileo, con l’intesa separata con Poste italiane.
Tutto quello che abbiamo fatto è stato sempre e soltanto pensando esclusivamente al bene dei lavoratori e dei pensionati di questo Paese. Per risolvere problemi, sbloccare situazioni critiche, conquistare avanzamenti. Lasciando fuori dalla porta considerazioni di ogni altro genere. Cosa che chiaramente ha preferito e preferisce non fare, in nome del solito benaltrismo che produce solo autogol, chi sottraendosi o facendo saltare i tavoli delle trattative nega a centinaia di migliaia di persone la possibilità di guadagnare condizioni salariali migliori.
È successo puntualmente anche in occasione delle ultime quattro Leggi di Bilancio. Con i “niet” pronunciati prima ancora che ne circolassero le bozze, con gli scioperi generali preventivi, con la rinuncia in partenza ad incidere per cambiare quanto era possibile cambiare. Preferendo un proclama altisonante in più, un titolo di giornale in più, ad un concreto avanzamento.
È stato così nei mesi scorsi, per La Legge di Bilancio 2025. Da una parte chi ha proclamato uno sciopero tutto politico che, vedendo i numeri delle adesioni, ha avuto come esito più evidente solo quello di portare acqua al mulino della disintermediazione della rappresentanza. Dall’altra chi, invece, dopo aver già ottenuto il recepimento di tante sue proposte e rivendicazioni nel testo iniziale della Manovra, ha scelto la strada della concretezza, riuscendo a difendere le conquiste ottenute e a fare ulteriori passi in avanti, ottenendo cambiamenti significativi.
E poi – ben più di una ciliegina sulla torta – i 72 milioni di euro –stanziati per finanziare un Fondo per la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese che è propedeutico alla copertura finanziaria della nostra Proposta di legge.
Su questa partita per noi centrale, sulla nostra “lunga marcia” per la partecipazione, intesa sia come approccio di corresponsabilità nella definizione delle politiche di sviluppo, sia come evoluzione delle relazioni industriali, abbiamo detto tutto e di più nella bellissima giornata di ieri. Un regalo bellissimo, per me.
Oggi voglio solo ribadire che anche attraverso questa vicenda, soprattutto attraverso questa vicenda, bisogna riconoscere molto laicamente – e per quanto ci riguarda molto orgogliosamente – che all’interno del panorama sindacale sono presenti due visioni alternative. Da una parte quella di chi resta inchiodato al conflitto senza sbocchi tra Capitale e Lavoro, ad una concezione del sindacato contiguo alla politica se non addirittura strettamente intrecciato ad essa. Dall’altra il riformismo di chi guarda oltre gli steccati del Novecento. Steccati dannosi e antistorici che ancora qualcuno si attarda a piantare.
Basta considerare i toni barricaderi con cui si cavalcano e si fomentano le più diverse forme di antagonismo: dalle proteste studentesche ad uno pseudo ambientalismo della decrescita, fino ad un altrettanto “pseudo” pacifismo che in realtà finisce per nascondere il solito antiamericanismo e non prende le distanze da chi in strada brucia le bandiere d’Israele. Mentre nelle fabbriche e ai tavoli negoziali è un susseguirsi di “no”, rifuggendo dalle responsabilità che vanno prese lì dove si decide.
Ognuno faccia quel che crede. Ma non ci si permetta di dare lezioni agli altri da una cattedra dalle gambe ideologiche che già storicamente era traballante, ed ora semplicemente non esiste più. Perché sentir dire che la nostra Proposta di legge demolirebbe la contrattazione da qualcuno che al suo interno ha fatto tabula rasa della cultura delle relazioni industriali e delegherebbe volentieri alla politica il compito di stabilire salari e orari, deroghe e organizzazione del lavoro, e regole sulla rappresentanza è semplicemente inaccettabile.
Se poi questo qualcuno i contratti si vanta di non firmarli e preferisce incendiare fabbriche e piazze a suon di proclami e di appelli alla rivolta sociale, allora dall’inaccettabile si passa direttamente al surreale.
No. Al mondo del lavoro e a tutto il Paese serve altro. Serve l’impulso di chi non si accontenta di rivendicare, anche con strumenti conflittuali, avanzamenti e progresso. Ma intende prendere in mano il proprio destino, in autonomia, con il coraggio della responsabilità e della partecipazione. È così, solo così, che si possono elevare crescita, salari, qualità e stabilità del lavoro, tutele. Con una nuova, agile, impostazione concertativa.
Ed io rivendico il fatto che è anche grazie alla nostra spinta, grazie al metodo del dialogo che non abbiamo mai smesso di praticare, che la parola “concertazione” è uscita dall’angolo in cui era finita. E che al suo posto stia andando invece un’altra parola, “disintermediazione”, che fino a non molto tempo fa occupava un posto centrale, apparentemente inscalfibile.
Non è più così. E ora sarà solo con l’impostazione che noi sosteniamo che si potranno giocare, con speranza di vincere, le prossime partite. Partite che saranno decisive. Perché il quadro economico e sociale del Paese è in chiaroscuro, con dei tratti che delineano opportunità e altri che mettono in evidenza rischi da scongiurare.
Ci sono i numeri molto positivi di una disoccupazione mai così bassa, c’è un rapporto di indebitamento pubblico in discesa, ci sono performance dell’export con il segno “più” davanti. Ma ci sono anche nodi strutturali da sciogliere: l’inclusione di giovani e donne a livello occupazionale, il calo costante e da diverso tempo della produzione industriale, la produttività scarsa. Tutti aspetti che evidentemente incidono in modo negativo sulla ricchezza prodotta e sulla sua distribuzione.
È per questo che una nuova e agile concertazione tra parti responsabili e riformiste è decisiva. Per affrontare tutte quelle sfide dal cui esito dipenderà il futuro del Paese di qui alle prossime generazioni. Sfide che poi sono le nostre di sempre.
Pensioni. Salari e potere d’acquisto delle retribuzioni del ceto medio. Riforma fiscale. Qualità del lavoro e politiche attive. Formazione e competenze. Buona flessibilità nel mercato del lavoro. Transizioni ecologica e digitale. Intelligenza Artificiale. E ancora: una nuova politica industriale. Sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Sanità, scuola e università, ricerca. Pubblico impiego. Politiche sociali e non autosufficienza.
Sono solo i titoli. Ora i contenuti, le proposte e le modalità migliori con cui portare avanti il nostro impegno su tutti questi fronti spettano, come è giusto, a chi prenderà il mio posto e avrà il compito di continuare il percorso.
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È arrivato dunque il momento di dare seguito agli adempimenti previsti dallo Statuto per ciò che riguarda le dimissioni da Segretario Generale che ho annunciato nei giorni scorsi per raggiunti limiti di età. Prima, come sapete, nei modi e con lo spirito che ci sono propri, ho svolto le dovute consultazioni per verificare il consenso su un progetto forte e condiviso.
È stato un lavoro ampio, approfondito. Ma non difficile. Perché attorno al nome di Daniela Fumarola, che ho proposto a tutte le strutture, c’è stata una convergenza totale, unanime.
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Cara Daniela… questa è la Cisl! Io per primo, tutta la segreteria confederale, siamo sicuri del fatto che sia tu la figura ideale per guidare il cammino che verrà.
Conoscendoti da molto tempo e avendoti avuta al mio fianco in questi anni, ho potuto apprezzare meglio di chiunque altro la tua competenza, la tua capacità di tenere insieme prospettiva strategica e pragmatismo.
A te chiedo di assumere questo ruolo totalizzante, tante volte difficile e frustrante, di mettere cuore e passione in questo progetto. A voi, amici del Consiglio, attraverso questo voto, chiedo di dare continuità e compimento a un percorso che in questi anni abbiamo costruito con pazienza, fatica e passione.
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Daniela è una formidabile sindacalista. Una infaticabile maratoneta dotata di tutte le qualità necessarie a dare buon governo all’Organizzazione.
Identità e Appartenenza. Tenacia e Pazienza. Generosità e Perseveranza. Visione e Determinazione. Incarnati da una dirigente che ha attraversato ogni livello della gavetta, che sa bene il singnificato della parola sacrificio.
Che conosce ogni fibra della nostra Comunità, e sa quali sono i passi concreti da compiere per tagliare il traguardo, per raggiungere gli obiettivi prefissati. Fosse una complessa mediazione politica od organizzativa da costruire oppure enorme una mole di lavoro, lei non si è mai sottratta e ha sempre portato a casa il risultato. Il suo ruolo è stato indispensabile, in particolare, nel corso dell’impegno in prima persona per la campagna legata proprio alla Proposta di legge sulla partecipazione e nella fase di “traghettamento” della Fnp, volto ad assicurare piena governabilità alla struttura.
Tutto questo senza mai perdere un grammo di una sensibilità umana rara, apprezzata dai territori, dalle categorie, da chiunque abbia avuto modo di incrociare la propria esperienza sindacale con la sua. La continuità dei nostri valori e l’indispensabile capacità innovativa che ci è costantemente richiesta, sono in ottime mani.
A Daniela passo il testimone in totale serenità, perché so che lei sarà una leader vera, capace di ascoltare, di coinvolgere e di prendere le decisioni che riterrà giuste.
La sua passione, la sua forza d’animo, allargheranno ulteriormente il percorso di crescita della Cisl rafforzandone la rappresentanza e rendendo ancora più chiara la nostra centralità, il nostro protagonismo riformista, all’interno del panorama politico e sindacale.
Ho detto “serenità”. Perché sono sicuro e orgoglioso di lei. E sono sicuro e orgoglioso del patrimonio di ricchezza rappresentato da questa meravigliosa comunità che è la Cisl.
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Ma serenità e orgoglio non mi mettono al riparo dall’emozione. Sono stati quattro anni per me incredibili e irripetibili. Come del resto sono stati pieni e ricchi soddisfazioni quelli che li hanno preceduti, fin da quando ho avuto la fortuna di incontrare il sindacato e di entrare a far parte della famiglia della Cisl.
Ho svolto il mio ruolo di Segretario generale cercando di fare il meglio possibile. Molti sono i momenti in cui ho sentito di aver raggiunto il risultato che volevamo. Altri ho avuto il rammarico che forse si sarebbe potuto fare ancora qualcosa in più.
Mi accompagna la speranza che giudichiate i primi in numero superiore dei secondi.
Di sicuro posso dire di aver dato tutto e di averlo fatto sempre in buona fede, con responsabilità e con spirito di servizio. Desidero esprimere un ringraziamento profondo a tutti coloro che hanno condiviso con me questo straordinario cammino.
Alla segreteria confederale, ai dipartimenti, ai collaboratori, allo staff e a tutte le strutture territoriali e di categoria, che con passione, dedizione e spirito di servizio hanno reso possibile ogni risultato che abbiamo raggiunto insieme.
Vi lascio con una certezza: il mio cuore rimarrà sempre con voi.
Esattamente 75 anni fa, il 30 aprile del 1950, non lontano da qui un uomo a noi molto caro pronunciava queste parole.
“Sarà solo il sindacato forte, libero e democratico che realizzerà per i lavoratori la giustizia. Soltanto un sindacato forte e autonomo presidierà la libertà. Soltanto il sindacato libero e democratico fonderà la base di una pace sicura”.
Quell’uomo era Giulio Pastore.
Che così chiudeva la propria relazione all’Assemblea Costitutiva della neo-nata CISL, divenendo il primo Segretario Generale della nostra amata Confederazione.
Sono parole che, con tutta umiltà, voglio trasferirvi in tutta la loro vibrante attualità.
Parole con cui il “sindacato nuovo”, senza paura, seppe sfidare e vincere l’egemonia culturale, politica e sindacale di allora.
Siamo ancora qui.
E qui ci troverete ancora tra cento anni!
Nei valori del coraggio. Della libertà. Dell’autonomia. Della volontà di pensare con la nostra testa, guardando avanti, senza paura.
Grazie per tutto quello che mi avete dato, per ogni momento condiviso, per ogni passo fatto insieme.
Buon viaggio, per una Cisl sempre più forte al servizio delle persone e del Paese!
¹ Si tratta dell’intervento pronunciato da Luigi Sbarra, segretario generale Cisl, in occasione del Consiglio Generale della confederazione
che ne ha ratificato le dimissioni, per raggiunti limiti di età.