Skip to main content

Introduzione

La transizione verso un’economia a zero emissioni rappresenta una priorità per l’Unione Europea sia per contrastare la crisi ambientale sia per intervenire sul cambiamento climatico. Tuttavia, numerosi studi evidenziano come la “transizione verde” potrebbe avere effetti negativi sull’occupazione e le condizioni di lavoro, riproducendo le disuguaglianze e alimentando conflitti e opposizioni sul tema. Questi timori hanno portato all’emergere del concetto di “just transition”, promosso dai sindacati e poi adottato da ambientalisti e organizzazioni della società civile. L’idea di transizione giusta, riconosciuta nel Preambolo dell’Accordo di Parigi (COP21) e integrata nei framework politici di molte organizzazioni internazionali, sottolinea infatti l’importanza di garantire efficienza delle risorse e neutralità climatica e lavoro dignitoso, sostenendo i lavoratori nei passaggi da un lavoro all’altro e migliorando, nel complesso, la qualità di tutte le occupazioni.

In conseguenza, si è sviluppato un ampio dibattito scientifico (e non solo) sul ruolo dei sindacati nella promozione di una transizione giusta; questo ha però evidenziato anche alcune differenze nelle definizioni del concetto e soprattutto negli approcci, strategie e risultati ottenuti, in base a caratteristiche geografiche, settoriali e istituzionali. Le transizioni – e l’azione sindacale – non avvengono infatti nel vuoto, ma interagiscono con le specifiche condizioni di contesto. In tal senso, il livello locale e quello aziendale costituiscono dimensioni cruciali per l’attuazione delle politiche sindacali, facendo emergere a volte tensioni e disallineamenti tra il livello più alto (internazionale e/o nazionale), che si occupa dell’elaborazione delle politiche, e quello “on the ground”, dove tali politiche vengono concretamente implementate.

  1. La ricerca

La nostra ricerca, che è parte del più ampio progetto Vitality – Ecosistema innovazione, digitalizzazione e sostenibilità per l’economia diffusa nell’Italia centrale, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, con fondi dell’Unione Europa (NextGenerationEU, Mission 4, Component 1), analizza il ruolo dei sindacati nel sostenere una transizione giusta nel settore dell’industria alimentare italiana. Si tratta di un ambito poco studiato, ma rilevante, non solo per il numero di lavoratori coinvolti, ma soprattutto perché si caratterizza per varie innovazioni green e, allo stesso tempo, per il persistere di criticità rilevanti in termini di qualità del lavoro. La ricerca, è stata condotta in tre regioni: Abruzzo (area target del progetto), Toscana e Veneto. Queste regioni sono state scelte sia per la differente collocazione macro-territoriale (Nord, Centro e Sud), sia per il diverso sviluppo economico all’interno del settore alimentare. Inoltre, la letteratura ha evidenziato come Toscana e Veneto presentino una tradizione consolidata di relazioni industriali cooperative, con una maggiore presenza della CGIL in Toscana e della CISL in Veneto. L’Abruzzo, al contrario, presenta relazioni industriali meno strutturate e un maggiore bilanciamento tra i differenti sindacati. La scelta di tre regioni differenti consente quindi di poter leggere i risultati distinguendo tra l’effetto del settore e quello del territorio.

Nello specifico, lo studio analizza il ruolo dei sindacati, focalizzando l’attenzione sull’azione delle organizzazioni più rappresentative del settore: FAI-CISL, FLAI-CGIL e UILA-UIL. Esso si è basato su interviste semi-strutturate, condotte tra giugno 2023 e gennaio 2024. Sono state ascoltate 17 persone, tra cui rappresentanti delle strutture nazionali e regionali delle categorie e dei centri di ricerca e formazione dei sindacati. Le interviste hanno affrontato i temi delle politiche per la just transition, delle azioni per la loro attuazione, nonché le iniziative di ricerca e formazione a supporto dell’azione sindacale; a conclusione delle interviste è stato inoltre organizzato un focus group con i segretari regionali intervistati per discutere i risultati preliminari e approfondire/chiarire alcune delle evidenze emerse. Le interviste sono state integrate con analisi di documenti ufficiali dei tre sindacati, di accordi collettivi, rapporti di ricerca, documenti delle associazioni datoriali. Tale “triangolazione” ha permesso di validare e consolidare i risultati dello studio.

2. Risultati

2.1. Le politiche sindacali per la just transition

FAI, FLAI e UILA hanno da tempo inserito nelle loro agende il tema della just transition. Per i sindacati ciò significa agire per promuovere la tutela dell’ambiente migliorando allo stesso tempo le condizioni di lavoro per tutti. In altre parole, la sfida ambientale va affrontata insieme a quella per un lavoro dignitoso. Senza un miglioramento delle condizioni di lavoro per tutti, la just transition rischia di rimanere una semplice transizione, come ce ne sono state altre nella storia. Nei documenti congressuali come nelle interviste, la FAI e la UILA enfatizzano la centralità di promuovere “buoni lavori”, in un contesto di sostenibilità ambientale. In maniera analoga, la FLAI sottolinea la necessità di superare l’opposizione storica tra protezione dell’ambiente e tutela del lavoro, perseguendo simultaneamente sostenibilità ambientale, lotta alla precarietà e miglioramento delle condizioni lavorative. Tutti e tre i sindacati evidenziano infatti – e si dicono preoccupati – per la presenza di tante situazioni di “cattivi lavori”, caratterizzati da insicurezza, bassi salari, problemi di salute e sicurezza. 

Dalle interviste emerge come la strategia privilegiata, per raggiungere una transizione giusta, sia il dialogo sociale e la contrattazione collettiva. A tal proposito, al livello nazionale, i sindacati hanno ottenuto un importante risultato prima con la firma di un Protocollo d’intesa con l’Unione Italiana Food e poi con la sottoscrizione del rinnovo del CCNL per i lavoratori dell’industria alimentare (2024-2027), che riconosce esplicitamente come i cambiamenti collegati alla transizione green richiedano il coinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze.

Tali strategie sono inoltre supportate da un sistema di fondazioni e centri di ricerca (Fondazione Giuseppe Di Vittorio, Fondazione Metes, Centro Studi CISL, Fondazione FAI-CISL, Fondazione Giampiero Sambucini), che hanno contribuito alla produzione di conoscenza, ad esempio attraverso progetti di ricerca, e alla loro diffusione attraverso molteplici iniziative (come convegni, seminari, corsi di formazione, articoli sulle riviste scientifiche e di settore, newsletter). 

2.2. Dalla politica all’implementazione “on the ground”

Spostando l’attenzione a livello territoriale, i rappresentanti sindacali confermano l’introduzione nelle imprese di varie innovazioni green, solitamente basate su tecnologie digitali. A volte si tratta di pratiche di greenwashing, altre volte di cambiamenti di rilievo per la sostenibilità ambientale. Tuttavia, ciò che è più importante è che i rappresentanti sindacali sostengono che i miglioramenti nella qualità del lavoro sono limitati, anche nelle imprese che innovano realmente per perseguire l’efficienza delle risorse e per la produzione di prodotti a impatto climatico zero. L’introduzione di queste innovazioni non conduce infatti a significativi miglioramenti nelle condizioni di lavoro. Anzi, alcune volte, tali investimenti avvengono in presenza di condizioni critiche. In altri temini, anche in aziende “avanzate” dal punto di vista ambientale, persistono problemi di salari bassi, precarietà, ritmi di lavoro stressanti ed elevati rischi per la salute e sicurezza. In questo contesto, per gestire le situazioni critiche, i sindacati ricorrono a proteste, campagne mediatiche, cercando il coinvolgimento degli attori politici regionali/locali, ma con risultati comunque limitati. 

La ricerca mette in evidenza il ruolo rilevante dell’intensa competizione basata sul prezzo, spesso guidata dalla grande distribuzione, attraverso le condizioni che impone ai produttori. Ciò spinge le imprese, in particolare le PMI, a ridurre/mantenere bassi i costi del lavoro per rimanere competitive; un fatto favorito dall’alta vulnerabilità di molti lavoratori, spesso migranti. La competizione sul prezzo, con tutte le sue conseguenze, è vista come il vincolo principale all’azione sindacale. Essa aumenta la frammentazione della filiera, con l’intensificazione delle pratiche di esternalizzazione e la proliferazione di micro e piccole realtà, più difficili da sindacalizzare. E soprattutto spinge le imprese a strategie di “exit” dalla regolazione del lavoro, ossia l’elusione delle normative, il non rispetto del CCNL, il mancato rinnovo di contratti aziendali. Questa dinamica contribuisce, inoltre, ad ostacolare ancor di più il dialogo tra le parti, riducendo le possibilità di negoziazione.

Per ovviare a queste situazioni, i sindacati ritengono utile prevedere interventi su più livelli. Anzitutto, emerge la necessità di rafforzare la collaborazione tra le federazioni sindacali lungo l’intera filiera agroalimentare (agricoltura, produzione, distribuzione). In secondo luogo, è necessario un riequilibrio dei rapporti di forza, ad esempio, estendendo la condizionalità sociale per chi riceve fondi pubblici; promuovendo una tracciabilità dei prodotti che includa informazioni sulle condizioni dei lavoratori; favorendo la contrattazione di filiera e territoriale, per evitare la competizione al ribasso o pratiche contrattuali svantaggiose.

Alcune osservazioni conclusive

I risultati della nostra ricerca evidenziano la difficoltà nell’implementare in modo efficace la transizione giusta, definita e promossa a livello nazionale, anche dalle rappresentanze dei datori di lavoro e dalle istituzioni. Le innovazioni green nelle imprese (decise spesso unilateralmente) non hanno portato miglioramenti nelle condizioni di lavoro, lasciando – cosa più importante – i problemi di qualità del lavoro in gran parte invariati. Il principale vincolo all’azione sindacale è stata la concorrenza sempre più intensa basata sui prezzi. Questa ha creato un contesto sfavorevole di condizioni per l’implementazione di reali pratiche di transizione giusta.

Al di là del contributo al dibattito scientifico, riteniamo che il nostro studio abbia anche implicazioni pratiche, in particolare per i sindacati e gli attori politici a livello nazionale e internazionale. Nello specifico, la domanda è se, in settori con caratteristiche come quelle dell’industria alimentare, si debba prendere in considerazione un approccio più “trasformativo” delle filiere. Ciò richiederebbe un’azione sindacale più forte a livello settoriale, nazionale e sovranazionale, possibilmente in coalizione con altri attori, ma soprattutto politiche a livello nazionale e dell’UE in grado di promuovere realmente sostenibilità ambientale e sociale.