La cornice normativa (mancante)
Il nostro ordinamento prevede all’art. 46 della Costituzione il riconoscimento del “diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”, norma ancora inattuata pur rappresentando l’espressione più avanzata in materia a livello di Carte fondamentali nel panorama europeo, in linea con un principio fondamentale, sintetizzato da Ghezzi e Romagnoli attraverso l’affermazione secondo cui l’impresa “non è un pianeta distante anni luce dalla società: ne è anzi parte integrante e pertanto i suoi abitanti restano cittadini di una Repubblica democratica; e come tali vanno trattati, ovunque e sempre”. La proposta di legge di iniziativa popolare sostenuta dalla CISL, che si auspica venga approvato in tempi rapidi, costituisce, certamente, il tentativo più solido compiuto nel corso del tempo per dare finalmente attuazione a un principio costituzionale di cui poco si parla e che, invece, aprirebbe la strada all’allargamento del terreno di incontro tra le istanze del management e dei rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici, creando le condizioni per soluzioni a somma positiva.
Non si può non condividere l’auspicio di Anna Alaimo, secondo cui “il paradigma partecipativo sembra volgere lo sguardo al futuro, rilanciando l’idea di relazioni industriali in cui la componente conflittuale e antagonistica può lasciare spazio a modelli più collaborativi e partecipativi”.
Come ben argomentato da Carcano “la partecipazione fa un diverso uso della gerarchia. Con essa non solo non sono coerenti stili manageriali autoritari e/o burocratici ma, a mio modo di vedere, la logica partecipativa ribalta il grado d’importanza tra autorità e autorevolezza. Spieghiamoci. Il meccanismo dell’autorità, in alcuni casi, non è legato alla competenza professionale ma al ruolo gerarchico e tale situazione ha riflessi negativi sia sulla qualità del prodotto finale, sia sui processi per realizzare e distribuire il prodotto. Al contrario il meccanismo dell’autorevolezza è legato alle capacità professionali e alle capacità di risoluzione dei problemi e sotto questo profilo meglio si adatta a progetti di sviluppo partecipativo. Tutto ciò, però, è spesso difficile da accettare e può generare, come vedremo, la paura della partecipazione”.
Molta parte del dibattito si è, dunque, trasferita sul piano dottrinale, concentrandosi sul concetto di partecipazione, cui sono riconducibili più significati anche in ambito lavorativo. Un chiarimento è stato apportato dalle direttive comunitarie che fanno rientrare la “partecipazione” all’interno del più ampio concetto di “coinvolgimento dei lavoratori”, il quale ricomprende come istituti distinti la “partecipazione” e l'”informazione e consultazione”, e in particolar modo dalla direttiva sulla Società europea, dove “partecipazione” significa presenza diretta dei lavoratori nella governance dell’impresa. Perciò, attenendosi al diritto europeo si dovrebbe utilizzare il termine “partecipazione” con il significato di codeterminazione e di presenza negli organi di gestione delle imprese, escludendo forme “meno forti” costituite dall’informazione e dalla consultazione. V’è da dire che la maggior parte degli studiosi del tema utilizzano il termine “partecipazione” in senso generale per rappresentare una fattispecie capace di assumere configurazioni diverse.
Le diverse forme della partecipazione
Il più autorevole studioso italiano del rapporto intercorrente tra partecipazione e lavoro, Guido Baglioni, ha cercato nel corso del tempo di definire una sorta di lessico della partecipazione a partire dal concetto di partecipazione antagonistica : “vediamo come si può modificare questo rapporto di lavoro, cioè se quelli che lavorano possono anche metterci il naso , essere presenti negli organismi decisionali dell’impresa”; un esempio paradigmatico di questo approccio alla partecipazione furono i consigli di gestione della Olivetti, basati sul “controllo, ovvero vediamo come va l’impresa, come si possono ridurre i danni sociali, o addirittura come si lavora”. In certo modo anche il ruolo del RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza) presenta attributi propri di questo tipo di partecipazione, risalente all’articolo 9 della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) che apriva, pur riferendosi alle RSA, una “una nuova prospettiva: il singolo lavoratore può pretendere, attraverso l’azione delle rappresentanze, forti anche della tutela di cui all’art. 28 Stat. lav. (procedimento di repressione della condotta antisindacale), una tutela “reale” delle condizioni di lavoro, andando oltre la mera dimensione risarcitoria”.
La partecipazione da antagonistica può divenire collaborativa, un diverso approccio basato su un programma di lavoro comune tra rappresentanze dei lavoratori e management più ambizioso: “vediamo se si può migliorare il rapporto di lavoro anche oltre le disposizioni dei contratti, oltre le disposizioni della legge”. Anche in questo caso, si potrebbero citare le ulteriori attribuzioni in capo al RLS, meno valorizzate di quelle “antagonistiche”, riconducibili a questa seconda forma di partecipazione (l’articolo 50 del d.lgs.81/08 smi fa riferimento alla possibilità che partecipi alla promozione dell’elaborazione, dell’individuazione e dell’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori).
Nel concreto, secondo Baglioni le forme sperimentate di partecipazione sono le seguenti:
- la partecipazione informativa, che comprende tutti quegli istituti, quei processi definiti dalla legge e dal contratto collettivo (sia nazionale che aziendale/ di gruppo e/o territoriale) per cui l’impresa è tenuta ad attivare procedure formali con l’obiettivo di informare i rappresentanti dei lavoratori sull’andamento dell’impresa, sulle scelte che vuol fare, sull’organizzazione del lavoro, sul ricorso al lavoro temporaneo, sulle conseguenze della nuova tecnologia, sull’eventuale mobilità dell’impresa, sui temi attinenti la salute e sicurezza sul lavoro;
- la partecipazione economica, cioè la partecipazione dei lavoratori ai risultati dell’impresa (sia economico – finanziari che tecnico – produttivi), assai diffusa in virtù dell’istituto dei premi di risultato, che prevedono non infrequentemente indicatori relativi a performance aziendali inerenti la salute e sicurezza sul lavoro;
- la partecipazione alle decisioni è sicuramente quella più complicata da perseguire: “perché uno può prendere un ottimo salario, un ottimo premio di risultato, di produttività, però sostanzialmente non contare niente (…) Nella partecipazione strategica alle decisioni, comunque, ci sono almeno due modalità fondamentali. La prima è che i lavoratori siano presenti negli organi dove si prendono le decisioni, e qui c’è un’esperienza storica molto robusta (…) La seconda è quella per cui i lavoratori diventano proprietari di una quota di azioni. Si può trovare una forma giuridica anche per le società familiari, ci sono esperienze in giro per il mondo, ma stiamo sulle società per azioni, quotate o non quotate (…) Come all’Eni, dove c’è un azionariato dei dipendenti che ha il 3% o il 4% del capitale, che non è poco, con un meccanismo di presenza in assemblea che la legge Draghi aveva favorito, ma non sufficientemente; è una specie di voce in capitolo: come dire, ci siamo anche noi ”.
A queste tre forme “classiche” ne va aggiunta una quarta, ancora molto trascurata dal dibattito pubblico del nostro Paese: la partecipazione operativa o organizzativa “dal basso”. Essa riguarda il coinvolgimento diretto dei lavoratori nella gestione quotidiana del lavoro e, dunque, nell’organizzazione del lavoro. Per citare Accornero «il secolo del Lavoro […] era cominciato con il motto “Non siete pagati per pensare” e finisce con lo slogan “La qualità dipende da voi”». Il XXI secolo prende avvio proprio da questa sfida.
Questo tipo di partecipazione è stata studiata a fondo dalla Fondazione Europea di Dublino sin dalla seconda metà degli anni 1990 attraverso le inchieste EPOC ed EWON sulle nuove forme di organizzazione del lavoro in Europa e in particolare sulla delega per obiettivi e sul lavoro in team. Questo filone si intreccia con la crescente attenzione nei confronti delle High Performance Work Practices (HPWP), ossia alle nuove pratiche di lavoro associate all’emergere delle strategie produttive e organizzative in seguito al declino del paradigma taylor-fordista e all’emersione di quello alternativo (toyotista). Tali pratiche sono considerate come una delle componenti principali della cosiddetta via alta alla competitività delle imprese e si pongono in alternativa alle pratiche basate quasi esclusivamente sul contenimento dei costi attraverso la compressione dei salari e delle tutele e l’impiego numericamente flessibile della forza lavoro.
L’interesse verso questa nuova forma di partecipazione portò la stessa Commissione Ue nel 1997 a diffondere il libro verde “Partenariato per una nuova organizzazione del lavoro”, che non fu adeguatamente valorizzato dalle parti sociali europee e del nostro Paese. Nel documento dell’Unione Europea veniva esplicitato che “il rinnovamento dell’organizzazione del lavoro può essere realizzato soltanto dalle aziende stesse con il coinvolgimento dei quadri, dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Inoltre, le parti sociali e le autorità pubbliche possono agevolare questo processo migliorando la consapevolezza delle potenzialità insite in una nuova organizzazione del lavoro. Ciò potrebbe portare a un partenariato per lo sviluppo di una nuova cornice di modernizzazione dell’organizzazione del lavoro che tenga conto degli interessi sia delle aziende che dei lavoratori (…) Tale partenariato potrebbe recare un importante contributo al raggiungimento dell’obiettivo di un’organizzazione del lavoro produttiva, qualificata e partecipativa. Essa si baserebbe su valori europei che abbinano la competizione tra le aziende e la solidarietà tra i cittadini”.
Il dibattito sul partenariato è ancora oggi attuale, come ben messo in rilievo da un recente studio prodotto dal gruppo TO-MI Innovazione e Lavoro, in cui si sottolinea che “anche nella transizione tecnologica in corso , la mossa mancante è proprio l’attenzione alla organizzazione (…) L’impronta che vogliamo che questo contributo possa lasciare agli attori sociali e ai decisori delle politiche pubbliche è quella della promozione di un uso delle tecnologie mediato dall’innovazione organizzativa come mezzo per affrontare nel modo più efficace tutte le sfide di questo secolo: qualità del lavoro, sostenibilità economica, miglioramento ambientale”.
Sostanzialmente il governo dell’innovazione (e dei suoi riflessi sulla salute e sicurezza sul lavoro) richiede un approccio integrato, che consideri l’organizzazione come un sistema socio – tecnico e che si fonda sulla “necessaria combinazione tra partecipazione diretta e partecipazione indiretta od organizzativa (tramite rappresentanze): la prima è dei singoli addetti in quanto membri dell’organizzazione ai team di progetto e/o tramite il coinvolgimento attraverso momenti di validazione, sperimentazione, informazione, segnalazione; la partecipazione indiretta avviene attraverso i rappresentanti dei lavoratori, ad esempio, tramite momenti di informazione, confronto e negoziazione, commissioni paritetiche o di gruppi di lavoro misti, con tecnici aziendali , Rsu, sindacalisti, lavoratori”.
Le principali coordinate della partecipazione diretta
La Fondazione di Dublino (Eurofound) ha definito la partecipazione diretta come «[…] le opportunità e le iniziative nei luoghi di lavoro, promosse dal management, o da esso appoggiate, mediante le quali i dipendenti, individualmente o in gruppi, vengono consultati e/o vengono autorizzati ad assumersi responsabilità e prendere decisioni riguardo allo svolgimento dei propri compiti, all’organizzazione del lavoro e/o alle condizioni di lavoro».
Benché non sia comprovato un rapporto sempre positivo tra partecipazione diretta e produttività, è oramai chiaro che la prima è presupposto necessario per migliorare la performance aziendale, da diversi punti di vista (economico, qualitativo, della salute e sicurezza sul lavoro, della sostenibilità). Tale esito è possibile solo se a una diversa organizzazione del lavoro corrisponde a un progetto basato su una forte intenzionalità e se il processo è ben regolato e guidato. L’articolo 11 del disegno di legge CISL sulla partecipazione, partendo da questo assunto, prevede il supporto allo sviluppo di piani di miglioramento e innovazione organizzativa, con anche l’assistenza di esperti esterni concordata tra le parti e sostenuta dall’azienda. L’idea di base è quella di favorire la co-costruzione (attraverso la contrattazione articolata e/o specifici comitati bilaterali aziendali) di piani di innovazione in cui riportare: la disamina del contesto di partenza; le azioni partecipative, gli schemi organizzativi da attuare e i relativi indicatori; i risultati attesi in termini di miglioramento e innovazione; il ruolo delle rappresentanze dei lavoratori a livello aziendale.
La psicologia del lavoro individua nella partecipazione una leva motivazionale fondamentale. Fu McGregor (1960) a invitare i manager a “cambiare la propria concezione di individuo al lavoro, abbandonando una “filosofia X”, secondo cui gli esseri umani sono intrinsecamente indolenti e, dunque, bisognosi di direzione e controllo, a favore di una ”filosofia Y” che, per contro, assume che le persone siano orientate alla crescita, desiderino assumersi responsabilità e siano disponibili a contribuire al raggiungimento degli obbiettivi organizzativi”.
Negli ultimi anni il tema della partecipazione si è legato a quello dell’empowerment, sinonimo di “un orientamento gestionale volto a valorizzare le risorse umane, consentendo loro di avere una reale influenza sui processi e sui contesti di lavoro”.
Come si diceva, in Italia la partecipazione diretta trova maggiori ostacoli ad imporsi per diverse ragioni, non ultime la frammentazione del tessuto produttivo e la forte prevalenza di micro e piccole imprese. Non a caso il disegno di legge CISL prevede che i contratti collettivi possano prevedere che sia il sistema della bilateralità a supportare forme di partecipazione organizzativa dei lavoratori nelle imprese che occupino sino a trentacinque lavoratori.
Riprendendo la letteratura in materia, si può distinguere tra forme di partecipazione diretta deboli e forti. Le prime, dette anche “coinvolgimento”, avvengono per ambiti e modalità decisi unilateralmente dai manager, con la conseguente portata limitata dell’influenzamento delle decisioni assunte; le seconde, invece, prevedono che, entro certi limiti, l’azienda possa concordare con i lavoratori le modalità e gli ambiti di intervento, presupposto per una maggiore possibilità di influenzare il decision making aziendale. Anche prendendo spunto dalla ricerca di Eurofound sulla workplace innovation, L.Campagna, L.Pero e A.M.Ponzellini hanno prodotto la seguente classificazione delle diverse pratiche, distinguendole secondo due coordinate specifiche : a) obiettivi della partecipazione (gestione/innovazione) e b) modalità della partecipazione (individuale/di gruppo):
Obiettivi della partecipazione | |||
Gestione | Innovazione | ||
Modalità della partecipazione | Individuale | Delega con autonomia su obiettivi, polivalenza e rotazioneLavoro agile e orari personalizzati | Campagne di innovazioneFormazione per l’innovazioneSistema strutturato di suggerimenti |
Di gruppo | Team di lavoro formalizzatiOrari a menu co-gestiti nel gruppoSocial network informali | Gruppi di progetto per il miglioramento continuoComunità e reti professionali |
Ognuna delle forme sopra richiamate può essere promossa anche con la finalità di accrescere l’efficacia della prevenzione nelle aziende. Del resto, già negli anni 1970 Enzo Spaltro e la sua équipe effettuarono un importante esperimento presso le acciaierie Italsider di Lovere, in stretta collaborazione con la direzione aziendale e le rappresentanze sindacali , dimostrando come la partecipazione dei lavoratori nell’elaborazione della valutazione dei rischi per la salute e sicurezza sul lavoro, anche con l’effetto indiretto di dare senso alle pratiche lavorative proprie delle mansioni operaie, possa incidere nella riduzione/eliminazione degli infortuni.
Partecipazione diretta e salute e sicurezza sul lavoro
Come ben evidenziato dalla ricerca IMPACT dell’INAIL “la gestione efficace degli aspetti di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro presuppone il sostegno e l’impegno di tutti gli attori coinvolti, dentro e fuori l’azienda. Ognuno deve dare il suo contributo, per la propria e l’altrui sicurezza, secondo quanto di propria competenza e nell’ambito del proprio ruolo”.
Il tema della partecipazione diretta dei lavoratori alla salute e sicurezza è assai poco esplorato, benché la normativa (sia a livello nazionale che comunitario) preveda esplicitamente la “partecipazione e consultazione dei lavoratori” in forma distinta rispetto alla partecipazione/consultazione dei lavoratori attraverso i loro rappresentanti. In sostanza, il legislatore, sia pure timidamente e con molte contraddizioni, pone in evidenza la necessità dell’integrazione di partecipazione diretta e indiretta per fare prevenzione. È imprescindibile consultare l’RLS (obbligo spesso interpretato formalisticamente in molte aziende), ma, nel contempo, si dovrebbero mettere in campo tutte le azioni funzionali ad accrescere l’engagement dei lavoratori per quel che riguarda la salute e sicurezza sul lavoro.
In tale direzione si muove anche la UNI ISO 45001 “Sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro – Requisiti e guida per l’uso” pubblicata a marzo 2018, che comprende un paragrafo specifico interamente dedicato alla consultazione e partecipazione diretta, significativamente intitolato “Leadership e partecipazione dei lavoratori”. Un aspetto da evidenziare è che lo standard prevede una definizione di “partecipazione” nei termini di: “coinvolgimento nel processo aziendale”, che va molto oltre il concetto di “consultazione” (più familiare a chi si occupa di salute e sicurezza, e riferito al ruolo di RLS), definita come: “ricerca di pareri prima di esprimere decisioni”.
Sostanzialmente partecipare significa che ai lavoratori e ai loro rappresentanti è riconosciuta la possibilità di prendere parte al processo di definizione e co-gestione della salute e sicurezza in azienda (prevale un’idea di partecipazione forte). In termini più concreti si prevede che i lavoratori possano esercitare la partecipazione a riguardo : della valutazione dei rischi (e delle opportunità per fronteggiare i rischi stessi), della determinazione delle azioni di prevenzione e protezione, della determinare dei requisiti di competenza, dei fabbisogni formativi, della formazione da effettuare e della valutazione della formazione stessa, della comunicazione sui rischi, delle misure di controllo, dell’investigazione degli “incidenti” (costrutto che comprende ogni evento negativo indesiderato e non pianificato attribuibile a qualsiasi causa, che ha la capacità di produrre lesioni, malattie o danni materiali o perdite di processo, ma che non necessariamente le determina), delle non conformità e della determinazione delle relative azioni correttive. La filosofia di base dello standard comporta, quindi, azioni volte all’ascolto profondo degli operativi, all’incentivazione al problem solving, all’ingegnerizzazione della partecipazione organizzativa dal basso. Tutto ciò richiede la messa in campo della capacità di accountability di quanto si fa (non basta fare, quanto si fa va documentato e discusso durante gli incontri con i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza).
Il passaggio all’organizzazione del lavoro lean si accompagna frequentemente alla valorizzazione della partecipazione diretta dei lavoratori ai sistemi di prevenzione, anche perché il principio base dell’approccio è che il gemba abbonda di opportunità di intervento semplici e a basso costo per il miglioramento continuo. Alcuni strumenti ricorrono nelle diverse metodologie attraverso le quali viene gestita la “produzione snella” a cui ci si può ispirare per promuovere un approccio alla prevenzione partecipato, tra cui:
- “Gemba walk” – consiste nell’applicazione da parte dei dirigenti del principio Genchi Genbutsu, che significa “vai a guardare”, occupati delle “cose del gemba” e , soprattutto, recati sul gemba di persona (managing by walking around) per reperire i dati di fatto anche quando si presenta un problema o un’anomalia. Camminare/osservare direttamente le attività nei luoghi in cui avvengono, verificare le condizioni di sicurezza, rispettare e chiedere spiegazioni a chi lavora (far emergere la tanta conoscenza tacita presente), ascoltare attivamente chi vi opera e farsi segnalare le condizioni ritenute pericolose è alla base della cultura sulla sicurezza nella filosofia Lean. Fondamentale è il trattamento alla pari del “subordinato”, rifuggendo nel contempo da un approccio basato sulla “blame culture”. La partecipazione dal basso è facilitata dal visual management (VM), che svolge un’importante triplice funzione : “(a) the information in VM tools are presented to create information fields in the workplace, from which people can freely pull information in a self-service fashion, (b) the information need is determined ahead of time to prevent information deficiencies (pre-emptive approach), (c) the information display is integrated into process elements (space, machinery, equipment,components, materials, tools, gadgets etc.), in the direct interface between the operator and the process element (not in a file or server far from the production field), and (d) the communication is simple and relies little or not at all on verbal or textual information”. Le finalità specifiche del VM dipendono dalle strategie aziendali, ma tra quelle poste in evidenza dalla letteratura ve ne sono molte che intercettano elementi di facilitazione della partecipazione diretta dei lavoratori alla loro stessa salute e sicurezza, ed in particolare:
- trasparenza dei processi di produzione (“The increased pervasive information availability and transparency act as a replacement for hierarchical communication, in which subordinates are dependent on their superiors for information acquisition and access”, facilitando partecipazione ed autonomia dei lavoratori);
- disciplina (da intendersi come standardizzazione e correttezza nello svolgimento delle procedure anche dal punto di vista della salute e sicurezza sul lavoro);
- miglioramento continuo (è funzionale al kaizen, in quanto il VM stimola il coinvolgimento attivo della forza lavoro al processo di miglioramento);
- facilitazione del lavoro (“Job facilitation is a conscious attempt to relieve people‘s efforts on routine tasks by providing them with relevant visual aids. VM assists people in performing their duties through easing the cognitive perception (mental workload) and physical execution of their job requirements”);
- formazione on the job (il VM è direttamente correlato alla diffusione sistematica delle informazioni e all’acquisizione di conoscenze tacite nella gestione della conoscenza);
- creare un ambito di condivisione con i ruoli manageriali (capace di sviluppare una sorta di sentimento di proprietà psicologica – ownership – che può supportare il raggiungimento degli obiettivi strategici dell’azienda);
- gestione attraverso il management by facts (creare un senso di apertura e obiettività è una condizione per ottenere la fiducia dei dipendenti nel management; attraverso vari pannelli di performance, manifesti e insegne la gestione comunica anche le aspettative organizzative e i comportamenti apprezzati);
- semplificazione (la gestione delle informazioni in ambienti dinamici e complessi può andare oltre le capacità cognitive dei singoli; è, quindi, necessario un meccanismo per monitorare, elaborare e presentare la grande quantità di informazioni affinché per le persone abbiano un senso);
- consapevolezza (il VM può facilitare una maggiore consapevolezza delle condizioni di lavoro delle diverse unità dipartimentali e dell’ambiente organizzativo).
- Tecnica dei cinque perché – si può utilizzare quale strumento nell’ambito del gemba walk. A fronte di un near miss o di un infortunio sul lavoro è utile sollecitare il team a porsi ripetuti “perché” con lo scopo di entrare nel dettaglio della dinamica a monte dell’evento (o del potenziale evento) per comprenderla fino in fondo. “Molto spesso (…) iterando per cinque volte l’interrogazione possiamo identificare la causa prima del problema e intervenire a ragion veduta (…). Va da sé che il numero effettivo di iterazioni dipenderà dalla complessità del problema che di volta in volta ci si troverà ad affrontare”. Il vero problema è che in molte aziende non ci si interroga su ciò che è accaduto o che potrebbe accadere, ma si prosegue in base alla logica del “si è sempre fatto così”, anche se ciò che si è fatto o si fa non corrisponde agli standard previsti.
- Diagramma di Ishikawa o diagramma causa – effetto – anche questo è uno strumento utilizzato durante la “gemba walk”, finalizzato ad analizzare criticità, near miss o infortuni sul lavoro, facilitando nel gruppo una descrizione più precisa possibile delle concause alla base dell’evento o del potenziale evento. Si invita l’operatore a “enumerare quante più possibili cause ritenga collegate all’effetto che sta studiando. Per facilitare questa enumerazione delle cause è utile adattare la tecnica chiamata brainstorming”. Questa metodologia è parte dell’approccio in base al quale “dal fallimento organizzativo (incidente, infortunio) si può apprendere”, purché si superi l’idea che gli errori e gli incidenti siano generati da un errore umano e/o da un guasto tecnico, basata su “un dualismo newtoniano-cartesiano, inadeguato a render conto di eventi complessi che accadono all’interno delle organizzazioni. In base a questa inadeguata concezione dualistica il mondo mentale è separato dal mondo materiale (Cartesio) e per ogni evento vi deve essere una causa e una soltanto (Newton). Come la ricerca empirica ha ampiamente dimostrato nel corso di questi ultimi vent’anni, una concezione basata soltanto sull’errore umano non è all’altezza della complessità degli eventi che intende spiegare e, se l’analisi non è adeguata, ne consegue che non lo saranno le soluzioni di rimedio individuate”.
- Metodo 5 s – spesso è il primo processo che riguarda le aziende che intendono diventare lean. Di fatto, questo metodo nasce da due domande: “nel gemba c’è tutto il necessario? E abbiamo proprio bisogno di tutto quello che c’è nel gemba?”. Se la risposta è negativa per almeno una delle due domande è necessario applicare questa metodologia, che è fondamentale un riordino partecipato dei siti operativi, presupposto fondamentale per ambienti di lavoro più salubri, sicuri e gradevoli. Le cinque fasi dell’housekeeping aziendale sono: 1) seiri: separare ciò che è necessario da ciò che non lo è; 2) seiton: disporre in bell’ordine tutto ciò che rimane nel gemba dopo il seiri; 3) seiso: ripulire macchine e ambiente operativo; 4) seiketsu: fare pratica continua del metodo; 5) shitsuke: rendere stabile il metodo in azienda, anche istituendo apposite procedure e standard di riferimento. “Per ottenere la partecipazione attiva e continuativa del personale il management deve pianificare, organizzare ed eseguire il progetto con grande cura (…) occorre anzitutto preparare mentalmente i dipendenti ad accettare le 5s”. E’ oramai evidente come il metodo contribuisca a ridurre gli infortuni sul lavoro “eliminando le macchie d’olio sui pavimenti, lo sporco, gli indumenti inadeguati e le manovre pericolose”; in particolare, “seiso”, aumentando l’affidabilità dei macchinari, consente di concentrare la manutenzione sugli strumenti maggiormente pericolosi e sugli interventi preventivi e predittivi (in quest’ultimo caso, laddove siano stati gli investimenti tecnologici del caso).
Valutazione dei rischi autogestita
Anche al fine di porre la questione della centralità della prevenzione nella salute e sicurezza sul lavoro, nel corso del tempo i sindacati e gli stessi lavoratori hanno cercato di produrre analisi dei rischi autogestite, non necessariamente destinate a un “uso scientifico”, ma volte a far emergere dal basso alcune criticità, sviluppare consapevolezza, individuare possibili soluzioni (anche temporanee), facilitare l’attività successiva di contrattazione collettiva.
Questo ambito è certamente un promettente terreno d’incontro e integrazione tra partecipazione diretta e indiretta. Gli stessi RLS possono farsi promotori dell’emersione “dal basso” dei problemi di salute e sicurezza dei lavoratori con il fine esplicito di elaborare una risposta “collettiva”, nel solco di un’idea di rappresentanza non autoreferenziale. La domanda che si rivolge ai colleghi è: “quali sono le priorità e i suggerimenti per risolvere le criticità riscontrate?”, approccio che prevede almeno due fasi: la prima di segnalazione/individuazione; la seconda di ricostruzione di un’idea di cambiamento. A volte può essere utile focalizzarsi non su tutta la forza lavorativa presente in azienda, ma unicamente su gruppi omogenei di esposizione (GOE) particolari, magari quelli che vengono considerati meno “centrali” nella valutazione proposta dagli esperti lato management (es. stagionali, manutentori, somministrati, addetti alle pulizie, apprendisti). Queste indagini possono essere svolte con il supporto di ricercatori di varie provenienze (Università, centri di ricerca ed enti di formazione professionale sindacali …) e delle molte competenze presenti nella medicina del lavoro pubblica.
Di seguito riportiamo alcune interessanti esperienze che, opportunamente adattate, potrebbero essere sperimentate anche nei nostri contesti aziendali:
- Job design check list (UAW, USA): è una lista di controllo definita dal sindacato dei lavoratori dell’automobile per indagare il punto di vista di chi ricopre specifiche mansioni a riguardo di alcuni aspetti rilevanti inerenti la salute e sicurezza sul lavoro: posture disagevoli, stress mentale, fattori di rischio ambientale, progettazione ergonomica degli utensili e dei macchinari.
- Linee guida per il pericolo vibrazioni (Australian council of trade unions – ACTU): attraverso un semplice questionario composto da alcune domande aperte e da altre chiuse, si chiede ai lavoratori di esprimersi sugli effetti da esposizione a vibrazioni sull’intero corpo. In particolare, si chiede loro di esprimersi in merito alla presenza e alla frequenza di taluni sintomi (ad es. mal di schiena, artrite, emorroidi, disturbi cardiaci, difficoltà respiratorie ecc.).
- Mappa del corpo (TUC, UK) : il sindacato inglese ha definito un metodo per il quale ha prodotto un interessante manuale di formazione dei rappresentanti dei lavoratori; l’idea, peraltro dovuta a un delegato sindacale di un panificio, è quella di mettere a disposizione dei lavoratori una mappa del corpo, che viene chiesto a tutti a fine turno (o a fine settimana) di utilizzare, segnando con una crocetta la parte del proprio corpo che ciascuno sente più dolorante. Naturalmente, l’individuazione di disturbi comuni può essere utile come punto di partenza per un confronto con l’azienda, anche perché non è detto che le cause del malessere segnalato siano tutte riconducibili alle mansioni svolte.
- Indagine dal basso (Afl-CIO, USA): il sindacato americano ha proposto un interessante metodo a disposizione dei rappresentanti dei lavoratori, corredato da una scheda intitolata “indagine sulla condizione di salute dei lavoratori”. La scheda può essere distribuita ai colleghi, consentendo al delegato di raccogliere preziose informazioni sui disturbi riscontrati associabili alla mansione svolta.
In linea con il metodo delle analisi autogestite, si citano due esperienze di particolare interesse, promosse dalle sedi dell’INAIL operanti sul territorio:
- Piano mirato di prevenzione per il miglioramento della sicurezza sul lavoro nelle strutture residenziali per anziani di Trieste : i piani mirati sono uno strumento derivante dal piano di prevenzione nazionale, finalizzati a uno studio multicentrico per verificare l’efficacia di uno standard di intervento da parte dei Servizi di prevenzione delle ASL, allo scopo di supportare le imprese e i lavoratori nella gestione dei rischi e nella definizione di misure migliorative, anche attraverso il trasferimento di buone prassi e ausili per la valutazione dei rischi. Nell’ambito dei piani mirati spesso sono previste schede di autovalutazione definite per i lavoratori, hai quali si chiede di far emergere la propria percezione del rischio. INAIL, in partnership con l’Azienda Universitaria Sanitaria Integrata di Trieste e gli RLS delle strutture socioassistenziali per anziani della provincia di Trieste, ha distribuito ai lavoratori un questionario finalizzato all’impatto della formazione relativa alla salute e sicurezza sul lavoro, con lo scopo di valorizzare e condividere il patrimonio delle conoscenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro nell’ambito dei servizi residenziali per anziani.
- Questionario per la raccolta della percezione dei lavoratori a riguardo della propria stato di salute e sicurezza sul lavoro: costruito come strumento di auto-valutazione, al fine di individuare aree critiche di miglioramento per la gestione della sicurezza. La compilazione del questionario è esclusivamente su base volontaria e in forma anonima. Lo strumento è stato realizzato dalla direzione bolognese dell’INAIL e messo a disposizione anche degli RLS e dei Patronati sindacali.
Qualche esperienza in atto
Una meta – analisi delle ricerche relative all’impegno e alla partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici a riguardo della salute e sicurezza sul lavoro pone in evidenza alcuni aspetti di facilitazione, che vengono riassunti di seguito:
- programmi aziendali che incentivano la partecipazione diretta dei lavoratori presentano benefici significativi per le aziende: aumento della produttività, diminuzione dell’assenteismo e dei costi relativi, miglioramento delle “risorse umane” in azienda (in conseguenza della maggiore job retention delle persone e della riduzione del turnover), abbassamento dello stress correlato al lavoro, miglioramento del clima organizzativo;
- è fondamentale il coinvolgimento e la partecipazione attivi e continui dei lavoratori nella pianificazione, implementazione e valutazione dei programmi relativi alla salute e sicurezza sul lavoro;
- il processo di partecipazione prevede la necessità di fornire ai lavoratori informazioni sulla prevenzione adeguate e personalizzate (ad es. per reparto, per area funzionale, per mansione);
- la partecipazione diretta è facilitata da un approccio olistico al tema (ricomprendente temi quali: la conciliazione vita lavorativa ed extra-lavorativa, il benessere organizzativo, la qualità delle mense aziendali, la promozione di stili di vita sani nelle aziende …);
- è stato osservato che l’uso di incentivi (materiali o sociali) aiuta a promuovere la partecipazione dei lavoratori. Tuttavia, gli incentivi devono essere gestiti con attenzione per diversi motivi. Migliorare la motivazione intrinseca attraverso incentivi sociali, piuttosto che incentivi esclusivamente materiali, è il modo più sicuro per ottenere cambiamenti comportamentali a lungo termine;
- la ricerca evidenzia l’importanza del commitment visibile dei datori di lavoro e degli alti dirigenti a riguardo della salute e sicurezza sul lavoro (essere d’esempio).
Una delle (poche) raccolte di buone prassi pubblicate nel nostro Paese evidenzia alcuni casi eccellenti, aziende nella quali il perseguimento di performance eccellenti nella salute e sicurezza sul lavoro è avvenuto anche attraverso la promozione della partecipazione diretta dei lavoratori e delle lavoratrici. A partire da questa rassegna si evidenziano alcuni aspetti significativi:
- la previsione di gruppi di lavoro dedicati all’esame dei risultati della sorveglianza sanitaria;
- la promozione di “regole d’oro” per tutto il personale o l’articolazione di campagne interne per aree di intervento specifiche, ognuno delle quali è di responsabilità di un top manager dell’azienda;
- la previsione di una formazione effettuata ai lavoratori (compresi quelli degli appalti) con specifico riferimento ai comportamenti adeguati in azienda; in alcuni casi i capi sono dotati di una scheda per monitorare i comportamenti virtuosi dei lavoratori e organizzare un feedback sensato e utile nei loro stessi confronti (necessaria amplificazione della formazione per la salute e sicurezza sul lavoro);
- l’uso di strumenti di visual management per “rendere visibile” la salute e sicurezza ai lavoratori (vedi sopra);
- survey specifiche e la segnalazione delle situazioni di potenziale pericolo, attraverso il proprio capo o in virtù di procedure volte a far emergere i “mancati infortuni”;
- previsione di un sistema di incentivi per la promozione della salute e sicurezza sul lavoro.
La breve ricognizione compiuta evidenzia la mancanza di ricerche specifiche inerenti la partecipazione diretta dei lavoratori e delle lavoratrici al miglioramento continuo della salute e sicurezza nelle aziende. L’equivoco che sembra prevalere è che la partecipazione in questo ambito possa esaurirsi con la consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, anche se la normativa (nazionale ed europea) sembra non porre sempre in alternativa queste due opzioni.
Peraltro, se qualche questione ci può essere a riguardo dell’interpretazione della legge, nessun dubbio sorge laddove si considerino le esperienze di maggiore successo, costantemente caratterizzate dall’investimento sulla partecipazione diretta in integrazione con quella indiretta. Si auspica un approfondimento sistematico del tema, nell’auspicio che la valorizzazione della partecipazione diretta divenga priorità delle parti sociali e di tutti i decision maker, in quanto condizione per più elevati livelli di salute e sicurezza sul lavoro, il rilancio della produttività e della qualità del nostro sistema economico.
Lo IAL, in virtù della partecipazione a numerose ricerche in collaborazione con INAIL e Università, è molto impegnato su questo terreno, a cominciare dalla ri-edizione della nuova edizione della ricerca IMPACT, specificatamente rivolta al tema.