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Nel 1968, poco più che quarantenne, eletta per la prima volta deputata, nei pochi cenni autobiografici scritti per La Navicella, Tina Anselmi indicò nella Resistenza e nel sindacato le due esperienze più significative della sua giovinezza. Era nata a Castelfranco Veneto il 25 marzo 1927 e come molte adolescenti di quegli anni aveva militato nella Gioventù femminile di Azione cattolica.[1] L’attività era intensa: crociate della purezza, gare di cultura religiosa, preparazione delle giovani alla famiglia, congressi mariani, esercizi spirituali, campi estivi. Tuttavia, il profilo di quell’adolescente esuberante più propensa a praticare sport, lancio del giavellotto e pallacanestro, non pare quello di chi recitasse tanti rosari. Tuttavia, un documento programmatico della Dc provinciale del 25 maggio 1945 la inserì tra «gli elementi più validi della Gioventù Femminile» e ha dichiarato a una sua biografa intervistatrice di essere stata un membro della Gioventù femminile.[2] 

Sull’opera della cattolica Gioventù femminile durante il fascismo non esiste ancora un quadro storico maturo. Letta spesso come una sorta di sudditanza al prete, fu in realtà un vivaio d’iniziative laicali femminili sia pur promiscue tra sacro e profano. Infatti, uno dei motti dell’organizzazione era «Eucarestia, Obbedienza, Eroismo», che spaziava dalla devozione tradizionale a una scelta anticonformista, all’appello al proprio carattere, alla propria tenacia, alla propria responsabilità. Soprattutto per le più scolarizzate, quell’appello eroico poteva tradursi in scelte coraggiose. Del resto, nella provincia di Treviso il cattolicesimo antifascista aveva una lunga tradizione che affondava le proprie radici nelle leghe bianche dei grandi sindacalisti del primo Novecento come ad es. Giuseppe Corazzin.

Già nel 1923, la Giunta diocesana di Azione cattolica definì quello fascista come «un partito a cui non possono iscriversi i cattolici», perché «nel suo sistema mette la Patria e la sua grandezza al di sopra di tutto». Era dunque quello fascista un «concetto pagano di Patria; essa è un dio, salvo a identificarla in pratica con un governo, o meglio, con un uomo». Poi, inaccettabile era il metodo fascista, «la violenza usata a proprio arbitrio per dominare e imporsi, contraria alla ragione umana e specialmente al Vangelo».[3] 

Dunque, frequentando l’Azione cattolica trevigiana, la giovane Tina già respirava un’aria se non avversa certamente non contigua al fascismo. Poi, come gli altri amici dell’oratorio, grazie a un giovane avvocato antifascista, Domenico Sartor, che portava sempre nella sacca i libri dei grandi teologi francesi, si era avvicinata al pensiero personalista, soprattutto a quello di Emmanuel Mounier.[4]

Le cose cambiarono nel 1943, quando la studentessa Tina iniziò a frequentare l’Istituto Magistrale Femminile del Sacro Cuore di Bassano del Grappa che ogni giorno raggiungeva in bicicletta da Castelfranco e ciò in seguito le avrebbe permesso di muoversi senza destare sospetti durante la sua militanza nella Resistenza. Infatti, proprio nella cittadina sul Brenta, avvenne l’episodio che a lungo Tina Anselmi indicò come quello che la indusse alla scelta definitiva. Nel settembre del 1944, trentun giovani partigiani furono impiccati dai fascisti.[5] Al macabro spettacolo dovettero assistere molti cittadini di Bassano e gli studenti delle scuole, comprese le studentesse del Sacro Cuore: «Fu orribile. L’impiccagione fa paura, è una visione tragica, insopportabile. Alcuni bambini piangevano, altri svenivano».[6]

In realtà, nel 1964, sollecitata da uno storico a testimoniare la sua esperienza di staffetta partigiana, Tina Anselmi scrisse un testo di sette pagine in cui affermò di aver aderito alla Resistenza nell’agosto del 1944.[7] Ora, con la stessa frase, «Entrai a far parte della Brigata “Cesare Battisti” nell’agosto del ‘44», inizia anche l’articolo pubblicato l’anno dopo in un periodico locale.[8] Infine, intervistata nel 2001, dichiarò: «Io sono entrata nella Resistenza per reazione alle rappresaglie, proprio per il discorso se è lecito o no che degli innocenti, com’erano gli ostaggi, fossero impiccati», senza alcun riferimento esplicito ai fatti di Bassano.[9]

Dunque, verosimilmente Tina Anselmi faceva già parte del gruppo dei patrioti di Castelfranco prima dell’eccidio di Bassano del Grappa e il suo ingresso nella Resistenza avvenne tra le operaie dell’industria di munizioni Marnati-Larizza. Infatti, una delle vie di maturazione della giovane Tina era stata «quella sindacale perché qui a Treviso c’era monsignor Piovesana, assistente nazionale del mondo operaio femminile che in ogni fabbrica durante la guerra di liberazione», organizzava i raggi d’ambiente, grazie ai quali le operaie «venivano preparate, dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa, a una presenza nel sociale da realizzare evidentemente quando finiva la dittatura».[10] Monsignor Piovesana andava di fabbrica in fabbrica a perorare la causa delle donne. Nel marzo del 1944, le dirigenti delle “raggine” di Vittorio Veneto lo invitarono a tenere una relazione al “Corso apostole tra le lavoratrici”.

Questo episodio è documentato,[11] ma di sicuro monsignor Piovesana d’incontri, seminari, interventi ne tenne molti altri e potrebbe essere proprio lui l’assistente di cui spesso parla Tina Anselmi riandando a quei giorni. Ciò spiegherebbe l’origine della simpatia della studentessa di Castelfranco per il mondo del lavoro e, dunque, del suo impegno nell’attività sindacale che, dopo la Resistenza, lei avrebbe sentito ancora una volta come un’esigenza morale. Con il suo insegnamento, monsignor Piovesana fu per lei il tramite naturale tra la lotta antifascista e la lotta contro le ingiustizie nel mondo del lavoro femminile.

Dunque, fu soprattutto una «motivazione morale», la repulsione contro un regime anticristiano ingiusto e feroce a spingere Tina Anselmi ad aderire alla Resistenza. Tuttavia ci volle l’occasione e questa le fu offerta da una sua amica, Marcella Dallan, di due anni più grande, che già militava come staffetta nel gruppo di partigiani comandato dal suo fidanzato Carlo Magoga, un ex ufficiale ferito in guerra. La testimonianza di Marcella è importante. Sua zia, la maestra Emma Parisotto, da tempo si «occupava dell’Azione cattolica femminile» a Castelfranco. Le opere da lei promosse erano quelle tipiche della Gioventù femminile. Iniziò a seguire anche un gruppo di studentesse, forse già nel 1941. Tra loro, assieme a Marcella Dallan vi era anche Tina Anselmi che «primeggiava per il suo buon esempio».

Quelle studentesse misero in pratica un’azione tipica delle raggine. Nella fabbrica di materiale bellico Marnati e Larizza, molte donne erano state assunte al posto degli uomini al fronte. Emma Parisotto volle aprire una biblioteca per quelle operaie, così, nell’estate del 1944, per l’acquisto di libri finanziato dall’imprenditore Marnati, Marcella e Tina in bicicletta fecero la spola fra Castelfranco e Mogliano, dove si era trasferita la libreria Marton dopo il bombardamento di Treviso. Grazie a loro, finito il turno di lavoro, le operaie trovavano la biblioteca aperta due volte a settimana. Incaricata da Gino Sartor, un ex alpino comandante dei gruppi di Castelfranco che poi sarebbero diventati la brigata autonoma “Cesare Battisti”, fu proprio in uno di questi incontri tra le operaie che Marcella propose a Tina di fare la staffetta partigiana. «Lei accettò immediatamente».[12] Ispirandosi all’arcangelo messaggero, scelse come nome di battaglia “Gabriella”.

Tina Anselmi stessa ha raccontato alcune delle sue azioni nelle interviste concesse alle sue numerose e a volte imprecise biografe e nei due libricini che ha scritto per i ragazzi delle medie.[13] Allora, poteva girare in bicicletta senza destare sospetti perché continuava a frequentare da studentessa l’Istituto Magistrale di Bassano. Le suore lo sapevano ma non dicevano nulla, anzi per una sua compagna di classe «l’avevano così tanto in simpatia che vedevano solo quello che volevano vedere».[14] “Gabriella” ha raccontato spesso e sempre divertita l’episodio del tuffo in un fosso per sottrarsi a una pattuglia tedesca da dove uscì lorda di fango, per essere poi ripulita e rivestita da un prete nella cui canonica aveva trovato rifugio. Ha partecipato ad azioni di sabotaggio il 4 dicembre, quando fu deragliato un treno trasporto proveniente da Padova; e il 13 dicembre, quando fu sabotato un altro treno trasporto sempre sulla tratta Padova-Castelfranco. Ha atteso lunghe notti il lancio dei paracadute alleati con materiale bellico.[15]

Deve risalire ai primi del 1945 uno degli episodi più gustosi: «Mi fu consegnata una valigetta con dentro la radiotrasmittente» da portare al comandante regionale «che ci era stato paracadutato. Era nascosto in una filanda a Galliera».

Con l’incoscienza dei suoi 17 anni, «al primo camion di tedeschi di passaggio chiesi l’autostop dicendo che avevo una valigia di libri molto pesante e che dovevo andare a scuola. I tedeschi molto volentieri caricarono la mia bicicletta, me e la valigia con la radio». Giunta a Cittadella, vedendola insieme ai tedeschi, il partigiano che l’aspettava pensò bene di defilarsi, ritenendola arrestata. La radio fu poi consegnata a un prete e passò più tardi a ritirarla un altro partigiano.[16] L’episodio mette in luce un aspetto importante che evidenzia come “Gabriella” non fosse una staffetta qualsiasi, ma la staffetta e segretaria personale del colonnello Cesare Sabatino Galli (1898-1974), il comandante Pizzoni. Quell’ufficiale della Polizia di Stato aveva evidentemente notato e apprezzato quella ragazza sempre in bicicletta, un po’ sfrontata e a cui non mancava la prontezza d’animo.  

Poi, il 10 marzo 1945, Pizzoni avrebbe assunto il comando del Comitato di Liberazione Nazionale Regione Veneto (CLNRV) e così, di colpo, la staffetta “Gabriella” si trovò ad essere la segretaria del comandante di tutte le brigate partigiane del Veneto. Questo spiega perché il suo nome compaia in molti diari di partigiani operanti in varie zone tra la Marca Trevigiana, il Veneto orientale e il Friuli a cui trasmetteva messaggi e ordini provenienti dal comando centrale.[17]

L’episodio più drammatico finora noto della sua esperienza partigiana non fu raccontato da lei, ma a un giornalista da un altro resistente, Giovanni Bortolato “Vatro”. Nel 1944, in una rigida sera di dicembre, Tina Anselmi doveva recarsi a Badoere per recuperare materiale paracadutato dagli Alleati e le fece strada appunto “Vatro”. Al sopraggiungere improvviso di una pattuglia di brigatisti neri, i due si nascosero sotto un ponte immergendosi nelle gelide acque del Sile: «L’Anselmi per il freddo batte tanto forte i denti che l’altro deve tenerle la bocca chiusa con le mani per impedire che i fascisti sentano», rischiando di soffocarla.[18]

Conferma ulteriormente l’attività resistenziale di Tina Anselmi il riconoscimento di partigiana combattente conferitole dalla Commissione regionale triveneta per la qualifica di partigiano, avendo militato nella brigata “Cesare Battisti” divisione “Monte Grappa” dal settembre del 1944 al 5 maggio del 1945, qualifica che era concessa solo a chi avesse compiuto almeno tre azioni di guerra o di sabotaggio.[19] 

Ancora partigiana, Tina Anselmi ha partecipato alla sua prima trattativa così pericolosa che quelle che poi avrebbe condotto con i proprietari delle filande le saranno sembrate poca cosa a confronto. La mattina del 28 aprile 1945, il comandante della brigata “Cesare Battisti”, Gino Sartor, decise di sondare il comando nemico per ottenere la liberazione di Castelfranco senza spargimento di sangue. Fu deciso d’inviare dai tedeschi il parroco di Campigo don Carlo Davanzo e le due «signorine» Liliana Saporetti con funzioni d’interprete e Tina Anselmi.

La missione era ad alto rischio perché potevano essere tutti e tre trattenuti come ostaggi. Invece prete e ragazze tornarono con le condizioni poste dall’ufficiale tedesco: voleva parlamentare direttamente con il capo dei patrioti locali e avrebbe sgombrato pacificamente Castelfranco senza però consegnare le armi. Nonostante le perplessità di chi temeva fosse una trappola, tornarono al comando il prete, le due ragazze e il comandante Gino Sartor.

Si arrivò a un accordo, i tedeschi avrebbero lasciato la città con le armi senza ostacoli all’alba del 29 e i partigiani ne avrebbero preso possesso alle ore 5. Durante quell’incontro durato parecchie ore i morsi della fame si fecero sentire. L’ufficiale aveva offerto tè e biscotti. Tina chiese a don Carlo se poteva approfittarne: «magna, tosa, magna». Lei stessa vent’anni dopo avrebbe ancora ricordato quel particolare: «Io avevo una fame terribile e continuavo a mangiare biscotti».[20]

Una foto del 4 maggio 1945, ritrae la staffetta “Gabriella” con la sua brigata in piazza Giorgione a Castelfranco mentre avviene la cerimonia di consegna delle armi agli Alleati. Si chiude così questa fase breve, durata solo pochi mesi, dall’estate del 1944 alla primavera del 1945, ma che ha cambiato profondamente la vita di Tina Anselmi. Il richiamo ai valori della Resistenza sarebbe stata una costante in tutta la sua successiva vita politica.

Nel 1981, quando aveva appena iniziato il suo tormentato incarico di presidente della Commissione d’inchiesta sulla Loggia massonica Propaganda 2, tornò con nostalgia a ripensare ai motivi etici che l’avevano spinta ad aderire alla lotta partigiana. Fu «la scoperta dell’altro, degli amici uccisi, degli sconosciuti braccati per le nostre montagne, fu la protervia con cui si tentò d’imporre attraverso la scuola  un concezione dello Stato come fonte di morale, quando leggi di quello Stato erano la negazione di ogni morale, di ogni valore umano».[21] Riprendendo un teologo a lei caro, ebbe a dire in uno dei suoi ultimi interventi pubblici: «Essere in possesso di un potere che non è definito da una responsabilità morale e non è controllato da un profondo rispetto della persona, significa distruzione dell’umano in senso assoluto: “il demoniaco del potere”».[22]


[1] A Treviso in quegli anni la Gioventù femminile contava più di 25 mila iscritte fino alle 32 mila del 1943; Pagotto G. (2013), Dal Movimento Cattolico all’Azione cattolica nella diocesi di Treviso, “Rivista della Diocesi di Treviso”, vol. CII, n. 4, pp. 359-414.

[2] Bellina L., Sega M.T. (2004), Tina Anselmi, in Tra la città di Dio e la città dell’uomo. Donne cattoliche nella Resistenza veneta, Sommacampagna (VR), Cierre, pp. 24-25.

[3] Tramontin S. (1975), Cattolici, popolari e fascisti nel Veneto, Roma, Edizioni Cinque Lune, p. 52.

[4] Pitteri M. (2021), Suggestioni del personalismo comunitario nell’opera di Domenico Sartor, in Coppola A., Lauria F. (a cura di), Dobbiamo creare tutto dal nuovo. Il divenire della Cisl: fondamenti, incontri, esperienze, Roma, Edizioni lavoro, pp. 181-198. Nel 1950 Domenico Sartor sarà il primo segretario della Cisl di Treviso.

[5] Residori S. (2007), Il massacro del Grappa. Vittime e carnefici del rastrellamento (21-27 settembre 1944), Sommacampagna (VR), Cierre edizioni, pp. 75, 87, 132, 166. L’assassinio fu ordinato dal ventiduenne vice brigadiere delle SS Karl Franz Tausch, morto suicida a Monaco nell’agosto del 2008.

[6] Anselmi T. (1986), Ricordi di una staffetta partigiana di 17 anni tra città e campagna, in Le popolazioni civili della Marca Trevigiana durante l’occupazione tedesca: 1943-1945. Atti del convegno di studio nel 40° anniversario della Liberazione. Treviso 28 settembre 1985, Treviso, Ateneo di Treviso, pp. 121-125.

[7] Il documento è conservato presso l’Università di Padova, Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, b. 44, unità 6/4 Testimonianze, Tina Anselmi. L’edizione critica in Pitteri M. (20223), La giovane Tina Anselmi. Dalla Resistenza all’impegno sindacale e politico (1944-1959). Cento quadri d’insieme, Mestre, Cisl Veneto, pp. 129-137.

[8] Corletto GF. (1965), Ricordi di una staffetta partigiana, in “L’Ora della Castellana”, a. V, apr.-mag., p. 27 che pubblica con poche varianti il manoscritto autografo di Tina Anselmi.

[9] Bellina T., Sega M.T. (2004) Tina Anselmi cit., pp. 151-152.

[10] Id., p. 150 e p. 156.

[11] Pagotto G. (2013), Dal Movimento cattolico cit., p. 373.

[12] Le interviste a Marcella Dallan sono conservate presso l’Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Treviso (Istresco). Riprese da Caberlin R. (2017), La primavera delle ragazze. Storie di Resistenza al femminile a Castelfranco Veneto, Castelfranco Veneto, edizioni Caberlin, p. 42 e p. 52.

[13] Anselmi T. (2004), «Bella Ciao» la Resistenza raccontata ai ragazzi, Pordenone, Edizioni Biblioteca dell’Immagine; Aselmi T. (1985), La rocca del paradiso, Torino, SEI e riedito nel 2023, Fagnano Alto (AQ), Editrice il Sirente.

[14] Così Margherita Tessarolo, intervista concessa nel 2017 a due studentesse del liceo Brocchi di Bassano del G. e ripresa da Pitteri M. (2025), Tina maestra. Educatrice per vocazione, Mestre, Cisl Scuola Veneto e Cisl Veneto, p. 4; la figlia della signora Margherita ha aggiunto: «Mamma diceva sempre che l’insegnante di filosofia le dava del pane di nascosto perché aveva intuito la sua missione di partigiana». Id., p. 5.

[15] Istresco (2010), Diari storici dei Reparti partigiani della Provincia di Treviso, Treviso, Archivio dell’Istresco, pp. 9-10.

[16] Anselmi T. (2004), «Bella Ciao» cit., pp. 13-15. L’episodio della consegna di quello che in realtà era un alimentatore è confermato da altre testimonianze. Ad es., nel suo diario Enzo Rizzo scrive che il 26 ottobre 1944 fu mandata a Treviso la staffetta a prendere l’alimentatore per la radio che ne era priva. Ramazzina  G. (1995),  La Resistenza castellana negli scritti di Enzo Rizzo, Treviso, Istresco, p. 20.

[17] Ad es., la staffetta Maria Braut (1919-2016)  che operava nella brigata “Marcuzzi” lungo il Tagliamento ricorda di aver avuto parecchi contatti con Tina Anselmi per scambiare messaggi: Tempesta L. (2006), Storie di donne in guerra e nella Resistenza, Sommacampagna (VR), Cierre edizioni, p. 78 e p. 86.

[18] Testimonianza raccolta da Pittalis E. (2007), Il sangue di tutti. 1943-1945 in Triveneto, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, p. 63; e dal nipote di “Vatro”, Otello Bortolato che, allora tredicenne, assistette alla scena: «Quando i brigatisti neri si allontanarono  collocai sulla mia bicicletta uno zaino con una parte di quanto era stato paracadutato. All’altro zaino provvide Tina Anselmi». Bortolato O. (2008), L’eroismo nascosto. Storia di Giovanni Bortolato da Noale il partigiano senza medaglie, Noale (VE), Centro Grafico, pp. 39-40.

[19] La sua scheda n. 70597 è conservata presso L’Archivio Centrale dello Stato, fondo Ricompart, Triveneto, consultabile sul portale partigianiditalia.cultura.gov.it. ; una disanima sulla legislazione relativa al conferimento del titolo di partigiano combattente in Comin F., Comin S. (2023), Il coraggio e la passione, Belluno, Isbrec.

[20] In molti hanno ricordato l’episodio delle trattative di palazzo Bolasco, sede del comando tedesco, il primo Corletto GF (1965), Masaccio e la Resistenza tra il Brenta e il Piave, Vicenza, Neri Pozza, pp. 203-205; l’episodio dei biscotti è riportato sia nella memoria dattiloscritta di don Carlo Davanzo sia in quella a penna di Tina Anselmi conservate presso l’Università di Padova, Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, b. 44 cit.

[21] Anselmi T. (1981), in “Noi Donne”, dic., pp. 56-58.

[22] Citazione tratta dalla Lectio magistralis tenuta da Tina Anselmi in occasione della laurea honoris causa conferitale nel 2004 dalla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento. Un’edizione critica in Pitteri M. (2025) “Capii allora che per cambiare il mondo bisognava esserci. Omaggio all’onorevole Tina Anselmi, una donna che ha fatto la storiaCatalogo della mostra fotografica 28 apirle-31 maggio 2025, Castelfranco Veneto, Comune di Castelfranco Veneto, p. 120. Anselmi cita Guardini R. (1963), Il Potere, Brescia, Morcelliana, p. 16.